Bologna: come stanno gli ex rossoblù?

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Vediamo che fine hanno fatto, vediamo come se la passano quelli che non hanno resistito alla tentazione di lasciare Bologna per andare a stare meglio.

Mudingayi, l’ultimo attratto dal miraggio della grande squadra, dal salto di categoria e dal prestigio che in rossoblù è una bella favola più che un fattore tangibile. E’ nell’Inter. Adesso infortunato, ma prima? Era un attore non protagonista. Giocava poco e quasi mai dal primo minuto. La spiegazione è semplice: il lavoraccio che svolgeva nel Bologna era fondamentale, ma lo stesso lavoro che lui sa fare bene, non ha in una grande squadra lo stesso peso, la stessa fondamentale importanza che aveva per le esigenze rossoblù. Il suo è un gioco di rottura che portato laddove, per abitudine e per classifica, serve più la costruzione della distruzione, non era quello del protagonista assoluto e per questo utilizzato <chirurgicamente>.

Prima di Mudingayi fu Britos a levare le tende. E’ a Napoli, per il secondo anno, votato a una sorta di crocifissione perenne. Prima un lungo infortunio, adesso una serie di errori vistosi. Siamo alle solite: nel Bologna che spesso deve pensare a non prenderle, c’erano e c’è un allenatore che fa del suo meglio per proteggere la difesa. Nella squadra che mira allo scudetto o alla Champions la regola è che i difensori si debbano <guardare da soli>, cosa che rende il loro mestiere molto più complicato. Neppure le quotazioni di Britos sono cresciute da quando gioca per i grandi traguardi. Anzi, è già tanto se non sono calate. La ribalta prestigiosa, comunque, non gli è servita per conquistare la Nazionale, per la quale, a Bologna, Miguel era un grande assente. A Napoli, invece, discutono se sia il caso di farlo giocare titolare e la Nazionale uruguaiana per lui è un miraggio, non più una possibilità concreta.

A proposito di Nazionale, questa volta italiana, ecco la storia recente di un’altra grande firma, quella di Emiliano Viviano, portiere. Super portiere, ai tempi del Bologna. Il nome in cima alla lista degli eredi di Buffon era il suo. Uno dopo l’altro aveva messo in fila, sotto di lui, Marchetti e Sirigu. Sembrava che la strada verso la gloria fosse spianata. Era un’illusione. Viviano era a metà fra Bologna e Inter, che appena lo ebbe, per sbaglio, alle buste, chiese a Guaraldi di riprenderselo indietro. Cosa che non avvenne. Dopo un grave infortunio, l’Inter lo girò al Palermo e fu una sistemazione provvisoria pure quella, comunque già lontana dalla zona Champions. Poi Viviano ha avuto seri guai anche a Firenze, dove Montella lo aveva accantonato e, parole sue, magari il Bologna lo avesse ripreso. La ruota delle illusioni aveva compiuto un giro di 360 gradi e Viviano sarebbe tornato di corsa al punto di partenza. L’ultimo esempio è quello di Portanova: via dal Bologna per andare al Genoa, dove le condizioni personali sono migliorative, ma quelle calcistiche, al momento, proprio no.

Prima di loro era stato Della Rocca ad essere sacrificato per denaro. Valutato ben 7 milioni dopo la bella stagione con Malesani, Zamparini prese la metà del giocatore portandolo in una squadra che aveva traguardi più altisonanti rispetto ai rossoblu. Poi infortuni e prestazioni poco convincenti hanno portato Della Rocca prima in panchina a Fienze e adesso a Siena dove lotta per una salvezza disperata.

E Ramirez? In premier non sta certo brillando, il suo Southampton pure, anche lui tra infortuni e gare incolore non ha certo aumentato il suo valore di mercato nè le sue quotazioni in ottica top club. Oggi lo vuole la Fiorentina come l’anno scorso e come l’anno prima ancora.

Il tutto per dire che non sempre è oro ciò che luccica. Che essere un protagonista, amato, in una realtà normale come quella rossoblù può essere una fortuna da tenersi stretti. Garantirsi un ingaggio più alto non sempre significa andare incontro a una migliore qualità della vita Ai giocatori come Diamanti e come Perez, che al Bologna hanno dato e stanno dando il loro meglio, è giusto augurare tutte le fortune del mondo.

Ma è importante che lo sappiano e che si voltino indietro per conoscere la storia di chi li ha preceduti. E la storia è questa: chi è rimasto, come Signori come Di Vaio o chi è tornato all’ovile, come Pagliuca e come Marocchi, ma anche come Binotto (anonimo all’Inter) si è trovato bene, è stato contento della propria scelta. E chi invece se n’è andato, attratto dal salto di qualità, ha scoperto che spesso la qualità della vita è figlia del ruolo che si ha in una club più che dell’ingaggio della possibilità di soddisfare la fame di successi. Vedi Baggio, a Bologna ha ritrovato la nazionale e un ruolo da protagonista, ma non ha resistito alle sirene nerazzurre. Come è finita? Dopo tanta panchina è dovuto tornare in provincia a Brescia per riassaporare il ruolo di leader. Diamanti a Brescia è già stato, anzi da lì è partito per fare il suo personale salto di qualità a Bologna.

[Sabrina Orlandi – Fonte: www.zerocinquantuno.it]