Dedicato a chi… sta bene fuori dall’Europa

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Cosa ti trasmette l’Europa, cosa ti lasciano le competizioni europee. Chi non partecipa non soltanto non può vincere, ma non può nemmeno toccare con mano le emozioni, le sensazioni, il prestigio, il fascino, la posta in palio immensa e unica che il mercoledì, o il giovedì di coppa può regalarti.

Abbiamo lottato, sudato le proverbiali sette camicie, realizzato autentici miracoli per festeggiare il raggiungimento dello straordinario quarto posto all’ultimo triplice fischio finale della passata stagione. La squadra, dopo aver scritto un’indimenticabile pagina di storia, ha dato il tutto per tutto nella doppia sfida contro il Werder Brema, la società ha fatto il meglio possibile fino a giugno, poi ha preferito la strada del mantenimento, ma, al tempo stesso, della coerenza, piuttosto che all’ambizioso tentativo di realizzare il definitivo salto di qualità. Ce la stavamo comunque riuscendo, è vero, mancavano due giri d’orologio e il sogno si sarebbe tramutato in realtà, ma talvolta basta davvero poco per aiutare il destino ed è un grosso peccato non venirgli incontro.

La buona sorte ci ha voltato le spalle in modo crudele e durissimo da digerire, si è pagata l’inesperienza, l’eccessiva emozione, il blackout in Germania, la strategia societaria, forse un po’ tutto, ma che orgoglio vedere 11 leoni a Marassi combattere, divertirsi, gioire, giocare da doriani in campo e, comunque fosse e sia andata alla fine, tutti coloro con indosso la casacca blucerchiata in quella serata hanno giustamente meritato gli applausi commossi e scroscianti del pubblico presente sugli spalti.

Per troppi tifosi, o forse meglio dire “simpatizzanti” in questo caso, l’esperienza europea della Sampdoria si è definitivamente chiusa al goal di Rosemberg, peccato per loro che ci attendeva l’Europa League, una competizione diventata oramai un appuntamento tanto frequente, quanto stregato in casa blucerchiata. Quando si chiamava ancora Coppa Uefa, nel penultimo anno di serie A prima del purgatorio tra i cadetti, ci pensò l’Atletico Bilbao ad interrompere subito la nostra avventura, poi durante l’era Garrone abbiamo partecipato in tre occasioni a tale competizione, riuscendo a superare il girone soltanto con Mazzarri. Oltre al Lens, ancora una volta nel recupero, è sempre stato il Metalist, squadra ordinata, ostica, ma sicuramente non insuperabile a raggiungere la qualificazione al posto nostro. In una circostanza invece fu l’Aalborg ad impedirci di arrivare addirittura al girone, rendendo inutili i precedenti passaggi del turno in Intertoto.

Lei viaggia spesso per l’Europa, la Sampdoria viaggia spesso per l’Europa, niente e nessuno può trasmetterti di più dell’avventura europea, che ti consente, al di là di arricchimenti turistici, culturali e di puro divertimento con i propri compagni di viaggio, di scrivere nuove pagine di storia, confrontarsi con nuovi palcoscenici, tentare una cavalcata potenzialmente capace di diventare vincente anche senza l’obbligo di alzare la coppa al cielo. Le serate europee non hanno prezzo, rappresentano ricordi indelebili, unici e particolari per qualsiasi vero tifoso, disposto ai salti mortali economici e ad ingegnarsi con ogni mezzo pur di non lasciare mai sola la propria amata.

Contro il PSV almeno per il primo tempo ho visto l’universo Sampdoria credere davvero anche con i fatti al passaggio del turno, alla possibilità di compiere un’altra impresa, dopo quella contro il Siviglia di due anni prima. Si giocava, ci si divertiva, si lottava e il Pazzo faceva il suo e non solo: il compito dell’attaccante consiste nel gonfiare la rete, lui è un campione e non si limita alla concretezza, cerca di svolgere il proprio mestiere nel modo più bello possibile, ovvero collezionare non semplici goal, ma eurogoal, la marcatura di testa contro gli olandesi è stato l’ultimo esempio. Nella ripresa il calo fisico, le mancanze di certi singoli e la maggiore esperienza degli avversari ci hanno impedito di giocarci il tutto per tutto in Ungheria contro il già eliminato Debrecen.

