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2009-02-25

La mia Bologna ed il mio Bologna


Carissimi, posso raccontare alcuni episodi che mi hanno visto partecipe della bella storia rossoblu. La prima partita che ho visto sulle gradinate del “Comunale” non c’erano ancora le poltroncine colorate e bisognava portarsi i cuscini da casa oppure bastava comprarli per 100 lire all’ingresso dello stadio. Erano cuscini che oggi sono dei cimeli, avevano una parte rossa e l’altra blu, si ripiegavano su se stessi abbottonandoli con un automatico e poi si lasciavano in macchina per qualsiasi evenienza avendo cura di metterli nel bagagliaio altrimenti si sarebbero scoloriti e i bellissimi colori di Bologna non avrebbero più risaltato. La prima partita che vidi, per l’esattezza, fu Bologna – Pro Patria la prima di campionato del 1952, avevo da poco compiuto i 6 anni, mio padre che andava sempre alla partita con i suoi più cari amici d’infanzia mi prese con se dopo avermi promesso per tutta l’estate, di “portarmi al football” se mi fossi comportato bene! A quel tempo abitavamo in vicolo Borchetta, N°6, una casa bassa ad un piano nella stradina che, partendo da Strada Maggiore costeggia sulla sinistra la Chiesa di Santa Caterina, dove l’otto settembre del 1946 fui battezzato.
Era il 14 settembre, come risulta dal mio diario, e appena dopo mangiato ci incamminammo verso lo stadio, lungo la strada incontrammo i più cari amici di mio padre che si davano usualmente appuntamento al bar Edelweis a Porta Santo Stefano dietro ai bagni pubblici. In quel ritrovo giocavano spesso a Goriziana oppure a boccette con la sua “Balla” di cui facevano parte Lino Conti, Luciano Piana, Tonino Galanti, Gigi Zambelli, Giulio Regazzi, Bruno Lenzi, Corrado Cermasi e Aramis Pinardi, tutti vecchi amici. Partimmo a piedi con tante speranze ed io sentivo già l’atmosfera dell’incontro dalle discussioni animate degli amici con mio padre. Tutti erano molto competenti, ma in particolar modo uno era più competente degli altri, Aramis, un ex giocatore della Primavera del Bologna che, a detta di tutti loro, non aveva mai giocato in prima squadra perché quando venne il suo turno di esordire in Serie “A” dall’emozione gli venne un “cagotto” mostruoso. Anche mio padre ne capiva di calcio perché durante il periodo militare fatto nel genio pontieri nel 1928 a Piacenza, giocò con la squadra di quella città nella posizione di “Centrale” che poi era una specie di libero nel “metodo” chiamato” WM” per la disposizione dei giocatori in campo. Mentre camminavamo per il portico di san Luca uscendo da Porta Saragozza, in un batter d’occhio arrivammo allo stadio. Appena giunti, comprammo subito un paio di sacchetti di brustulli salati (semi di zucca) mio padre ne era molto goloso e così io presi quella insana abitudine che faceva diventare tutta la zona dove sostavamo un mezzo porcile con le bucce. Ci fu una piccola discussione all’ingresso con coloro che controllavano i biglietti, per quanto riguarda la mia età e l’altezza, poi mio padre disse all’addetto dell’entrata, “dai ban, al cinno l’è la premma volta c’al vein a vadder la partida! A’l psrel ànc srer un och?!” “Va bene vada pure il cinno! St’etra volta però l’ha da pagher al bigliatt!”. Ci andammo a mettere in curva Andrea Costa, proprio di fronte al sottopassaggio e mi ricordo come se fosse adesso che i momenti prima dell’ingresso in campo dei giocatori mio padre guardava spesso l’orologio poi diceva “ai manca un minud” … “ Ai manca Poc” Ve mo là, ien béle arivé sò!” e dopo avermi indicato dove guardare col dito diceva: “Ve mò, là, il capitano col gagliardetto in mano e le maglie con i colori più belli del mondo! ”. “Chi sono quei tre vestiti di nero con il colletto bianco?” Dissi. Lui mi rassicurò, erano gli arbitri che dirigevano l’incontro. Quei signori là mi fecero una certa impressione.
