Catania, punto: il prezioso valore dell’autocritica

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Nel paese dei processi mediatici, dove chiunque si fa giudice (degli altri) solo per sottrarsi al banco degli imputati (ed al giudizio altrui), sarà tremendamente difficile esprimere un parere sensato su quanto accaduto allo Juventus stadium, questa domenica, almeno quanto difficile sarebbe, per gli stessi giudici, ammettere il torto delle sproloquiate sentenze di domenica scorsa, quando al termine della sfida contro l’Inter s’ascoltò davvero, di tutto e di più.

Stesso risultato in termini (sconfitta), stesso epilogo (goal allo scadere). Andazzo diverso: lo stesso auspicato “invano” allora, e passato adesso, con la riprova dei fatti, da “somma colpa” a prova principe per scagionare da ogni spropositata imputazione dinanzi ad una pur fondata colpa.

Il Catania, risultato utile in mano, difende. Dimostra di aver compreso la lezione di “gestione” impartita con la sconfitta contro i nerazzurri. Non si sbilancia mai in avanti, pur non rinunciando alle ripartenze, dedicando persino Castro e Gomez a specifici compiti di marcatura in fase di non possesso. Chiude gli spazi, costringe la manovra avversaria a girare a largo dall’area di rigore concedendo come unico sbocco offensivo il tiro dalla distanza.

Naturalmente, nonostante la Juventus, nonostante lo Juventus stadium, nonostante l’assenza di Bergessio e Barrientos (tra gli altri), è possibile lamentare la troppa renitenza nel gioco offensivo dopo aver, domenica scorsa, concentrato ogni attenzione sulla dissolutezza difensiva. Non che sia serio farlo, ma si può. Si “possono” tante cose, soprattutto quando si parla di calcio.

E poi, veniamo alle sostituzioni, tanto sospirate. Stavolta precedono tutte la prima marcatura avversaria. Il Catania regge bene alle modifiche tattiche portate dalla panchina bianconera limitandosi a piccoli accorgimenti in fase di copertura. Non cambia modulo né uomini, né sente il bisogno di reclamare alcun correttivo. Va tutto bene, come sarebbe potuto andar bene anche domenica scorsa.

Ed invece tutto precipita, allo scadere, in un epilogo che dà tanta amarezza quanti meriti è costretto a riconoscere a questo Catania, capace di reggere fino al 90° contro la Juventus, come avrebbe dovuto riconoscerli a quello che al Massimino, per 45′, ha monopolizzato la scena contro l’Inter, e quindi contemperarli con gli umori e le critiche seguenti l’amarezza della disfatta.

Cos’è cambiato? Nulla: Per chi in sede di commento si limita allo sforzo minimo di “alzare un dito” per “indovinare” un colpevole. Tanto per chi, dedicandovi più fatica e tempo, imbastisce un ragionamento che porta a constatare il miglioramento della squadra sulla base di costanza di gioco, tenuta del campo, identità, ovvero ciò che le aveva fatto difetto nelle ultime tre gare (opinione).

Se miglioramento c’è stato, e c’è stato, ebbene non è certo frutto delle critiche altrui, sproporzionate e spropositate, semmai dall’autocritica propria, costruttiva, della squadra. Il Catania ha capito la lezione, facendosi umile giudice di sé stesso, e da questo riuscendo a migliorarsi.

Quindi, azzardo: se anziché puntare il dito contro qualcuno, l’utilizzassimo per seguire il filo d’un ragionamento, capiremmo il perché certe cose non migliorino mai, il perché certe persone restino sempre le stesse, il perché certe parole vengano ripetute sempre.

Fila come ragionamento?

[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]