Atalanta, la promessa di Gomez: “Ridaremo gioia alla città di Bergamo”

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Atalanta, Gomez

Le parole dell’attaccante argentino del club orobico nel corso di un’intervista rilasciata all’edizione odierna della Gazzetta dello Sport.

BERGAMO -Il “Papu” Gomez, capitano e attaccante dell’Atalanta, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Queste le sue parole a cominciare dal senso di responsabilità: “Abbiamo l’enorme responsabilità di dover essere anche un esempio. Bergamo ha sofferto, tanto: era l’unica cosa che potevo fare, oltre a dare messaggi positivi. Anche restando in città: mai avuto il dubbio di andarmene. E non solo perché la pandemia poi è arrivata anche in Argentina o perché gli allenamenti potevano riprendere da un momento all’altro. Dobbiamo cercare di continuare a fare le cose straordinarie che stavamo facendo e abbiamo dovuto lasciare a metà. Saremo nel mirino, ma lo siamo sempre stati negli ultimi anni”.

Sulla ripartenza ha aggiunto: “Cosa significa per noi? Dovrebbe chiederlo a quelli che incontro per strada e mi chiedono: “Quando si riparte?”. “Sei in forma?”. Io posso dirle cosa significa per noi: la possibilità e la voglia di ridare gioia a chi ha sofferto in questi mesi. Non possiamo restituire morti, cancellare dolori: solo dare un po’ di allegria, fare pensare ad altro per qualche ora. Anche Bergamo mangia calcio, respira calcio, vive di calcio. Senza dimenticare. Favorevole alla ripartenza? Se me l’avesse chiesto due mesi fa avrei detto contrario. Oggi che la sicurezza è aumentata, che questo virus sembra meno aggressivo, dico favorevole. La Serie A è un’industria che muove milioni nel Paese: c’è tanta gente che ha bisogno del calcio per vivere, non solo i calciatori”.

Sulla condizione fisica: “Al mio fisico bastano 15-20 giorni per essere a posto, ma le dico la verità: quando ho visto come stavano i miei compagni dopo due mesi di quarantena, mi sono emozionato. E mi emoziono a vedere quanto corrono De Roon, Freuler, Hateboer, Gosens, Castagne: sono animali…Di cosa ho più paura? Cocktail pericoloso, ma il rischio maggiore mi sembra quello degli infortuni. Dopo due mesi a casa abbiamo perso un po’ il volume della muscolatura: saranno fondamentali alimentazione e riposo”. 

Sulle ambizioni della Dea: “Se rimarremo noi stessi? Al cento per cento: non siamo cambiati in tre anni e mezzo, non lo faremo perché siamo stati fermi due mesi. Poi già la prima partita ci dirà come stiamo, ma il Dna dell’Atalanta è quello: anche se non al top fisicamente non ci metteremo tutti dietro, nessuno di noi ha le caratteristiche per farlo. Porte chiuse? Abbiamo fatto più punti in trasferta che in casa (28 su 48), ma questo non cambia di una virgola l’importanza della spinta della nostra gente. Però vale anche per chi dovrà rinunciare a 50-60 mila tifosi. Quella sera a Valencia prendemmo tre gol: cosa sarebbe successo se a Mestalla fossero stati in 50.000”.