Gabriele Majo: “Riflessioni sul caso Bologna”

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gabriele majo.pngPremesso che parlare di cosa avviene a casa d’altri è esercizio apparentemente facile – sparlare e gossippare è uno degli sport maggiormente in voga in Italia, e non solo – ma in realtà è difficile qualora si intenda confezionare un’analisi obiettiva e documentata, mi cimento in un esercizio di riflessione su riflessione su quanto accaduto ieri sul far della sera a Bologna, quando si è manifestato quello che il candido Gianni Morandi, presidente onorario del club felsineo ha definito un “fulmine a ciel sereno”, ovverosia le dimissioni del Presidente Zanetti e dei suoi stretti collaboratori, l’Amministratore Delegato Luca Baraldi e Stefano Trombetti (AD Segafredo). Beh, “fulmine” sì. Ma “ciel sereno” mica tanto. Perché in realtà la quiete a Bologna, da quando c’era stato il re-insediamento dell’odiato Luca Baraldi al timone operativo della Società, la calma non c’è mai stata.
E me ne sono personalmente accorto avendo avuto la ventura di partecipare, il 23 dicembre scorso, alla conferenza stampa di presentazione di Bologna 2010, documentandola su www.stadiotardini.com, con tanto di video delle invettive del kamikaze Emanuele Righi e delle non meno dure considerazioni dei giornalisti Francesca Blesio e Stefano Biondi, voci parlanti in quella occasione del fronte compatto della stampa, unita nel dissenso verso il manager di ritorno. Stampa che era partita lancia in resta dopo essere stata armata dai giocatori e dai tifosi che non avevano perdonato all’allora direttore generale alcuni sospetti espressi sul curioso andamento di Bologna-Lazio della passata stagione (2-3 in rimonta dei biancazzurri, inizialmente sotto di due gol). Io fossi stato in Baraldi mi sarei risparmiato tali esternazioni, sia a caldo che a freddo, che rimangono un errore di forma e di sostanza, perché quand’anche avesse avuto dubbi sull’andamento corretti della gara avrebbe dovuto esporli nelle sedi opportune e non parlando a ruota libera con supporter e giornalisti.

Ma al di là di questo indubbio peccato originale – sono cose che nel calcio succedono, se ne sono sopportate ben di peggio dappertutto ed immagino anche a Bologna – c’è qualcosa che sfugge sia a me, che al veterano Gian Carlo Ceci che pure era presente, in questo ostinato ostracismo, qualcosa che non riesco a capire, che potrebbe andare al di là della motivazione ufficiale chiaramente emersa durante la presentazione a Corte Galluzzi, quando Zanetti, in maniera piuttosto imprudente ne ha parlato, tirando in ballo perfino l’Ufficio Inchieste, pur essendo in diretta televisiva… Ho già avuto modo di esprimere il mio parere in quei giorni – ed è per questo che torno ora sull’argomento che con il Parma (e dunque col nostro blog) c’entra fino lì, a parte gli indubbi vantaggi che potrebbe ricavarne qualora l’ultima tormenta procurasse ulteriori danni sportivi alla classifica del club del capoluogo – per me l’intera piazza rossoblù è stata oltremodo autolesionista nella gestione dell’affaire Baraldi. E confermo a maggior ragione questo parere dopo gli ultimi clamorosi sviluppi di ieri.

Non riesco a capacitarmi come un ambiente che ha saputo farsi abbindolare da Porcedda, dopo gli stenti dei Menarini, sia riuscita a rompere il giocattolo che così difficilmente era stato messo insieme al fotofinish appena prima di quello che sembrava un inevitabile fallimento. Lo stesso regista dell’operazione Consorte (il quale pare abbia già presentato la fattura con un discreto onorario per la sua opera) lo aveva detto chiaramente che fino a cinque minuti prima dell’inizio della conferenza stavano per portare i libri in tribunale. La stampa – mi perdoneranno i colleghi bolognesi, ai quali voglio un gran bene per avermi sovente ospitato tra loro con spirito di simpatia e collaborazione – amplificando i malumori di tifosi e giocatori (soprattutto questi ultimi) hanno contribuito all’harakiri collettivo che si sta consumando sotto le Due Torri. Il push dei consiglieri di minoranza (che tutti uniti facevano però la maggioranza) sì è materializzato perché il presidente Zanetti, rottosi gli zebedei per le continue risse, ha deciso di lasciare la presidenza e il CDA, pur mantenendo il suo pacchetto azionario, anche se mi pare di avere letto che sia a disposizione di chi voglia acquistarlo.

Mi si perdonerà l’ignoranza, anche perché non ho il piacere di conoscere né il Sig. Pavignani, né la sua Plastica Marconi (e non essendo un agente della Tributaria neppure il suo fatturato o il suo conto in banca), ma mi pare una solenne Tafazzata essere riusciti nell’impresa di far uscire di scena l’imprenditore economicamente più importante dell’intera cordata, essendo il proprietario di un colosso multinazionale, la Segafredo. Egli ha saputo con pazienza sopportare la festa rovinata in occasione dell’insediamento, le indebite pressioni ricevute in questo mese per la sua scelta di puntare su un uomo (Baraldi) nel quale evidentemente nutre fiducia al punto tale da arrivare perfino all’atto più estremo, le dimissioni, pur di non cedere. Ho letto tra i commenti dei tifosi del Bologna sui siti delle testate locali che Zanetti si sarebbe comportato da buffone. No, direi il contrario: si è comportato da uomo. E quello che ha fatto è indubbiamente inusuale e depone a suo favore.

