Calciomercato, un pozzo senza fondo …

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“So che è costato molto, ma così va il calcio moderno. Le grandi squadre vogliono i grandi giocatori, i grandi giocatori sono nelle grandi squadre, e le grandi squadre vogliono trattenere i grandi giocatori”. Questa la giustificazione di Josè Mourinho ai trentotto milioni di euro spesi dal Chelsea nell’estate del 2005 per acquistare Michael Essien, una cifra abnorme che all’epoca abbiamo quantificato nel peso del giocatore tradotto in lire, grosso modo un miliardo per ogni kilogrammo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ed i trasferimenti di Ronaldo e Kakà hanno ridotto quello di Essien ad una buona operazione di mercato, specialmente per le casse del Lione. Abramovich ha smesso di investire fiumi di denaro nel Chelsea, limitandosi ad acquisti pesanti ma sporadici, come accaduto con Fernando Torres e David Luiz, costati lo scorso inverno complessivamente ottanta milioni di euro. Abramovich ha costituito l’avanguardia per l’ingresso dei capitali d’Oriente nel calcio europeo, quello che ha sparigliato le carte ad un tavolo impolverato e povero di ornamenti usando la forza economica come una mannaia sulle rivali. L’uomo del gas, quarantenne d’assalto in jeans e camicia che colleziona yacht ed aerei privati per fare spazio agli scudetti, il presidente ideale per ogni tifoso che vorrebbe utilizzare i soldi come fossero coriandoli, l’esatto opposto della figura che Platini intende creare con il fair play economico, una rivoluzione che probabilmente, un giorno, vedrà la luce.

Per definizione i pionieri vengono presto superati e le loro opere diventano una mera testimonianza dei tempi andati, così Abramovich, già infastidito dall’avvento dei magnati americani che tra l’altro hanno goduto di alterne fortune, ha dovuto cedere il passo a quelli che un tempo avrebbe definito “colleghi” perchè operano con un’altra materia prima fondamentale come il petrolio. Emiri e sceicchi, tra Emirati Arabi e Qatar, hanno iniziato a comprare, pezzo dopo pezzo, il vecchio Continente prima invitando calciatori un pò in là con gli anni a promuovere i campionati locali, poi intervendo direttamente con sponsorizzazioni sempre piu estese, sino all’acquisto diretto dei cugini poveri di Manchester nel 2008, dove lo sceicco Mansour ha costruito un impero che attira i giocatori del momento, ingaggiati senza alcun riguardo per la spesa e poi, sin troppo spesso, relegati nel dimenticatoio in attesa del nuovo colpo da novanta. Per ampliare i suoi interessi, Mansour ha rilevato il Getafe, in competizione con il qatariota Al-Thani che ha da poco acquisito il Malaga, ma che punta forte sul rilancio del Paris Saint Germain, a secco di vittorie da ormai 17 anni, e per il quale ha predisposto un portafoglio illimitato ad uso e consumo dell’ex allenatore Leonardo. Il logo “Emirates” campeggia sulle magliette di Real Madrid, Arsenal (che vi ha dedicato anche lo stadio), Paris Saint Germain e Milan, mentre il Barcellona ha abbandonato la sua tradizionale estraneità alle logiche commerciali per passare direttamente dall’Unicef alla “Qatar Foundation”. Intanto lo stesso campionato russo ricomincia ad attrarre campioni offrendo contratti incomparabili per i nostri club, ed ora anche i giovani accettano le lusinghe dei petroldollari, Jimenez e Meghni sono soltanto gli ultimi esempi. I soldi spesso coincidono con il potere politico e guarda caso, se i Mondiali nel 2018 si svolgeranno in Russia, l’edizione successiva avrà luogo in Qatar: per allora l’opera di assorbimento del calcio europeo e prima ancora dell’intero sistema economico, condotta a gas e petrolio, sarà completata.

Nel frattempo, emiri e sceicchi competono a suon di acquisti: il Manchester City ha accontentato l’Atletico Madrid per Sergio Aguero, 45 milioni di euro cash il prezzo del trasferimento, ma da parte sua Mancini aspetta anche l’arrivo di Nasri ed Alessio Cerci. A Parigi replicano con Matuidi, Bisevac, Sissoko, Menez, Sirigu e Javier Pastore, con l’argentino che a sua volta è costato 43 milioni di euro per una valutazione che ha fatto contento Zamparini ma che non corrisponde minimamente al reale valore di mercato di “El Flaco”, un talento che ha ancora molto da dimostrare in termini di costanza e incisività. Zamparini ripete spesso che potrebbe vendere il Palermo ad un principe arabo, per ora si accontenta di cedere il suo giocatore migliore ad un investitore della stessa terra d’origine.

