Nel silenzio ovattato delle stanze del potere calcistico, la FIFA ha lanciato un segnale forte e chiaro: basta con il mercato parallelo tra club fratelli. Una stretta regolamentare che promette di ridisegnare le dinamiche del calciomercato mondiale, colpendo al cuore le grandi holding che negli ultimi anni hanno costruito imperi multisquadra, capaci di muovere giocatori come pedine su una scacchiera globale.
Il bersaglio non è nascosto. City Football Group, Red Bull, Pozzo, ma anche realtà emergenti come il gruppo proprietario del Brighton e dell’Union Saint-Gilloise: tutti dovranno fare i conti con una nuova filosofia che mira a restituire equilibrio e trasparenza al sistema. Non si tratta solo di limitare i prestiti, ma di spezzare un meccanismo che ha permesso a certi club di accumulare talenti, parcheggiarli, spostarli a piacimento, spesso senza che il calciatore avesse voce in capitolo.
La nuova norma impone un tetto: sei prestiti in entrata e sei in uscita per ogni stagione. Un numero che può sembrare generoso, ma che diventa stringente se si considera la mole di operazioni che certi club gestiscono ogni anno. Le eccezioni under 21 e giocatori cresciuti nel vivaio lasciano uno spiraglio, ma non bastano a mantenere intatto il vecchio sistema.
In Spagna, dove il fenomeno è particolarmente diffuso, la federazione ha ottenuto una proroga fino al 2026. Ma il segnale è chiaro: il tempo delle triangolazioni facili sta finendo. E non è solo una questione di numeri. È una battaglia culturale, che punta a restituire dignità ai contratti, stabilità ai calciatori, credibilità al mercato.
Il caso del Girona, rivelazione della Liga, è emblematico. Condividendo la proprietà con il Manchester City, ha beneficiato di prestiti strategici che hanno alzato il livello tecnico in modo esponenziale. Ma ora dovrà fare i conti con una nuova realtà, dove il talento non potrà più viaggiare in corsia preferenziale.
Anche in Italia, dove le multiproprietà sono state vietate ma i legami tra club restano forti, la stretta FIFA potrebbe avere effetti collaterali. Basti pensare al rapporto tra Napoli e Bari, che in passato ha sollevato più di un interrogativo. O al sistema di prestiti che ha permesso a club come Atalanta e Juventus di gestire decine di giovani in giro per l’Europa.
Il calcio moderno ha bisogno di regole nuove, capaci di tenere il passo con l’evoluzione del business. Ma ha anche bisogno di proteggere la sua anima sportiva, fatta di competizione leale, di meritocrazia, di storie autentiche. La mossa della FIFA va in questa direzione. E se sarà davvero efficace, lo dirà il tempo. Ma intanto, il messaggio è arrivato forte e chiaro: il calcio non è un gioco di società.
È, ancora, un gioco di squadra.
A cura di Francesco Forziati