Qualcuno, questa domenica, era al Massimino perché è una partita importante quando la Juventus arriva a Catania. Qualcun altro, questa domenica, era al Massimino perché è sempre una partita importante quando gioca il Catania, che sia contro la Juveterranova o la Juventus. Qualcun altro, questa domenica, non era al Massimino perché proprio non riesce a trovare attinenza tra quel che è “la passione rossazzurra” e quel che è “la giornata rossazzurra” , solo quando torneranno le “partite”, pure e semplici, lui tornerà allo stadio.
Sconfitta al 90°, degno epilogo della giornata bianconera, pensata, nata e conclusasi con l’unico fine di render felici i tifosi juventini di tutta Italia: Colpo Gobbo. Così, mentre la Curva Nord canta, inneggiando al buon vecchio “Presidentissimo”, viene in mente quella “amalgama” che non si compra, come la “personalità”, che pure servirebbe al Catania, ma non si trova, né al Quark di Milano né su di una bancarella, o ce la si ha, dentro, o non la si acquisterà; e qualora il Catania dovesse avercela, questa personalità, consentitemi, la sta nascondendo benissimo.
Tre partite in superiorità numerica, Genoa, Inter e Juventus, epiloghi tutti da dimenticare, tutti, e che non si parli di arbitri qua, là, su e giù, anche contro la Juventus sarebbe stato sacrosanto un tiro da rigore, per fallo di mano di Marchionni, la rete di Iaquinta era irregolare (ma da lì deriva anche la prima ammonizione che gli costerà l’espulsione, quindi il discorso si fa lungo ed ingarbugliato), si può dire tutto quello che si vuole, ma se, se solo, e dico se solo avessimo giocato al calcio, gli ultimi 5 minuti, non staremmo qui a commentare una gara persa in 10 vs 11, e gli undici eravamo noi, noi.
Lanci lunghi, in superiorità numerica, col compagno, Tedesco, libero a sinistra; non bisogna essere soloni del calcio per comprendere quanto assurdo sia un gioco fatto di “rimessa”, in 10 vs 11 (e lo ripeterò all’infinito, 10 vs 11), in casa, con una Juventus già remi in barca e testa sull’aereo. Significa semplicemente costringersi all’arroccamento, perché la squadra avanza e se perde il contrasto di testa becca il contropiede, come puntualmente è accaduto. Da qui punizioni, calci d’angolo, e goal.
Che poi sul secondo goal, ci sarebbe tutta una pagina di commenti; Toshack, come fece in passato sulla panchina del Real Madrid, sarebbe entrato in campo brandendo uno scarpino, senza mandarle a dire, Zenga, fa bene a stringere le invettive tra i denti, ma certuni, giocatori, dovrebbero darsi una sonora svegliata o è meglio farli accomodare, nemmeno in tribuna, in salotto, a casa, dove i danni li pagano di tasca propria.
Allora, con le buone, si prendono gli applausi ma non reagiscono; con le cattive, si prendono i fischi e dicono che non li meritano. Questa squadra è sempre più un rebus, bella, bellissima, ma “muta”, che non sa imporsi, non sa chiudere un risultato (unico tondo contro il Palermo, poi tutti sul filo del pareggio), che si danna l’anima ma sul traguardo smette di crederci, per poi piangere lacrime di coccodrillo.
Come, Michelangelo, che piantò una martellata al suo Mosé, urlando “Perché non parli?”, cosa di diverso bisognerebbe fare con questo Catania, urlandogli in faccia “Perché non vai fino in fondo”?
E comunque si sappia: domenica ci si gioca la Salvezza contro il Chievo Verona. Entri bene in testa a tutti, dai tifosi ai calciatori, ci si gioca la Salvezza, e sarebbe perciò il caso uscire fuori gli attributi, sempre che si voglia, sempre che ce ne si renda conto.
Ultima postilla: quella bandiera bianconera, sul pennone della tribuna B, accanto a quella italiana e quella del Catania, mi sforzo, ma proprio non riesco a capirne il senso; almeno non con i nostri soldi, spero. |di Marco Di Mauro - Fonte: www.mondocatania.com| - articolo letto 160 volte