Sapete, a quel tempo non sapevo ancora le regole del gioco e, non essendoci la televisione sentivo solo le partite con mio padre alla radio, spesso gli chiedevo il significato delle espressioni usate dal radiocronista: “Fallo” Fallo Laterale” “Punizione”, tutte cose che per me erano arabo e di cui non sapevo il significato. Io in parrocchia non giocavo a pallone perché non c’era tanto spazio e poi non c’era la palla. Poi da un anno andavo nei “Lupetti”, la branca dei Boy Scouts più piccoli di 12 anni, e da loro non si giocava al football. A parlare alla radio c’era un personaggio che poi ho tentato molte volte di imitare, Nicolò Carosio, un grande radiocronista che ti faceva godere la partita spiegandoti in brevissimo tempo con una parlantina molto fluente tutte la posizioni dei giocatori in campo, non smetteva mai di dare informazioni in modo che l’ascoltatore potesse seguire la partita anche da casa attaccato alla radio, ma consapevole di quello che accadeva sul terreno di gioco. L’attesa divenne spasmodica e non vedevo l’ora di veder entrare in campo i miei campioni, di veder giocare una partita per la prima volta e di poter finalmente gridare “FORZA BOLOGNAAAA!!!!”. Quando, in braccio a mio padre, intravidi le maglie dei giocatori rossoblu, un brivido mi passò per la spina dorsale, venni colpito da quel sentimento speciale e diedi la mano a mio padre stringendola forte e gli dissi:“Grazie babbo!”. Vi posso assicurare che ogni volta che vado al football e vedo uscire i giocatori dal tunnel o dal sottopassaggio, provo tutt’ora le stesse sensazioni come 57 anni fa. Voglio sperare che anche voi proviate quello che provo io perché son cose che ti rimangono dentro, ed allora capisci che tutti coloro che durante la loro vita cambiano bandiera sono dei quaquaracquà, solo perché la loro squadra non vince mai e non hanno dentro gli stessi valori di fedeltà ai propri colori come ho sempre avuto io, anche quando il Bologna era in “C” oppure in “B” negli anni passati, sono sempre rimasto e sempre rimarrò di Fede Rossoblu. Sì avete capito bene …di Fede, di quella cosa che somiglia ad una religione, non vorrei sembrare blasfemo, ma per sostenere una squadra in tutto e per tutto ci devi credere e quindi leghi a lei i tuoi ideali di vittoria, di gioia, e dimentichi poi tutti i dolori che ti ha dato in passato e nel presente. Mi sembra che in quel periodo il capitano fosse Ballacci. A volte forse anche Cervellati metteva quella bella fascia larga di color bianco, ma i ricordi non sono molto chiari, comunque quel giorno il Bologna vinse 4 a 1 con la Pro Patria e fu una grande festa. Ricordo a malapena alcuni nomi di personaggi che poi vidi negli anni successivi: Giorcelli in porta, Greco, giovane ma già senza capelli che giocava nella stessa posizione di mio padre, poi un certo danese Pilmark, mediano di spinta, e Cesarino Cervellati all’attacco. Mio padre diceva che era uno dei pochi bolognesi DOC della squadra, era nato a Baricella in provincia di Bologna. Potete immaginare, dopo quell’esordio chiesi a mio padre di portarmi anche in trasferta per farmi gustare tale gioia anche nelle partite successive, ma lui mi disse che dovevamo accontentarci di andare a vedere solo le partite in casa perché la domenica successiva dovevamo dedicarla alla mamma ed alle altre 2 sorelle che avevo. La cosa più bella poi che mi ricordo di tutte queste partite che vedevo al Comunale, erano le uscite di corsa dallo stadio alle 16,30 per andare con mio padre e gli stessi amici a vedere le partite di basket alla Sala Borsa in Piazza Maggiore di fronte al Nettuno, dove ogni domenica alle 18,00 si giocava una partita di “Palla al cesto” ,così si chiamava il basket a quei tempi.
Fu così che mi innamorai anche di quello sport di cui divenni poi allenatore. A quei tempi Bologna era la città più rappresentativa della pallacanestro in Italia in quanto aveva già due squadre ad alto livello militanti in serie A sempre nei primi posti della classifica, che poi divennero presto tre, battendo tutti i record della “palla a spicchi”. La squadra più blasonata era la “Virtus Bologna”, le famose “Vu Nere”, a quei tempi sponsorizzata dalla società Minganti che costruiva macchine utensili ad alta tecnologia per tutto il mondo, la seconda squadra era il “Gira” sponsorizzato dalla società Preti. Il nome della società derivava dal fatto che i suoi fondatori erano tifosi del ciclista Girardengo, molto popolare in quegli anni. Essendo stata fondata da un gruppo di studenti dell’"Università di Bologna”, la squadra si distingueva, rispetto alle rivali cittadine, per lo spirito goliardico e anticonformista. Indossava infatti delle casacche arancioni che è un colore che non voleva dir nulla per la nostra città, le maglie erano bordate di nero con numeri e scritte dello stesso colore. Mio padre era un tifoso del Gira e così fu automatico che anch’io ereditassi la sua fede. Fui subito onorato di seguire quella bandiera perché alcuni anni dopo gli arancioni finirono il campionato al secondo posto dietro al “Borletti Olimpia Milano” (il futuro Simmenthal ovvero le “Scarpette rosse”). A quei tempi già le partite stracittadine che oggi vengono denominati “Derby” si giocavano tra “Virtussini” e “Girini”, nei primi militavano grandi atleti dal nome famoso: Nino Calebotta, “Marione” Alesini, Achille Canna, Gambini, Lamberti, Vittorio Tracuzzi, Rapini, insomma, dei grandi campioni. Negli “Arancioneri” del Gira primeggiava un certo Silvio Lucev detto “Cina” che giocava da regista, l’attuale Play-maker, e il primo americano venuto in Italia per giocare a Palla al cesto, James Larry Strong, Renzo Ranuzzi, Sergio Macoratti, Giorgio Bongiovanni, Muci, Paoletti, Di Cera. Mi son fatto prendere la mano dai ricordi di basket che s’intrecciano con i gol di Gino Pivatelli capocannoniere “Piva”e di Ezio Pascutti. Posso però dire di aver assistito anche ad una partita del Bologna a Ferrara contro la Spal, di questo ho addirittura un tema che feci a scuola che ne parla. Era il 25 aprile del 1955, Spal - Bologna 1 -1 con gol di Pivatelli. Assistetti anche al debutto di Giacomino Bulgarelli il 19 aprile del 1959 contro il Lanerossi Vicenza dove il Bologna vinse per uno a zero. Ricordo che mio padre diceva che quel ragazzo avrebbe fatto tanta strada nel nostro calcio, perché era intelligente, era studioso, veniva infatti dal liceo e per quei tempi era molto raro che dei liceali si dedicassero al calcio. Sorvoliamo gli anni di buio fino alla stagione dello scudetto quando sotto la guida di “Fuffo” Bernardini la squadra reagì all’infamia della denuncia per droga, conquistando all’Olimpico di Roma il suo settimo scudetto tricolore. È inutile specificare che allo stadio c’ero anch’io come dimostra la copia originale del biglietto che conservo ancora gelosamente come simbolo di una grande giornata indimenticabile. Abitavo già a Roma con la mia famiglia in quanto mio padre fu trasferito nel 1957 nella capitale con incarichi di capufficio nella ditta in cui lavorava, in quell’occasione ospitammo a casa nostra tutti gli amici e parenti che vennero da Bologna il giorno prima. Tutti insieme andammo allo stadio sparsi su più macchine targate Bologna con sciarpe e cravatte rossoblu, non avevamo nessuna bandiera ma bastava la fede. Molti romani ci prendevano in giro per il nostro modo di parlare in dialetto. Ma poi tutto l’olimpico tifò per noi e fu un tripudio, cominciammo i caroselli per Roma con le nostre auto targate BO e fu una gran festa, la sera mia madre preparò i tortellini e brindammo anche con del vino, io avevo 18 anni e bevevo già qualche bicchiere, senza esagerare perché “un atleta non deve mai bere molto!”, diceva mio padre” e non deve mai essere sregolato con le donne!” A quei tempi si reclamava poco sulle decisioni arbitrali perché finita la partita si discuteva fino a tarda ora senza vedere nessun filmato della partita, al massimo si potevano ascoltare alcune interviste dopo la gara principale trasmessa alla radio da Nicolò Carosio. Soltanto a partire dal campionato 1959-'60 i meno giovani si ricordano i pomeriggi con l'orecchio alla radio, iniziavano infatti allora le trasmissioni di “Tuttoil calcio minuto per minuto” ideato da Guglielmo Moretti che insieme a Roberto Bortoluzzi e Sergio Zavoli iniziano questa trasmissione che sarà la più seguita della radio la domenica, quando la TV era ai bagliori e nessuna partita veniva trasmessa ancora in diretta. Seguirono poi dei grandi radiocronisti come Nando Martellini, Enrico Ameri come prima voce, Sandro Ciotti, Ezio Luzzi per la serie “B”, Beppe Viola, le voci di un calcio che non c'è più: quello della genuinità, del sentimento.
Senza incidenti tra tifoserie, violenze negli stadi e fuori, assalti alla Polizia, quello del “Volemose bbene”, dello “sfottò” del dopo gara, delle scommesse di caffè o bevute al bar o colazioni da pagare per settimane intere. Avrei tanto piacere che i tifosi d’oggigiorno imparassero ad essere più sportivi, per evitare sgradevoli cori contro le squadre avversarie, se tutti facessimo “il tifo” solo per la nostra squadra, senza denigrare quella avversaria seppur di grande antipatia, daremmo una lezione di sportività notevole. Noi bolognesi siamo sempre passati per coloro che in Italia sono stati sempre dei gran intenditori ed è vero, in qualsiasi parte del mondo abbia lavorato, ho sempre trovato persone che hanno apprezzato i miei commenti a qualsiasi partita abbia assistito, questo vuol dire che sono stato educato bene a ragionare e non travisare con l’occhio del fanatico la partita. Mi piacerebbe reclamizzare molto questo motto che trovai scritto una ventina d’anni fa all’interno del palazzetto dello sport di Modena: “Rispetta sempre il tuo avversario…senza di lui non ci potrebbe essere l’incontro!”. Vi lascio con l’input di reclamizzare questo motto facendo magari uno striscione e di mostrarlo a tutti dando il buon esempio sul come si assiste ad una partita. Spero di aver fatto cosa gradita raccontandovi le mie prime esperienze di tifoso. Un abbraccio affettuoso a tutti e…… su col morale “Al Bulagna al vol samper venzer!!” P.S. Dimenticavo di ricordarvi la canzone del Bologna che sicuramente voi non saprete perché è roba d’altri tempi, non è quella che Dino Sarti cantava alcuni anni orsono, ma questa la cantavano i tifosi degli anni d’oro dei sei scudetti precedenti al 1963-’64 e della gloriosa Mitropa Cup.
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