Sono invece al ribasso, ma per colpa di Roma e Palermo, i cartellini di Menez, otto milioni a fronte dei dodici spesi tre anni fa, e di Salvatore Sirigu, un nazionale che è costato quanto al Napoli Antonio Rosati, poderosa riserva da piazzare alle spalle di De Sanctis. In tutto questo l’Italia continua a recitare un ruolo da comparsa, messa all’angolo dallo strapotere delle concorrenti, già dilaniata al suo interno per i diritti televisivi e beatamente illusa di aver recuperato competitività con l’apertura al secondo extracomunitario. La serie A ha perso Alexis Sanchez e Pastore, rischia di salutare Snejider ed Eto’o, ma prova a compensare con gli argentini Alvarez (una mezza scommessa) e Lamela che invece è una scommessa totale che non convince nemmeno gli argentini, e l’unica dimensione transnazionale che sa darsi è l’aver nuovamente spostato a Pechino la finale di Supercoppa italiana.

La Juventus si adegua alle mosse avversarie virando su Mirko Vucinic, l’unico giocatore effettivamente disponibile (Aquilani a parte, prossimo al ritorno) dopo le chimere Giuseppe Rossi e Sergio Aguero, prelevandolo ad un buon prezzo dalla Roma che ha bisogno di disfarsi in tutta fretta degli elementi non piu’ utili alla causa. Non esattamente un top player, ma il tipo di giocatore che inserito nel giusto ambiente e con schemi a lui congeniali può tornare ad essere il craque di due anni or sono. In teoria, anche sulle sponde del Tevere sono recentemente approdati degli investitori stranieri e la prossima iniezione di capitali internazionali dovrebbe irrorare le nuove casse societarie, ma come abbiamo piu’ volte avuto modo di notare, il progetto americano è di stampo ben diverso dal modello “Mille e una notte” propugnato e realizzato da Mansour e soci. Così come dallo stile opulento di Abramovich e dei suoi imitatori Kerimov dell’Anzhi e Akhmetov dello Shakhtar Donetsk, dei quali rappresenta una copia in formato ridotto e un pò sbiadito. Sabatini sta svolgendo un discreto lavoro, ma il suo dietro-front su Kameni davanti alle reazioni della piazza denota una personalità da irrobustire, il prezzo di acquisto di Lamela è assolutamente fuori dalle righe, come la formula utilizzata per arrivare a Bojan – riserva nel Barcellona e nell’under 21 – fortemente vessatoria nei riguardi della Roma e l’ottimismo forse esagerato per Stekelenburg, portiere d’esperienza ma che l’Ajax, società da sempre votata al mercantilismo e alla cessione dei suoi pezzi migliori, ha trattenuto sino alla soglia dei trent’anni forse per mancanza di acquirenti seriamente interessati. L’argentino Heinze, classe di ferro 1977, sembra un affare solo perchè preso a parametro zero, alla sua età non è semplice invertire il trend di almeno due stagioni andate male. La posizione di De Rossi resta incerta e come andiamo ripetendo ormai da mesi, il centrocampista capitolino sente un forte bisogno di cambiare aria, anche se il suo attaccamento alla città, ad un tempo amata e odiata, lo potrebbe indurre alla permanenza e – si spera a Trigoria – al rinnovo del contratto. Borriello è tutt’altro che entuasiasta di riportare i suoi 25.000 goal in panchina aspettando che capitan Totti debba tirare il fiato.

Se vogliamo per forza trovare una qualche similitudine tra la cordata americana e il fronte arabo che sta avanzando prorompente in Europa, dato il continuo prolungarsi di una trattativa che va avanti dal mese di novembre e che troverà compimento solo dopo ferragosto, e innanzi all’estenuante tira-molla su ogni singolo aspetto del bilancio che minaccia di avanzare continuamente nuovi buchi, l’unica cosa da Mille e una notte, per adesso, è la durata del passaggio di consegne.

[Alessio Calfapietra – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]