La serietà di Nesta, Carlo Ancelotti è il nuovo Paron Rocco del Milan

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Alessandro Nesta non ha detto niente di destabilizzante. Ho 35 anni e sono quasi a fine carriera. Letto bene, ho 35 anni e sono quasi a fine carriera. Nulla di più, nulla di meno. L’ovvio all’ennesima potenza. Come al solito, però, il calcio sovraccarica e deforma ogni virgola, per cui l’affermazione più scontata del mondo è diventata un caso.

Smontato in poche ore da Max Allegri in conferenza stampa, ma pur sempre lievitato un giorno sull’altro. Peccato. Occasione persa. Il calcio, il solito calcio, ha sfruttato le ore di libera uscita del “caso” per angosciare i tifosi del Milan sullo choc del ritiro (?) di Nesta e non ha colto, invece, clamorosamente, una volta di più, la serietà di questo campione. Alessandro Nesta è stato per tutta la sua carriera un grandissimo difensore, un atleta di classe cristallina che non è mai sceso in campo per intimidire qualcuno e che in carriera non ha mai fatto male a nessuno. La carriera ha fatto spesso male a lui, vedi i clamorosi infortuni in Nazionale ai Mondiali del 1998 e del 2002, nonchè i guai alla spalla nel Milan fra il 2006 e il 2007 e alla schiena fra il 2008 e il 2009, ma per tutta risposta Sandro non ha mai sfogato su nessun altro professionista come lui, in campo, le tensioni e le nevrosi di assenze così lunghe e angosciose.

Non ha mai rifilato calcioni sul petto ad un avversario nei derby (anzi, il rispetto fra lui e Francesco Totti a Roma è una delle poche cose che il derby capitolino può insegnare a quello meneghino), non ha mai incitato un compagno di squadra a fare un dribbling al tal avversario perchè il tal avversario è scarso, non ha mai detto che pur di vincere un derby avrebbe dato un rene scatenando la sacrosanta protesta delle associazioni che si occupano di assistere i malati e i bisognosi di donazioni salvavita. Questo è Nesta, il cui patrimonio di serietà è stato confermato dall’intervista resa a Carlo Pellegatti durante la settimana. Ogni tanto il ginocchio si fa sentire e non voglio trascinarmi per il campo. Ovvero, se una società punta su di me, io voglio dare il massimo, non voglio essere nè un pesò nè un giocatore inaffidabile sul piano fisico. Parole che sanno di realismo e correttezza, che profumano una dopo l’altra di lealtà. I tifosi del Milan, la squadra in cui Sandro milita in questo momento ma sarebbe la stessa cosa in un’altro Club e con un’altra tifoseria, hanno la garanzia che nel momento stesso in cui Nesta sentirà davvero scricchiolare il suo fisico non si accontenterà. Proprio così, quando accadrà, questo grande campione italiano non si accontenterà di tirare a campare mettendo una maschera dopo una panchina, di raccattare le ultime monete della carriera e di farsi tirare la volata in Società compiacendo la Curva con frasi velenose sui rivali storici, non sarà una presenza rabbiosa in campo anche dopo una meritata qualificazione europea. No, Alessandro Nesta, con la sua classe immensa e la sua sottile ironia laziale permeata senza retorica da un sano senso di giustizia, sarà sempre un’altra cosa. Su un altro lontano pianeta. Un modello unico, inarrivabile, irraggiungibile.

