Bologna, Mihajlovic si racconta: “Faccio l’allenatore 24 ore al giorno”

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Le parole dell’allenatore del Bologna nel corso di una lunga intervista rilasciata ai canali ufficiali del club emiliano.

BOLOGNA – Sinisa Mihajlovic, allenatore del Bologna, ha rilasciato una lunga intervista ai canali ufficiali del club emiliano. Queste le sue parole a cominciare dal ruolo di allenatore: “All’inizio essere stato un calciatore ad alti livelli può aiutarti, puoi comprendere meglio come si sente un calciatore. Ma calciatore e allenatore sono due ruoli completamente diversi: all’inizio vivevo le partite come fossi in campo. Quando facevo il secondo di Mancini guardavo sempre la palla, lui guardava altre zone di campo, pensava ad esempio alle marcature preventive. Poi piano piano ti abitui e inizi a percepire le differenze. Io non sono uno sereno, invidio gli allenatori che riescono a stare seduti per novanta minuti. Da allenatore devi cercare di fare meno danni possibili”.

Sul rapporto con i giocatori: “Scherzando dico che sono liberi di fare quello che dico io. Abbiamo un bellissimo rapporto. Ogni tanto mi fanno arrabbiare, come dei figli. Ma sono dei bravi ragazzi. Ognuno deve vivere la propria età, e ogni tanto si fa una stupidaggine. Io quando avevo ventidue anni facevo anche di peggio, però cerco sempre di dare l’esempio e di portarli sulla strada giusta, facendogli capire che ci sono altri aspetti della vita oltre al calcio che sono molto importanti. Una volta finito di giocare a calcio devi imparare a stare al mondo. Con i ragazzi ho un rapporto paterno, o da fratello maggiore. Sempre con il rispetto dei ruoli. Ma con loro mi piace scherzare. Devi essere vero, leale e sincero. So che se voglio essere rispettato devo essere il primo a darlo, ma di rado mi è successo che mi mancassero di rispetto”.

Sul Bologna: “La mia prima squadra da allenatore è stata il Bologna. Una società di Serie A che dà fiducia ad un ragazzo che ha smesso di giocare da due anni ti rimane dentro, all’epoca non era una pratica molto comune. Sono cose che non dimentico, ed è uno dei motivi per cui sono tornato: mi sentivo in debito, e non mi piace avere debiti. All’epoca non andò bene, e volevo rifarmi, anche se sono convinto che se fossi rimasto fino alla fine ci saremmo salvati. Sono tornato per la gente: quando venni qui da allenatore del Catania in molti si alzarono in piedi, riconoscendo il mio lavoro”.

Sulla gestione del gruppo: “Come ho già detto, ho sempre avuto ottimi rapporti con i miei giocatori. Ho sempre detto le cose in faccia. Poi i calciatori sono diversi, non puoi trattarli tutti alla stessa maniera, devi trovare la medicina giusta per tirargli fuori il massimo. La cosa più importante è non dire bugie, nel bene e nel male. E non puoi essere iniquo nel modo in cui ti comporti con loro. Devi avere le palle, ma non devi andare oltre, devi far capire al giocatore che qualsiasi cosa tu faccia la fai per il suo bene. Bisogna creare la giusta atmosfera, senza di quella non vinci niente. Quando perdi devi lasciarli tranquilli. Io non mi arrabbio se un giocatore sbaglia il gesto tecnico, ma se sbaglia atteggiamento. Se i giocatori entrano in campo e non danno il massimo mi arrabbio, e sanno che se mi arrabbio non è bellissimo. Devi avere lealtà e garantire rispetto, oltre a riceverlo. Anche io posso sbagliare: ognuno di loro pensa a sé stesso, io devo pensare a venticinque giocatori. E se sbaglio con qualcuno, voglio che quel qualcuno venga da me e mi parli. Poi se riconosco di aver sbagliato chiedo scusa. Tutti i miei giocatori sanno sempre cosa penso in quel momento di loro, ma allo stesso modo voglio sapere cosa pensano di me, non voglio rancori o facce tristi. Per quanto riguarda la seconda domanda, ci sono stati momenti difficili. Ma in quei casi non devi mollare, devi adoperarti affinché passino velocemente. Ma non ho mai pensato di mollare, amo troppo il mio lavoro. Anche nelle difficoltà si cresce”.

E sui consigli per le punizioni ha aggiunto: “Se ne avessi li avrei detti ai miei giocatori, ma non è così facile. Sicuramente ci sono certi aspetti che puoi insegnare, ma per il resto devi avere piede. È una dote naturale, anche se poi ho perfezionato la tecnica nel tempo. Il calcio non mi piaceva molto, mi piaceva molto calciare le punizioni e gli angoli. Mi piaceva di più il basket, ma poi vedendo che le cose si mettevano bene decisi di continuare con il calcio. Sulle punizioni guardavo il portiere fino all’ultimo passo: se si muoveva la tiravo sul suo palo, se stava fermo sopra la barriera. Lo fanno in pochi sui rigori, figuriamoci sulle punizioni. Se vuoi calciare sul palo del portiere non devi mirare alla porta, ma ad un metro fuori dalla porta, perché c’è da considerare l’effetto”.