Ora l’Italia è davvero uno strano paese. Conte non è né indagato, né deferito. Non è stato chiamato nemmeno per una testimonianza da nessun magistrato ordinario o sportivo (anche se è certo che Palazzi lo sentirà). Trarre conclusioni sul suo conto non è solo affrettato. E’ anche imprudente e scorretto. Un conto, infatti, è domandarsi cosa possa accadere; un altro è anticipare una sentenza.
Le certezze sono poche. La prima, sfavorevole a Conte, è che Carobbio è ritenuto un testimone credibile.
La seconda, favorevole a Conte, ma per ora poco pubblicizzata, è che il presidente del Siena, Massimo Mezzaroma, aveva stabilito un premio per il primo posto in classifica. Premio consistente da dividere tra allenatore (cui spettava la parte maggiore) e giocatori. Per me Conte non solo non sapeva, ma se avesse saputo avrebbe preso provvedimenti verso quei calciatori che avevano pensato di combinare la partita con il Novara. Carobbio è al limite dell’inverosimile quando afferma che Conte avrebbe detto: “Tranquilli, siamo già d’accordo”. Ma se l’accordo l’aveva fatto proprio Carobbio perché mai avrebbe dovuto saperlo l’allenatore? Per rimetterci, oltre alla faccia, anche i soldi?
Due parole, poi, vanno dette su Carobbio. Come ci si può fidare di un pentito? Perché la sua parola, già tradita sul campo e di fronte ai suoi tifosi, dovrebbe valere più di quella di tutti gli altri? Non è che incoraggiando il pentitismo si incoraggia anche il coinvolgimento di nomi famosi in modo da sembrare più credibili e ottenere così sconti di pena più consistenti?
Io credo che alla fine sia il Siena e sia Conte riusciranno a dimostrare la propria estraneità alla vicenda, anche se dovranno impegnarsi molto perché, di fronte alla giustizia sportiva, l’onere della prova è a carico dell’accusato, non di chi accusa. E questa è un’aberrazione. Tuttavia, fossi nei panni dei dirigenti della Juventus, eviterei di insistere sulla questione della terza stella, un tema che, a mio giudizio, irrita il Palazzo più di quanto sia dato a vedere. Opportuna, perciò, mi è apparsa la recente uscita del presidente Andrea Agnelli che ha corretto il tiro, sostenendo che sulle carte gli scudetti sono ventotto, ma nel cuore di tutti gli juventini risultano trenta. Le sentenze sportive spesso hanno una ragione politica e alla Juve dovrebbero saperlo. Meglio un passo indietro e il basso profilo se, come è probabile, a essere giudicato dovrà essere, nel prossimo luglio, anche l’allenatore della squadra campione d’Italia. Che probabilmente non c’entra e che, proprio per questo, non avrebbe bisogno di essere sballottato per questioni vecchi e decotte.
[Giancarlo Padovan – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]
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