Inter: nuova struttura tattica i neroazzurri tornano a correre

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Finalmente. Finalmente l’Inter torna a galoppare, cattiva e vogliosa, tra le mura amiche di San Siro. Ormai, il Meazza faceva quasi paura. Quasi un paradosso di cui adesso si potrà fare volentieri a meno. Andrea Stramaccioni ha sfidato il momento più delicato con una nuova struttura tattica, studiata nel bunker di Appiano e lanciata già a Verona. La Strama revolution, una difesa a tre con un centrocampo diversamente organizzato, è ancora in piena fase sperimentale. Ma è nata sotto la stella migliore, nel momento più difficile. E ha mandato al tappeto con qualche patema – ma anche con una prestazione decisamente convincente, nel complesso – quella Fiorentina per cui da cinque giorni suonavano ininterrottamente i violini dei media. Aveva fatto della Juventus un sacco da prendere a cazzotti all’insegna di un gioco bello, rapido e barcelloneggiante. Ma a San Siro – fa quasi strano a dirsi, finalmente – è stata un’altra storia.

IL CORAGGIO DI CAMBIARE – Nella settimana decisamente più difficile (mediaticamente, s’intende) da quando è arrivato all’Inter, Stramaccioni ha scelto la via della rivoluzione. La avevamo definita illuminata, due domeniche fa, dopo la batosta contro il Siena. Illuminata perché dettata da un atto di fiducia da parte del gruppo oltre che del tecnico, tutti insieme verso l’inquietante strada del tre cinque due. Inquietante sì, perché i recenti precedenti fanno rabbrividire al solo pensiero. Ma quando c’è la convinzione di tutti, è giusto crederci. E Stramaccioni non ha agito a caso. Ha avuto il coraggio di cambiare nel momento in cui si rischiava di entrare nel tutto o niente, l’aut aut kierkegaardiano applicato alla favola dell’allenatore giovane che qualcuno aveva già provveduto a sbattere sulla graticola (nessuno dell’Inter, men che meno il presidente Moratti, sia chiaro). Il 3-5-2/3-4-1-2 nasce decisamente bene, perché arrivano sei punti contro due avversarie non semplicissime e in condizioni fisiche precarie. I riflettori restino però molto bassi, il lavoro resti l’unica ricetta: la strada è ancora lunga. Ma rivoluzionare in un momento simile è un atto di coraggio che ha pagato. José Mourinho si presentò a Milano con quel 4-3-3 che pareva inamovibile. Non si fece problemi a cambiare. Chi sa mutare le sue idee è decisamente più grande di chi si fossilizza su convinzioni non confermate dalla realtà.

LA DOPPIA CHIAVE TATTICA – A Verona, era stato un 3-5-1-1 in partenza con Sneijder, poi evoluto in simil 3-5-2 con Cassano per ragioni di qualità singole. Contro la Fiorentina, Stramaccioni ha proseguito sull’impianto base – ovvero la difesa a tre e l’attacco a due – sfruttando la variabile di un uomo offensivo in più. A patto, naturalmente, che la mossa d’attacco fosse supportata da un lavoro di sacrificio. In campo, quindi, con un 3-4-1-2 che blocca la qualità centrale voluta da Montella e concede un’apertura logica a una fase offensiva maggiormente pronunciata. Da qui, nasce quel Coutinho chiamato a pizzicare Pizarro in fase d’impostazione e imbeccare le ripartenze letali, specialità della casa per il brasilianino (un classe ’92, guai a chi se lo scorda). Un’Inter votata al sacrificio ma anche all’impostazione del suo gioco. Più casalinga, quindi, una variabile decisamente interessante a quel 3-5-1-1 che in trasferta spesso è la soluzione (specialmente in partenza) ideale, vista la ricerca dell’equilibrio costante da parte di Stramaccioni. L’Inter ha battuto la Fiorentina soprattutto sul piano della tattica e della stabilità di squadra. Quest’ultima, autentica sconosciuta a San Siro in questo avvio di stagione. Meglio tardi che mai. E adesso, Strama ha già in tasca due chiavi tattiche variabili con un impianto fisso da mantenere. E, naturalmente, da rodare ancora in tanti meccanismi, come il tempo prevede.

DALLA DIFESA IN SU, LE NOTE LIETE – Tante, le note liete da registrare nella prima serata soddisfacente al Meazza. Innanzitutto, una difesa che inizia a capirsi sempre meglio con lo schieramento a tre. Il cambio di mattonella per Pizarro ha schiacciato tutta la squadra nell’occasione del gol viola, ma la retroguardia ha tenuto con sicurezza nel secondo tempo. Juan è ruvido quanto basta e forte quanto è sempre servito in questa difesa, Ranocchia si sente più convinto dei suoi mezzi e continua il trend positivo, Samuel si è confermato affidabile quando chiamato in causa. Aspettando Chivu, che ne avrà ancora per un po’. E dire che Jovetic non era cliente facile, perché i tagli della Fiorentina sono arma insidiosa. Gli esterni hanno contenuto al meglio le avanzate delle frecce viola, bisogna registrare la fase d’impostazione a centrocampo: Gargano è un meraviglioso ruba palloni, corre per tre ma non può costruire la manovra. Cambiasso ha convinto anche negli inserimenti (velo delizioso…), ma in un centrocampo a quattro e non a cinque può essere ancora più utile l’impeto di Guarin. Naturale gestire gli elementi, visto anche chi subentra e sputa il sangue: Alvarez ha sempre voglia di pungere, che grinta Mudingayi.

