Palermo, Hernandez: “A Palermo come a casa mia”

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Abel Hernandez è stato intervistato da TMWMagazine, il nuovo magazine targato TuttoMercatoWeb e scariabile gratuitamente dal sito in formato PDF. La Joya rosanero ha concesso una lunga intervista, eccola riportata su TuttoPalermo.net: Suoni e ritmi antichi, quelli della cumbia, che arrivano dal sedicesimo secolo, e che nella versione moderna hanno il sorriso giovane di Abel Hernandez. Esulta così, il ventunenne di Pando, lui che è legato visceralmente alla sua terra, al suo Uruguay:  “Ma da quando non c’è più Pastore, la ballo da solo”.

Partiamo da qua, dal suo ballo preferito.
“Era il modo mio e di Javier di esultare dopo un gol. E’ un ballo uruguaiano, argentino e colombiano, che mi piace tantissimo. Adesso nessuno ha il coraggio di farla, ma la sto insegnando ai miei compagni: ci sono tanti sudamericani in squadra e presto mi vedrete danzare con loro”.

Un ballo tutto sudamericano, segno che lei è molto legato alla terra d’origine.
“Sono nato a Pando, una cittadina di sessantamila persone, e lì sono rimasto fino a diciotto anni. E’ la mia città, la porto sempre con me,nel mio cuore”.

Così come il pallone.
“Già. Da quando ho quattro anni, non mi sono mai separato dal pallone. Prima e dopo la scuola giocavo nei campetti, poi ho iniziato a giocare nell’Atlanta e lì sono rimasto sino ad undici anni”.

Sempre da attaccante?
“Claro! E’ sempre stato il mio ruolo, sin dall’inizio”.

Come è nata la sua passione?
“Questione di famiglia. Mio padre, pur non professionista, giocava bene, molto bene, con i Canelones Wanderers”.

Dall’Atlanta, il Penarol.
“Per due anni, poi sono andato via. Giocavo sempre, non saltavo una partita, però non scendevo mai in campo nel derby, contro il Nacional. Ok una, va bene due volte, ma alla terza mi sono stancato e sono andato al Central Espanol”.

Lì il debutto tra i professionisti.
“Ero giovanissimo, ho giocato contro il Miramar ed anche quello era un derby, tra piccole. Purtroppo perdemmo per 2-0, sono entrato al 15’ del secondo tempo e non ho inciso più di tanto”.

C’è un allenatore dell’epoca al quale è legato anche oggi?
“Gustavo Diaz, senza ombra di dubbio. Ora allena il Defensor, ma è stato lui a portarmi al Central ed a convincere l’allenatore della prima squadra a farmi giocare coi big. E’ stata una delle figure più importanti della mia carriera”.

Perdoni la domanda: però, da attaccante nato, il gol non l’ha sempre accompagnata…
“Non ho mai segnato tanto ma una media di un gol ogni due gare non mi sembra male… Vivo per la rete, vorrei segnare sempre ma a volte ci riesci ed altre no. E’ il calcio, è la vita, la prendo con filosofia”.

Un piccolo difetto, sicuramente migliorabile, ma che non le ha evitato di avere uno splendido soprannome: la Joya, il Gioiello.
“Me lo ha dato il secondo allenatore ai tempi del Central, Adan Machado. E’ un nomignolo che poi mi ha accompagnato sempre, mi piace”.

Dall’Uruguay, poi, il salto in Italia.
“Con una tappa intermedia, diciamo. Perché stavo per andare al Genoa, era quasi tutto fatto. Avevo diciassette anni, il mio agente Pablo Bentancur con Mario Barilko, dopo due allenamenti in cui mi vide la dirigenza dei rossoblù, trovarono l’accordo. Poi feci le visite mediche, riscontrarono un piccolo problema al cuore ora più che risolto e non se ne fece di niente”.

Italia, per lei, fa rima con Palermo.
“E con Cavani. E’ stato per me un fratello maggiore, un tutor. Non lo conoscevo ma quando sono arrivato in Sicilia è subito venuto a conoscermi, a spiegarmi il campionato, a raccontarmi la città, a farmi da traduttore”.

Anche con la città, ha un feeling speciale.
“Esatto: abito nella zona di Mondello e devo dire che mi ricorda molto Montevideo. Mi sento a casa mia, anche le persone sono molto calde ma tranquille, con me abitano mia madre e mio padre e spesso dall’Uruguay si sposta anche mia sorella”.

Immaginiamo l’emozione, per tutti, nel vederla esordire contro il Lecce.
“Sono entrato al posto di Cavani, Ballardini mi disse di giocare tranquillo, come sapevo fare. Vincevamo 5-2, giocai 5 minuti e… Non toccai mai palla. Un po’ come alla seconda: 30 minuti contro il Chievo, sfiorai sì e no due volte il pallone”

Non tutti gli esordi riescono colbuco, ma il riscatto arriva subito con la Primavera.
“Sono state quattro partite meravigliose, una final-eight memorabile. L’ho capito quanto fosse diverso il calcio, perché in Italia da attaccante devi andare fino alla tua area, mentre in Uruguay quando pressi fino alla metà campo hai già fatto il tuo dovere. Ricordo come oggi la finale del campionato Primavera contro il Siena: 89’ minuto, ultima giocata ed un mio gol in spaccata che ci consegna la vittoria del campionato. E’ stato bellissimo, il mio primo trofeo, ho ancora a casa il titolo di miglior giocatore delle fasi finali”.

Il primo gol in A arriva invece contro l’Inter.
“Perdevamo 4-0 nel primo tempo, riuscimmo ad arrivare sul 4-3, poi Milito spezzò il nostro sogno. Però è stato bello segnare il
primo gol, fortuna che ne sono arrivati altri anche decisivi nella mia carriera”.

Altro capitolo importante della sua carriera è la Nazionale. Niente Mondiale, poi, ma una Coppa America da sogno.
“Ho giocato poco, ma i minuti fatti sono stati la cosa più bella del mondo. E poi vincere contro l’Argentina è stato formidabile, anche vivere quella sfida da fuori, col cuore, per i compagni. E’ stata una vittoria incredibile, siamo stati gli eroi di un paese. Pazzesco”.

Riavvolgiamo il nastro: è così legato all’Uruguay ed alle sue origini, tanto che il suo primo tatuaggio…
“E’ stato lo scudetto del Penarol, sulla gamba. Poi l’iniziale della mia famiglia, adesso… Diciamo che ho perso il conto, credo di averne quindici o sedici”.

Non male. Inoltre sfoggia anche una nuova acconciatura tutta da vedere.
“Ho finito il 2011 male, infortunandomi a novembre ed allora volevo dare un taglio drastico iniziando il 2012 così. Niente modelli, niente ispirazioni, c’è stato solo il consiglio prezioso di mia sorella”.

A proposito di modelli: ne ha uno particolare sul campo da gioco?
“Ronaldo, il Fenomeno. E’ e sarà sempre il numero uno, il mio sogno è quello di incontrarlo, almeno una volta. So che era a Parigi, ad incontrare il Psg, e manderò un sms al mio amico Pastore…”.

Raccontava prima delle sue passioni: il ballo si limita al campo o si diletta anche fuori dal terreno di gioco?
“Appena sono arrivato in Italia, quando avevo un giorno libero, andavo a ballare. Adesso penso al recupero, ma penso di tornarci presto, è una vera passione. Poi adoro lo shopping, ho un’intera collezione di cappellini, lo stesso vale per le macchine, ho preso da non molto un’Audi R8 a cui tengo tantissimo”.

[Marcello Scuderi – Fonte: www.tuttopalermo.net]