Milan, Honda d’urto sulla Serie A. Scempio FIGC. così non si aiuta l’Italia. Tristezza Kakà-Brasile: solo Leo può salvarvi

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E’ l’ennesimo paradosso di una realtà che ormai sembra creata direttamente da Zenone in persona: parlare dell’acquisto di un giapponese nel giorno in cui il calcio italiano dà un micidiale giro di vite agli extracomunitari. Il Milan su Keisuke Honda è una chiacchiera che ha già fatto il giro del Mondo: il più forte giocatore della Nazionale del Sol Levante in una delle squadre più amate in quella parte del mondo. Giusto considerare l’appeal mediatico, giusto fare i conti su merchandising e primetime asiatico (il famoso “spezzatino di mezzogiorno della domenica”), cavalli di battaglia storici di Adriano Galliani: sarebbe però altamente riduttivo però basare il discorso esclusivamente o principalmente su queste fondamenta, una grave mancanza di rispetto nei confronti delle doti tecniche di un calciatore importante. In queste ore ne ho lette un po’ di tutte: “attaccante”, “seconda punta”, “bomber”.

Chi, come me, è un estimatore di lunga data di questo giapponese dalla criniera dorata, sa che, nonostante il ruolo ritagliatogli in questo Mondiale da Okada, il suo habitat naturale è decisamente più dietro: basti pensare che al VVV-Venlo ha giocato addirittura terzino sinistro, in maniera forzata certo, ma non disastrosa. Essenzialmente è una “mezzala”, un ruolo che il calcio moderno tende a far scomparire: non è un trequartista, nè un’ala, nè una seconda punta, nè un regista o un mediano, ma un centrocampista completo, capace di dare l’ultimo passaggio come finalizzare o costruire. Ne avevamo parlato profeticamente nell’editoriale della scorsa settimana: Honda è stato di certo uno dei migliori giocatori del Mondiale, dunque un suo eventuale arrivo in rossonero darebbe ben altra connotazione ad un mercato finora disastroso. Non è il jolly saltato fuori con scadenza quadriennale: citofonare a Mosca, Cska, tant’è che da parte del club dell’Esercito non c’è molta disponibilità a trattare a cuor leggere una sua cessione.

Che Honda arrivi al Milan o meno, il solo fatto che se ne parli è il giusto esempio di un calcio sempre più globalizzato, com’è giusto che sia: a poco più di 10 anni dallo sbarco di Nakata, il suo degno erede, con una maglia ancora più prestigiosa (non ce ne vogliano gli amici giallorossi). Eppure la Serie A fa di tutto per castrare i suoi club, metterli in posizione di svantaggio nei confronti della concorrenza continentale, nella vana quanto altezzosa ambizione di portare giovamenti ad una Nazionale che fa acqua da tutte le parti. Non bastava la scandalosa gestione del nodo sugli stadi, di cui è responsabile l’intera classe politica italiana: bisognava aggiungere lo scempio sugli extracomunitari, avvenuto tralaltro a mercato già iniziato. Neanche nella peggiore bisca clandestina, le regole del gioco si cambiano in corsa. Un simile provvedimento serve solo a far salire ulteriormente i prezzi dei calciatori italiani, giovani o vecchi che siano, di livello o meno: quando la nazionalità diventa merce per far salire il prezzo, è la morte del calcio, un campo dove la tecnica ed il talento dovrebbero farla sempre da padroni, dalla Nuova Zelanda all’Inghilterra.

Vuoi limitare gli extracomunitari? Fallo in maniera trasparente, razionale, come nel basket, dove tra comunitari ed extracomunitari, ciascuna squadra di Serie A deve amministrare i suoi visti per tutta la stagione: un mosaico da far quadrare con la bravura dei gm, dunque con l’intelligenza nello scouting. Il minestrone sfornato dalla FIGC impoverisce ulteriormente un campionato già morto, di conseguenza anche la Nazionale: mentre in Spagna (non un esempio a caso) si fa di tutto per favorire gli investimenti dei club su stelle mondiali – e questo non intacca minimamente il rendimento delle Furie Rosse, anzi -, in Italia va di moda evidentemente seguire una linea masochista. Ovviamente, non ci sono colpevoli che pagheranno: daltronde, chiunque alle elementari ha studiato scienze conoscerà la resistenza proverbiale delle conifere sempreverdi. A buon intenditor…

A proposito di sciagure mondiali, inevitabile un passaggio in chiusura sul Brasile: Dunga ha dimostrato che Pato e Ronaldinho (sul cui futuro bisognerebbe aprire una parentesi articolata, appuntamento nelle prossime puntate) non servivano a questa Seleçao, semplicemente perchè questa squadra, di “Brasile”, non aveva nulla. Fallimento totale, su tutti i fronti: zero sorrisi, zero tecnica, zero spettacolo, con Robinho unica eccezione. Il numero 10 sulle spalle dell’ombra di Kakà metteva tristezza, per il Brasile e per il grande fuoriclasse che il paulista (maglia 22, o al massimo 8) è stato in passato. L’augurio più bello per i brasiliani? Ripartire per vincere il Mondiale in casa, nel 2014: per farlo serve un grande guru in panchina, che metta da parte la spocchia di Dunga (ed i suoi inguardabili vestiti) e riporti tranquillità, eleganza, simpatia. Valori morali che oggi la CBF può trovare solo in un personaggio: Leonardo Nascimento de Araujo. Che Leo si “sacrifichi” (e che bel sacrificio) e torni in panchina: per urlare con Pato, Neymar, Paulo Henrique e perchè no, Ronaldinho e Kakà (ma solo come chiocce per le qualificazioni), il celebre quanto ormai maledetto motto… Rumo ao Hexa!

[Francesco Letizia – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]