Pescara: tra enigma e cuore, nel ricordo di una grande impresa …

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È una calda giornata di autunno a fare da cornice alla partita della svolta. Una sfida decisiva per Giovanni Stroppa che sembra aver finalmente sciolto i suoi dubbi amletici sulla formazione da schierare in campo. Accovacciato ai margini dell’area tecnica, studia la situazione con sguardo assorto, ignorando i freddi richiami della tifoseria. È il protagonista dalle mille contraddizioni che ha infiammato le prime pagine del racconto a tinte bianco e azzurre. Caparbio e spavaldo, al centro di un turbine di critiche e punti interrogativi. In conferenza stampa, così umano nel raccontare il suo dispiacere e nel pizzicare le corde dell’interiorità e insieme così veloce a nascondersi dietro una maschera di pietra, risentito dalla domanda di qualche giornalista, e a lanciare battute che sono frecciatine con una nota di presunzione. Pensavamo che l’enigmatico Zeman li battesse tutti, ma non ancora conoscevamo Stroppa che, paradossalmente, sembra ancora più indecifrabile.

È chiaro che non è semplice entrare in campo, seguire con lo sguardo il gioco di colori sugli spalti, e insieme avvertire tutt’intorno una barriera invisibile di voci che consigliano caldamente di togliere il disturbo, una volta per tutte. Non che le critiche e i malumori non siano legittimi. Ma torniamo a noi. In occasione della partita di domenica scorsa, l’imperativo è convincere. E fare la pace con i tifosi pescaresi, che sono testardi più o meno quanto lo è il mister nel resistere all’alta marea e portare avanti il progetto avviato in riva all’Adriatico. Qualche giorno di ritiro, che ha consentito a capitan Cascione e compagni di rafforzare i legami all’interno del gruppo e lavorare con serenità, poi di nuovo tutti in campo. Si sa che nei momenti più fragili lo spirito di squadra, per forza di cose, inizia ad emergere, e lo fa insieme a una nuova forza di volontà nel correre a conquistare il pallone, con cuore e generosità, per dimostrare che ci siamo sbagliati tutti.

E preferiremmo esserci sbagliati tutti fin dall’inizio, se questo garantisse la continuità di quello schizzo di gioco ed identità affiorata dopo due mesi di sofferenze. Mi chiedo, bisognava arrivare a tanto per giocare una partita come quella di domenica scorsa, per ritrovare il gusto di essere trascinati nella mischia di sciarpe e abbracci dopo un gol? È Abbruscato a infrangere il digiuno da rete, infilando il portiere nell’angolino basso, seguito più tardi da Weiss che torna sotto la Curva a mostrare il numero diciassette, con quel fascino da campione indisciplinato. Ad ogni modo, le debolezze e i limiti non svaniscono come nuvolette di fumo. Nel posticipo di sabato sera, vincere sarà una vera impresa. Polverizzati i biglietti nel giro di poche ore, lo stadio sarà pieno di juventini in incognito, ma anche di tanti tifosi che, come recita uno striscione ormai ben noto, hanno fatto del Pescara il loro “unico grande amore”. Nessuno dimentica le cinque reti rifilate alla vecchia signora molti, molti anni fa. In fondo, il terreno di gioco è uno scacchiere imprevedibile e se illudersi non è bene, sognare, per il solo gusto di viaggiare un po’ con la fantasia, non ha mai fatto male a nessuno.

[Alessandra Pelliccia – Fonte: www.lavocedeipescaresi.net]