Il dominio dei presidenti distrugge il ruolo del direttore sportivo

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Siete direttori sportivi o da grandi volete ricoprire questo ruolo? Attenzione. Pensateci non due, ma cento volte. Perché i presidenti, come le stagioni, non sono più quelli di una volta e quelli nuovi vogliono fare i direttori generali, gli amministratori, i direttori sportivi e gli allenatori. Tolta quest’ultima categoria, per il resto non ci sono problemi: i padroni fanno come vogliono.

Prima i presidenti tacevano. Si vedevano, in qualche immagine in bianco e nero, mentre al Gallia organizzavano le serate, possibilmente allegre, che anticipavano, elegantissimi e capelli impomatati, con coppe di raro champagne. Firmavano assegni, sorridevano ai flash mentre stringevano la mano all’acquisto più roboante. Fine. Erano ricchi, stupidi (come si disse) e tifosi. Questi di oggi sono meno ricchi, meno stupidi e meno tifosi. E, udite udite, si considerano competenti. Aggiungete il piacere della fama e avrete il quadro esatto.

Si conosce Moratti, meno Branca, Oriali è stato sacrificato sull’altare di Mourinho. E’ notissimo Berlusconi, è noto Galliani, sono spariti nel Milan gli uomini di collegamento. Pure del prode Braida si parla poco. Ora l’agente all’Avana si chiama Bronzetti, che conoscendo il dialetto ternano e adesso lo spagnolo, può vantare titoli sufficienti per occuparsi di tutto il mercato internazionale. Nella Juve si scrive di Marotta, che dovrebbe dirigere, non di chi fa le operazioni.  A Roma guadagna titoli e comparsate televisive nonché amicizie,  l’ottimo pallavolista Montali e rischia di sparire, se non sta attento, Daniele Pradè.

Lotito sovrasta Tare: è il presidente a ricevere i procuratori, a parlarci, a far di conto, a decidere chi è il giocatore da prendere (ricorderete: “Zarate è più bravo di Messi”), a disegnare le strategie di mercato. Indimenticabile e degno di una commedia italiana in celluloide la sua gita nei paesi arabi per acquistare Zarate. L’immaginavano, alla Sordi, nei panni nobili dello sceicco bianco, un cammello posteggiato sotto una palma. A Udine spopola Pozzo, che non è presidente, ma patron. A Palermo si agita, si muove, pensa e parla e agisce Zamparini: Walter Sabatini, che pure è bravissimo, si muove nell’ombra, il sole spetta al capo pagante.

Domanda: chi è il direttore sportivo del Cagliari? Risposta, ottenuta grazie a un rapido sondaggio effettuato sotto casa: Cellino, l’americano. De Laurentiis (Aurelio, non Gianfranco) ha fatto sì che se ne andasse Marino, esperto, abile, ingombrante e non per il fisico: ora conta solo il presidente e si dice”Il Napoli di De Laurentiis”, non “Il Napoli” di Mazzarri e tantomeno di Bigon, noto per il padre, non per le azioni.

Potremmo andare avanti sino alla terza categoria. La conseguenza della riforma silenziosa è sotto gli occhi di tutti: il calcio italiano se la passa sempre peggio. Non è evoluzione o desiderio di progredire o risparmiare: in questo caso utilizzeremmo voti alti. No, almeno i soldi non c’entrano, visto e considerato che una montagna di euro finisce nelle tasche dei mediatori. Qui, banalmente, siamo di fronte a presunzione. E così si comprano ronzini anziché cavalli e non può essere un caso che vadano bene e facciano scelte intelligenti società come Chievo e Catania, che si affidano, tradizionalmente, ai direttori sportivi, che se ne intendono.

[Roberto Renga – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]