Francesco Baccini: «Io, diventato genoano»

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Musica e calcio, due facce della stessa medaglia per Francesco Baccini, uno dei maggiori esponenti della scuola cantautorale genovese, che oggi gira per i teatri d’Italia a portare la poesia di un suo noto predecessore, vale a dire Luigi Tenco.

Un tour partito da Genova e Savona in gennaio, per poi toccare tante altre tappe, come Verrucchio, Volterra, Lodi, Melzo e Milano. Quella che lo ha portato a fare il cantante è stata una strana metamorfosi, da portiere che sognava la serie A a cantautore, dai pali e le reti ai tasti bianchi e neri del pianoforte, portando, comunque, con se guantoni e scarpette chiodate, giusto per continuare a divertirsi con gli amici e “colleghi” della Nazionale Italiana Cantanti.

La metamorfosi, per lui, è avvenuta anche nella fede calcistica. Una folgorazione sulla via di Damasco, o meglio, del “Ferraris”, una passione cresciuta sempre di più nel tempo, tanto da portarlo a scrivere “I ragazzi del Genoa”, un inno per il Grifone cantato insieme agli eroi del quarto posto e della Coppa Uefa.

Francesco Baccini, per lei calcio e musica si sono mescolati in parecchie occasioni, in particolare quando scrisse “I ragazzi del Genoa”. Come nacque quella canzone?
«La cosa dell’inno del Genoa nacque da una proposta di Fulvio Collovati, che conobbi a Milano. Di li a poco ci sarebbero state le feste per il centenario, così mi misi a scrivere il pezzo. Far cantare i calciatori, stonati come delle campane, fu un’impresa».

Un po’ come il quarto posto di quella stagione…
«Passammo due giorni e due notti a prendere i pezzettini di frase migliori di tutti i giocatori. I pochi intonati erano i sudamericani, Branco e Aguilera, che però sembravano due bambini dello Zecchino d’Oro».

Oggi quale giocatore del Genoa inviterebbe a cantare con lei?
«Il fatto è che adesso durano talmente poco che non saprei su chi fare affidamento. Passano e vanno, continuano a cambiare nel giro di pochissimo tempo».

L’ultima rivoluzione il Genoa l’ha avuta nel mercato invernale. Come la giudica?
«Devo dire che da gennaio la squadra ha ripreso un buon assetto. Questo Kucka mi sembra bravo e anche Konko è uno affidabile, che ha dato spessore al centrocampo. Davanti Floro Flores fa movimento, “casino” e gol, ma ci manca sempre un Borriello, un Milito, un attaccante che abbia peso. Lo stesso Floro Flores è più una seconda punta».

Tra l’altro si è pure parlato di un ritorno di Borriello…
«Vedendo i rapporti che ci sono tra Milan e Genoa potrebbe starci. Il Milan per Borriello resta una strada poco percorribile, mentre nella Roma c’è Totti che “Comanda”. A Genova potrebbe tornare ad avere uno spazio importante, lui ha un bel ricordo della sua esperienza in rossoblù, perché riuscì a segnare tanto e a tornare in Nazionale. In più il Genoa è una di quelle squadre che gioca e dà il massimo per un attaccante del genere. Qui avrebbe il posto fisso, mentre nella Roma e nel Milan trova più concorrenza. Poi Borriello è ancora giovane, non come Toni che è stato un “pacco spaziale”: appena arrivò già sapevo come sarebbe andata a finire, con lui in attacco mi sembrava di vedere l’Italia dell’ultimo europeo, con un gioco telefonato».

Passando alle sue imprese calcistiche, gioca ancora come portiere?
«Ormai ho appeso le scarpe al chiodo. In una partita mi è venuto il colpo della straga e ho deciso di mollare».

Da ex “collega”, cosa ne pensa di Eduardo?
«Eduardo è un pazzo, è come dovrebbero essere i portieri. È anche sfigato, perché per tanti gol salvati ne ha presi tre o quattro determinanti, da tre punti. Se avessimo avuto una squadra che avesse fatto tre o quattro gol in quelle partite, magari, avremmo perdonato i suoi errori. Io vivo in un posto dove sono tutti interisti e spesso si parla della squadra nerazzurra. Julio Cesar para come Eduardo, solo che le respinte del portiere dell’Inter finiscono tutte sui piedi dei difensori, mentre quelle di Eduardo trovano le gambe degli attaccanti. In più quest’anno abbiamo preso pochissimi gol, meno ancora di quando arrivammo quarti con la Fiorentina. Rubinho stesso non mi sembra meglio di Eduardo. Il portiere è un ruolo delicatissimo e l’opinione pubblica ti mette sotto per i tuoi errori».

Riesce a venire al “Ferraris” per le gare del Genoa? Conciliando i tanti impegni, ovviamente…
«L’ultima volta che sono venuto a Marassi è stato in occasione di Genoa – Milan 1-1. Le altre partite le ho sempre viste in televisione, cerco di non perdermele mai».

