Da Colantuono a Colantuono. Con un occhio a non fallire

280

Da una finale playoff persa all’altra, sembra questo il prologo del matrimonio tra Stefano Colantuono e l’Atalanta. Uno strano ritorno – gradito da alcuni, osteggiato da altri – alla guida di una squadra appena retrocessa, guardacaso come cinque anni fa. Che sia simpatico o no, Stefano Colantuono è sicuramente un personaggio: vulcanico, aggressivo e sanguinario, il tecnico di Anzio è uno che le cose le dice in faccia. Gran comunicatore, un «Mourinho de borgata», le sue conferenze stampa si annunciano già come spettacolari.

Una scelta in controtendenza rispetto ad un anno fa, quando ci dovemmo accontentare di Angelo Gregucci, fin troppo mite, per poi risvegliarci con Antonio Conte – a parole sembrava di essere in Champions, ma i fatti… – e concludere la stagione con il buon Lino Mutti, il «Normal One», più simile a Gregucci che all’ex juventino. Rispetto ad un anno fa, il cambiamento più grande – ovviamente – sta nella dirigenza. Percassi, come un ciclone, ha risvegliato Zingonia e l’entusiasmo degli atalantini: la delusione della retrocessione sembra già dimenticata. La scelta di Colantuono, non è casuale, rispecchia appieno la scelta comunicativa del nuovo corso atalantino. Percassi, infatti, si è presentato in maniera diretta, con una conferenza stampa aperta, ma soprattutto di sostanza. Le seguenti interviste, poi, sono state molto interessanti, non si è ragionato per frasi fatte ma si è parlato di fatti. I fatti, ciò che conta di più.

Da Alessandro Ruggeri a Percassi, sembrano passati anni. Invece sono trascorse solo poche settimane. Ma forse è lì, nel rapporto con stampa e tifosi, la differenza più grande. Perchè se anche con i Ruggeri, dopo una retrocessione si è quasi sempre saliti, con l’imprenditore di Clusone, ora, si sogna in grande: stadio nuovo, investimenti nel settore giovanili, addirittura l’Europa. Calmi, è solo il 15 di giugno. Il 15 di giugno e c’è tanto da lavorare. L’unico obbiettivo, per cui tutti dobbiamo remare dalla stessa parte, è la Serie A. Che arrivi dominando il campionato, che arrivi per i rotto della cuffia, che arrivi giocando malissimo. Non importa, non ci sono scuse: l’Atalanta merita la massima serie.

OCCHIO ALLA SERIE B – «Stravinceremo la Serie B»… Occhio, perchè il campionato cadetto non è così facile come sembra. Non voglio fare la parte del pessimista, ma è sempre meglio stare con i piedi per terra. Questa stagione come gli anni passati, la Serie B si è dimostrata il solito incredibile, pazzo torneo. Torino e Reggina, per esempio, partivano un spanna, anzi due, sopra le altre. Come abbiano finito la stagione, lo sanno tutti. I granata, soprattutto, godevano dei favori di tutti gli esperti. Impensabile vederli ancora per un anno giocare contro Crotone e Cittadella. E occhio, infine, a non sottovalutare “squadrette” come le due citate una riga fa: ogni anno la Serie B riserva le sue sorprese. AlbinoLeffe, Grosseto, Sassuolo, Cittadella: sono solo alcune delle compagini che, negli ultimi tornei, hanno saputo mettere in crisi fior fior di squadre, allestite spendendo milioni di euro.

Per vincere la Serie B, non serve solo la tecnica. Serve tanta corsa, tanta grinta e, più di tutto, la testa. Se qualcuno non accetta la retrocessione e gioca senza voglia, l’Atalanta è finita. Scendere in campo svogliati vuol dire suicidio. Lo scorso, puntavamo all’Europa. Siamo finiti a Cittadella. Fallire non è più ammesso. Inizia una nuova pagina nella storia della Dea: una pagina tutta da scrivere. Sperando di riempirla di vittorie.

[Luca Bonzanni – Fonte: www.atalantanews.com]