LUNGA VITA AL PRINCIPE, ASPETTANDO UN ALTRO WESL’attacco merita una menzione a parte. Perché Milito avrà pure sprecato tanto, ma si prende un reparto da solo e per la rocciosa difesa della Fiorentina si trasforma in un incubo. In pochi fanno un lavoro simile. Ma l’analisi più interessante riguarda l’importanza di Cassano e Coutinho. Perché se Sneijder è infortunato, la prestazione della squadra contro la Fiorentina è la firma in calce sul ruolo che deve avere l’olandese in questa Inter. Essendo la coperta corta e l’equilibrio sempre su una linea sottilissima, Wesley serve da campione quale è, ma solo se ordinato e inserito negli schemi. L’esempio: Pescara, dove giocò senza strafare con una prestazione lineare e perfetta. Lo Sneijder confusionario, sempre alla ricerca del possesso immediato pur di essere faro visto contro il Siena e non solo, è un elemento poco utile per un’Inter che dell’incisività in attacco deve fare dettame imprescindibile.

CASSANO E COUTINHO: RENDIAMOCI CONTO – La tesi sul reparto offensivo dicevamo, naturalmente, deve toccare anche Antonio Cassano e Philippe Coutinho. Perché per la prima volta in casa, nella sua fase offensiva, l’Inter ha avuto un passo diverso. Il brasiliano è una pedina troppo importante per questa squadra. Punta l’uomo, scappa in velocità, cerca la giocata, vede diagonali e verticalizzazioni con una facilità impressionante. Un classe ’92, ricordavamo sopra, un anno in meno di quel Tello che nel Barça gioca una partita sì e l’altra pure e non ha nulla da invidiare a Philippe. Prestazione impeccabile in fase offensiva, sempre a pungolare tra le linee e a illuminare per chi il gol lo ha nel sangue. Lui questo deve ancora migliorarlo, il tempo c’è tutto. E che lavoro oscuro, su Pizarro: come un mosquito, Coutinho si piazza sul cileno e annebbia per larghi tratti la mente della Fiorentina, specialmente nel primo tempo. Scusate se è poco. L’ennesima prova brillante dimostra quanto meriti assoluta fiducia negli schemi di Stramaccioni, specialmente in questa seconda variabile tattica dove può diventare a tratti letale. Non c’è neanche più bisogno di parlare di Cassano. Definirlo l’luce dell’Inter pare riduttivo: mai una giocata inutile, sempre concreto nell’immensa classe che ne contraddistingue il gigioneggiare intelligente là dove la Fiorentina non riesce a prenderlo praticamente mai. Antonio punta l’uomo, segna senza sprecare mai, mette in porta Milito, accende San Siro con giocate meravigliose e non è mai banale. Un genio concreto, merce rarissima. La forma è in miglioramento, farne a meno è praticamente impossibile. Cassano è il perno intoccabile della manovra offensiva, Coutinho può diventarlo perché la fiducia la merita tutta.

IL DERBY E UN CAMMINO DA PROSEGUIRE – Insomma, l’Inter vista con la Fiorentina è bella. Non perfetta, ma almeno gagliarda e volenterosa, a tratti decisamente piacevole. Mai molle, sempre convinta. La rivoluzione tattica di Stramaccioni sta pagando, aspettando quei rientri che possono essere decisamente importanti. Palacio per dar fiato a Cassano è un’arma straordinaria, in un modulo che lo vedrebbe zanzara che ronza attorno a Milito. E poi, un Joel Obi che sta immagazinando benzina per tornare al massimo e un Cristian Chivu che nella difesa a tre è elemento fondante per capacità di impostazione. Il cammino è ancora lungo, la squadra deve rodare i meccanismi e trovare ancora gli equilibri in tante fasi. Ma sicuramente, il cambio di passo c’è stato e bisogna continuare a lavorare. Passando da Baku con tanti giovani, passando soprattutto dal derby di domenica prossima. Come sempre, per opinione comune, l’altare del nero o bianco: sarà tutto fantastico o tutto da buttare, probabilmente. In realtà quello che conta, e lo diciamo prima, è che l’Inter abbia trovato la strada giusta da imboccare, l’impianto su cui lavorare. Merito del suo allenatore, che un derby a San Siro ha vissuto in panchina e lo ha vinto. Cassano gli diceva: “Bene bene”, nel tunnel. Da avversario, poi ferito. Insomma, ci siamo capiti. Al resto, forse, penserà quel signore che non vedi ma c’è. Dicono si chiami destino

 [Fabrizio Romano – Fonte: www.fcinternews.it]