A Budapest andranno forse le riserve, soltanto 3 giorni dopo ci sarà la stracittadina, una partita attesa da tanti come l’appuntamento dell’anno; l’attende anche il sottoscritto, dandole però un’alta, ma giusta e non eccessiva importanza. Intendiamoci, prevalere sull’altra sponda calcistica cittadina trasmette una gioia indescrivibile, sarei un falso a negarlo e un trionfo trasmette grandi benefici psicofisici in vista dei successivi impegni, come dimostrato nella passata stagione nel bene e nel male. Ma non bisogna commettere l’errore di smarrire la bussola, perdere il contatto con la realtà. Recentemente ogni anno giochiamo due derby, l’Europa invece non c’è sempre, siamo stati abituati bene, ma la concorrenza è sempre più agguerrita, ci si può arrivare, come invece vedere gli altri gioire.

È tanto semplice, quanto controproducente diventare protagonisti di puro e autolesionista provincialismo. Il sottoscritto e tutti coloro che amano l’Europa avremmo sicuramente preferito giocarci la qualificazione in Ungheria, anche a pochi giorni dal derby. Per essere vincenti e non diventare vittime sacrificali del turnover, è sempre intelligente pensare ad un impegno alla volta, non fasciarsi la testa prima di essersela rotta e soprattutto non finire per concentrare un’intera stagione alla vittoria della stracittadina, perché considerarla come l’obiettivo principale dell’annata diventerebbe sinonimo di fallimento su tutti gli altri fronti e ci sarebbe comunque sempre il campo a sancire il verdetto di chi si merita momentaneamente la “superiorità cittadina”.

Solitamente nel calcio italiano chi si vanta della vittoria del derby e tralascia tutto il resto fa parte, o tifa per una squadra non abituata a vincere, che ignora cosa significhi giocarsi qualcosa d’importante che va ben al di là degli sfottò locali e di 180’. I derby sono importanti, rientrano nella categoria delle sfide più affascinanti e imprevedibili della stagione, ma sicuramente non meritevoli di essere messi davanti a tutto e tutti, altrimenti il Sampdoriano non si contraddistingue più, non è più se stesso, finisce per imitare tifosi di altre piazze.

Mentre uscivo dal “Ferraris” dopo l’eliminazione subita contro il PSV, mi rendevo ben conto di non essere l’unico arrabbiato e deluso per l’ennesima uscita di scena europea. La maggior parte dei presenti, sicuramente non numerosi sebbene con le scusanti del freddo e dell’orario (ma in Champions alle medesime condizioni contro un Bursaspor, avremmo comunque assistito ad una maggiore affluenza…), era incavolata, imprecava contro il destino e pensava a cosa poteva essere fatto e non è stato messo in pratica, a cosa poteva essere e non è stato.

Una minoranza può ritenersi “soddisfatta” per avere meno impegni infrasettimanali, per giocarsi al meglio la sfida contro l’altra sponda calcistica cittadina, per dover affrontare meno serate invernali allo stadio, ma forse un giorno si renderà conto di non fare il bene della Sampdoria. Uscire dall’Europa fa sempre male, fa ancora più male proprio quest’anno, quando avevamo modo di confrontarci con più competizioni e la rosa era finalmente più amplia e completa del solito per realizzare un po’ di sano turnover.

Qualcuno ha sempre sognato vincere il derby e non dormiva alla notte a pensare ai goal che hanno portato i propri beniamini a trionfare nella stracittadina, consentendo loro di sfottere i tifosi rivali. Io invece ho preferito essere e restare Sampdoriano, viaggiare spesso per l’Europa. Mi auguro come tutti di poter vincere altre coppe europee, ma, restando con i piedi per terra, mi accontenterei di vedere la mia amata andare il più avanti possibile, annotare nuove località nella cartina europea blucerchiata e assistere a nuove imprese contro compagini di gloriosa e riconosciuta caratura.

Il diritto di critica, entro i limiti del rispetto e del buon senso, resta intatto, ma non è meritevole per chi snobba le eliminazioni europee, oppure deserta gli spalti: questi Sampdoriani non dovrebbero criticare società, giocatori, o tecnici per presunti errori, o per trasmettere talvolta, a loro dire, l’impressione di ritenere, soprattutto in passato, la partecipazione europea come uno scomodo impegno, oltre ad una scarsa fonte di profitto, perché sono loro i primi a dare il cattivo esempio. Essere Sampdoriani non significa soltanto essere presenti, ma ricordarsi la propria storia e augurarsi che non si interrompa mai. La nostra storia parla di uno Scudetto nell’era moderna, di trionfi e finali di Coppa, la nostra geografia ha mantenuto il sapore d’Europa e il continente non ci conosce per i trionfi nei derby….

[Diego Anelli – Fonte: www.sampdorianews.net]