Milan Channel ha realizzato una lunga intervista a Carlo Ancelotti, nel suo ufficio di Cobham, nel Surrey, elegante borgo residenziale-sportivo a pochi chilometri da Londra. Tutte le persone del Chelsea che entravano, sorridevano. E uscivano ricambiate dal sorriso dello stesso Ancelotti. Dal terrazzo del suo ufficio, ogni giorno, il Cuore dei Tigre butta l’occhio su buona parte dei 32 campi del Centro sportivo del Chelsea. Aria buona, ecco quello che si respira nel nuovo mondo inglese di Carlo Ancelotti. Ogni tanto, nei momenti-chiave della stagione, qualche telefonata verso l’Italia e poi via a inondare di sorrisi la salubre provincia londinese. Può anche capitare di sentire al telefono quelli che si ritengono vecchi amici alle prese con una decisione coraggiosa, ma se ti rispondono che no, tranquillo, non ci vado, non è vero, attacchi tranquillo. Poi, magari, nel giro di due ore le cose cambiano ma è la vita di chi vive in maschera. Ancelotti Carlo, no. Il suo papà riposa in pace con la maglia del Milan accanto a sè e lui, il figlio, ti ricorda con voce calda ed espressione seria che un tifoso Milanista non può allenare l’Inter. Non lo può fare, perchè rispetta i suoi tifosi e i valori delle persone del Milan che ha conosciuto. No, con tutto il rispetto, altrettanto, per l’Inter e per i suoi tifosi, ma non lo può proprio fare. Uno così ti fa sentire a Cobham come se fossi nella Trieste degli anni Settanta, quando i messaggeri di via Turati andavano a sondare gli umori del Paròn nei rari momenti in cui il sior Nereo non allenava la squadra rossonera. Ancelotti, come Rocco, sorveglia i battiti del suo caro, amatissimo, Milan, dalla sua verde terrazza inglese, dalla collina delle sue emozioni e dei suoi ricordi.

Il signor Nucini ha dichiarato, sotto giuramento, in un’aula giudiziaria, di aver affrontato quando era un arbitro in piena attività un colloquio di lavoro favorito dall’Inter con la Banca Popolare di Milano (d’altronde lui l’aveva detto che i veri milanesi sono tutti interisti…) nel periodo in cui era guidata dal dottor Ernesto Paolillo che, poi, nel corso degli anni, è diventato amministratore delegato dell’Inter stessa. Tranquilli, non è nè il gioco delle tre carte, nè il ritratto di un contropotere. E’ semplicemente una testimonianza, una notizia. Una di quelle cosette che magari uno sportivo vuol leggere sul suo giornale di riferimento quando decide di acquistare, in una metropoli, un grande quotidiano sportivo. E dopo aver letta, si aspetta che qualcuno intervenga, ne chieda conto, magari anche punisca. Senza che qualcuno si possa permettere di dire e allora la Juventus…? E allora il Milan….? Parliamo di questo adesso, parliamo degli incontri di lavoro di un arbitro in attività collaterali ad uno dei tre grandi Club di riferimento del calcio italiano. Di Juventus e Fiorentina, di Lazio e Milan, di Reggina e altri si è già letto, verificato e sentenziato. Può, cortesemente, l’appassionato di calcio venire informato dal suo grande, storico, quotidiano di riferimento sulla rilevanza giuridico-sportiva dell’incontro fra il dottor Paolillo e l’arbitro Nucini risalente ai tempi in cui l’arbitro stesso era attivo e operativo sui campi di calcio? Tanto per la cronaca e solo per la cronaca, anche solo un brandello di cronaca, un rimasuglio, un anfratto fra i vari, tanti, troppi, accordi che asfissiano il nostro calcio. Non sarebbe male.

Daniele De Rossi merita rispetto e solidarietà. Nella maniera più totale, assoluta e convinta. Oltre ad essere uno straordinario giocatore, è una di quelle persone che vanno in campo senza calcoli e per amore. Una di quelle persone che, attraverso il calcio, vengono giudicate oltre il lecito. Daniele De Rossi ha sbagliato a Donetsk, ma in un mondo calcistico che trita di tutto si è deciso di farne un colpevole esemplare. Giusto o sbagliato, De Rossi avrà la forza per affrontare quello che lo aspetta e per assumersene la responsabilità. A volte capita, è successo anche su al Nord, nei decenni scorsi, con Franco Baresi, ai campioni del calcio di assommare l’adrenalina della partita ad alcune amarezze familiari. Non è un alibi e non sono attenuanti, eppure succede. Quando capita, il protagonista si guarda attorno e cerca nella massa urlante dei momenti belli anche e soprattutto la mano tesa e lo sguardo comprensivo di chi è capace di comprendere l’altra faccia del calcio, l’altra metà del cielo calcistico, Quella amarognola del giorno del giudizio. Se lo fa e trova solo un dito puntato contro, merità solidarietà. Vera e inossidabile.

[Mauro Suma – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]