Quando cominciò la sua “avventura” da tifoso rossoblù?
«Io ho una storia particolare: da bambino ero sampdoriano. Ho cominciato a giocare in porta, nella Sampdoria, quando avevo sei anni. Giocavo in mezzo alla strada come tutti i bambini, oppure andavo a Granarolo. Gli osservatori della Sampdoria giravano per i quartieri a vedere i bambini che giocavano. Un giorno uno di loro suonò alla mia porta, per portarmi a giocare nella Samp. Per me era un sogno poter andare a giocare in un campo vero, con delle porte vere, e ovviamente, quando un bambino viene chiavato dalla Samp, la sua squadra del cuore diventa quella. Mio padre, genoano, mi accompagnava allo stadio, andavamo a vedere i derby nella Sud, con tanto di bandiera blucerchiata. Quelli erano altri tempi, non c’erano gli ultras, mio padre discuteva con quelli che aveva a fianco e la cosa era pure divertente. Da giocatore sono arrivato fino alla Primavera della Samp».

E poi?
«Poi ho avuto un incidente, l’anno dopo morì mio papà. Io andai a vedere una partita del Genoa, che giocava in serie B. Il Grifone vinse 5-0, io ero talmente deluso dalla Sampdoria che sono diventato genoano, al punto di scrivere l’inno per il centenario. Una cosa strana, anche perché per me il calcio è sempre stata una cosa seria».

Era in squadra con qualche giocatore che poi sfondò nel mondo del calcio?
«C’erano Chiorri e Nicolini. All’epoca non c’erano gli sponsor, dovevi pure comprarti la tuta e la società ti aiutava soltanto con dei buoni sconto. Quelli erano gli anni settanta, gli sponsor nel calcio arrivarono nel decennio successivo. Mi ricordo che la borsa che avevo quando giocavo nei pulcini me la portai fino alla Primavera. Era una specie di medaglia al valore, quella, un orgoglio: più la borsa era distrutta, più era importante, sottolineava la tua esperienza. Io non ho mai guadagnato una lira, ma non me ne fregava niente di guadagnare».

Oggi è tutt’altra cosa…
«È assurdo. Per me era impensabile: io volevo veramente diventare il portiere della mia squadra e quella era la mia massima aspirazione. Oggi di non esistono più le bandiere, i giocatori quando arrivano in una squadra vanno via dopo poco. C’è giusto Totti».

A proposito di Totti, perché decise di citare proprio lui nel brano “Ci devi fare un goal”?
«Totti in quel momento era la bandiera della Nazionale, così scelsi lui».

Se dovesse citare un giocatore del Genoa in una sua canzone chi sceglierebbe?
«Sicuramente Milito, anche se ora gioca nell’Inter».

Come vede il Grifone di oggi?
«Siamo in una situazione tranquilla, non dico che il campionato sia finito, ma vaghiamo a metà classifica senza infamia e senza lode. E pensare che poteva andare peggio, menomale che il presidente, che ha il “grano” e lo tira fuori, ha preso ancora ottimi giocatori. Negli ultimi cinque o sei anni abbiamo visto una squadra che, nella peggiore delle ipotesi, resta a metà classifca in serie A, mentre prima era sempre a metà classifica in serie B. Sono molto soddisfatto».

Anche di mister Ballardini?
«All’inizio non ero molto convinto di lui, come tutti del resto. Poi, probabilmente anche grazie ai nuovi acquisti, le cose sono cambiate. Voglio dire: anch’io sarei bravo ad allenare l’Inter, magari non vincere lo scudetto, ma in Champions League ci andrei. Probabilmente Gasperini era arrivato ad un punto di saturazione nei rapporti con Preziosi e non riusciva più a far giocare la squadra come prima. Lui ha avuto la fortuna o il merito di avere giocatori come Borriello, prima, e Milito, poi. In più poteva schiera una difesa con giocatori del calibro di Ferrari, Criscito e Bocchetti, più Thiago Motta a centrocampo, che ieri, con la Nazionale, ha mostrato ancora una volta tutto il suo valore. Il 3-4-3 era spettacolare e i giocatori che aveva gli permettevano di usare quel modulo. Quest’anno, quando è arrivato Toni, ho subito pensato “ma cosa c’entra lui col gioco di Gasperini?”. Effettivamente da gennaio, quando sono giunti i nuovi rinforzi, la squadra è cambiata, dimostrando di potersela giocare con tutti. Anche con Catania e Inter, a parte il quarto d’ora di delirio, avremmo potuto chiudere prima la partita con i siciliani e mettere in difficoltà i nerazzurri. Oggi il Genoa ha una squadra dignitosa».

[Fabio Aronica – Fonte: www.pianetagenoa1893.net]