Atalanta, Gasperini: “Chi non lavora duramente mi spaventa”

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Gasperini, l'Atalanta e il problema-centrocampo
Il tecnico dell’Atalanta, Giampiero Gasperini

Le parole dell’allenatore dell’Atalanta nel corso di un’interessante intervista rilasciata al tabloid inglese “The Guardian”.

BERGAMO – Gian Piero Gasperini, allenatore dell’Atalanta, ha rilasciato un’interessante intervista al tabloid inglese The Guardian. Queste le sue parole: “Durante l’allenamento, i miei giocatori devono lottare e sudare; quelli che non sono abituati a lavorare sodo mi spaventano. Ma dal sacrificio nascono le vittorie. Se non corri in allenamento, non corri durante le partite. Poi, ovviamente, è importante divertirsi anche in allenamento perché da ciò deriva lo stile di gioco e la qualità”.

Gasperini ha, poi, aggiunto: “Ho messo la foto di un branco di lupi nello spogliatoio. Ci sono dei lupi nella parte anteriore, alcuni nel mezzo e uno nella parte posteriore. Quelli in primo piano possono impostare il ritmo all’inizio. I lupi successivi sono i più forti, sono quelli che devono proteggere tutti se vengono attaccati. Quelli al centro sono sempre protetti. Poi ci sono altri cinque forti più indietro per proteggere un attacco da lì. L’ultimo è il capo e si assicura che nessuno venga lasciato indietro. Mantiene tutti uniti ed è sempre pronto a correre ovunque; per proteggere l’intero gruppo. Il messaggio è che un leader non si limita a rimanere in prima linea; si prende cura della squadra e questo è quello che voglio dai miei giocatori”.

Su Ilicic ha dichiarato: “Lo chiamavamo ‘Josip la nonna’ perché andava solo in giro ad essere gentile con tutti. Abbiamo dovuto convincerlo ad aumentare i suoi sforzi in allenamento. Gli mancava quel passo mentale, ma una volta cambiato il suo modo di pensare abbiamo smesso di chiamarlo nonna, ora lo chiamiamo ‘Il Professore’. Si è reso conto che ogni sessione di allenamento è divertente e da quella decisione è rinato. Cinque goal in Champions League in questa stagione sono un risultato eccezionale”.

Sulla maturità raggiunta da giocatori come Gomez e De Roon: “C’è un segreto: quando raggiungi la maturità necessaria per capire che il duro lavoro porta a risultati, non senti più la stanchezza. Non perdiamo di vista il fatto che i calciatori non si allenano duramente come tanti atleti di quasi tutte le altre discipline, dove gli allenamenti sono più duri e intensi. I miei giocatori devono ricordarsi questo e dare sempre di più. Non abbiamo mai avuto i mezzi per grandi investimenti, quindi abbiamo dovuto trovare giovani giocatori in giro per l’Europa che avessero la stessa filosofia. Capaci di adattarsi al nostro stile di gioco, di prendere la mentalità offensiva della squadra e che fossero disponibili a lavorare sodo. Chi ci crede è uno di noi, quelli che hanno paura, se ne vanno”.

Sui giovani: “Fin da subito ho voluto lavorare con i giovani. Bergamo viene considerata una città molto produttiva, dove il lavoro è fondamentale. Volevo un progetto composto da giovani che preferibilmente fossero cresciuti nel vivaio. Per troppo tempo la spina dorsale della squadra era stata vecchia, quindi ho cercato di evitare la retrocessione con un metodo diverso: avere piena fiducia nei giovani facendoli crescere dando la priorità alla qualità”.

Sulla difesa a tre: Molti anni fa ho proposto la difesa a tre quando ero allenatore delle giovanili della Juventus. Allora mi è stato detto che era troppo difensivo. Ho dimostrato che era il contrario: i tre difensori partecipano alla corsa, sono allenati per essere coinvolti in modo offensivo. Trovare lo spazio è fondamentale per un giocatore, io ai miei ho dato un consiglio: guardate l’arbitro, è sempre in una posizione ideale per vedere il gioco. Il Papu, in particolare, ha seguito questo consiglio e lo ha davvero aiutato. Se dovessi riassumere la mia filosofia difensiva in una frase, sarebbe che non ci credo e non crederò mai nel concetto di aspettare che il tuo avversario commetta un errore: penso che tu debba provare a rubare la palla per attaccare”.

Sulla vittoria agrodolce di Valencia: “Sembrava di essere in un paese dilaniato dalla guerra. Tutto è accaduto così in fretta, in pochi giorni non si sapeva più cosa potesse succedere. Ricordo che quando arrivammo a Valencia, trovammo una città piena che festeggiava per le strade, mentre a Bergamo si parlava già di situazione critica. Ci siamo resi conto di quanto fosse cambiata la situazione in sole 48 ore. Siamo passati dall’euforia alla paura. Bergamo è stata colpita profondamente da questo terribile virus, con tanti morti e tanti malati. Non dimenticherò mai le sirene nel centro di Bergamo, per tutta la vita”.