Uno più debole avrebbe ceduto al volere delle folle. Non penso neanche sia un atto di sfida del tipo: e mo’ cavatevela da soli, anche se lo si potrebbe interpretare leggendo nel comunicato di ieri queste parole: “Prendo atto che io ed i miei collaboratori non siamo in grado di svolgere in maniera soddisfacente quanto merita il Bologna FC. Al futuro Presidente, certo che avrà maggiori capacità gestionali rispetto a noi, auguro ogni successo.” Ho ragione di credere, però, che al di là del fumo della sacrosanta rottura di scatole di questo mese ci sia pure dell’arrosto più concreto. Nello stesso comunicato di ieri si legge anche: “Avendo riscontrato sia divergenze sugli aspetti finanziari sia ambigui comportamenti nell’ambiente interno ed esterno alla società, ivi inclusa certa stampa locale…”. Della seconda parte di questa frase si è diffusamente già parlato: della prima, ancora no. Divergenze sugli aspetti finanziari. Il suo uomo di fiducia (Baraldi) non più tardi di ieri mattina aveva informato il Presidente – su carta intestata del Bologna Calcio – che esistevano “numerose e rilevanti differenze tra quanto prospettato e quanto effettivamente riscontrato nella contabilità della Società”.

Situazione emersa dopo che Baraldi aveva portato avanti il primo compito che gli era stato affidato, cioè quello di “valutare la situazione finanziaria della Società”. In particolare l’AD uscito di scena aveva rilevato “una maggior cifra dei debiti – d’importo pari ad almeno 9.000.000,00 di euro circa – rispetto a quelli individuati nel dicembre scorso”. Situazione che secondo Baraldi “renderà con tutta probabilità necessario un ulteriore intervento dei soci, da realizzarsi con altro aumento di capitale sociale, oltre a quelli già eseguiti ed in corso di esecuzione, per un importo pari almeno ai maggiori oneri sopra ricordati.” Senza tali interventi, a parare del manager sarebbe “impossibile garantire al Bologna la continuità aziendale”. Insomma problemi seri che sarebbero già stati insormontabili contando su un azionista forte come Zanetti: immaginarsi con lui defilato. Eppure a Bologna si è preferito quisquigliare di altri argomenti come la mancata salita sul charter della squadra di qualcuno dei nuovi soci, poiché impedito dal nuovo, ma ormai già vecchio, management. Una sia pur piccola esperienza all’interno di una Società di calcio l’ho fatta, nel recente passato, ed ho imparato che la prima cosa da fare è cercare di proteggere la squadra dalle turbolenze esterne. Il provvedimento preso era, immagino, indirizzato a questo, senza dimenticare che lo stesso Pavignani era entrato negli spogliatoi, durante l’assenza di Zanetti, per parlare con Di Vaio & C.della bega Baraldi e cose similari.

Scusatemi, eh? Ma non esiste al mondo un comportamento del genere. La sacralità dello spogliatoio è inviolabile: figurarsi se durante i lavori si può presentare un socio per esternare malumori o peggio ancora fare il capopopolo, cavalcando un malessere già alle stelle. Questo significa volere il bene del Bologna? Mah ! Ricordo ancora quando Beretta, che non è Mourinho, quello che lo avrebbe ribattezzato Barnetta, ebbe l’ardire di mettere alla porta il presidente Angiolini (il quale lo aveva acquistato perché era quello che costava meno sul mercato e non certo per la sua personalità) che, ingenuamente, credeva di poter partecipare alla riunione tecnica prima della partita. Come uditore, eh? Non per andare a riferire di litigi interni alla compagine societaria… I giocatori, poi, hanno lo status di lavoratori dipendenti. Sia pure alcuni coperti d’oro, ma sempre lavoratori dipendenti sono. Non mi pare vi sia, tra i loro diritti/doveri, quello di andare a sindacare o peggio influenzare la linea di chi li ha assunti. E pazienza se, come mi hanno raccontato alcuni colleghi il 23 dicembre scorso, a Bologna c’è l’abitudine di portare i calciatori su un palmo di mano fin dai tempi di Signori. Il giochino del : “No a Baraldi” si è ingrandito un po’ troppo e come la pallina sul piano inclinato ha finito per creare conseguenze inimmaginabili. Ora Baraldi non c’è più e tutti saranno contenti. Ma non c’è più neppure Zanetti e dove potrà andare a finire il Bologna dell’azionariato popolare lo si potrà sapere solo più avanti. Suerte Bologna. Con tutto il cuore. Da un parmigiano.

[Gabriele Majo – Fonte: www.zerocinquantuno.it]