Samp: una maglia, un Capitano, un futuro…

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Quando ti rendi definitivamente conto che la tua luna è storta, nemmeno la rabbia accorre ad aiutarti nello sfogo.

Quando un pallone si insacca beffardo nella tua porta tredici secondi dopo il decretato recupero, sei lunghi minuti nei quali comunque ci hai provato, e ti condanna, e ti metti a sommare quante altre volte in questa balorda stagione ciò sia accaduto contro di te, nelle tue partite come in quelle a te strettamente collegate (Catania, Cesena e Lecce hanno fatto delle reti a tempo scaduto, o quasi scaduto, la loro fortuna), allora alla rabbia subentra un sentimento ancor più indigesto: la rassegnazione.

Capisci che è arrivato il tuo momento, inizi a mangiarti quel che resta delle dita, mentre la tua mente vola a quando la stagione era iniziata sotto un altro auspicio, quando non aspettavi altro che la musichetta risuonasse nel tuo stadio, quando nel tuo stadio la coppia d’attacco della Nazionale era formata da quei due, che oggi vuoi per malumori, mal di pancia o comunque situazioni mal gestite, senza incolpare maggiormente l’una o l’altra parte, non ti fanno più sognare.

E’ il tempo dei processi? No, non credo proprio. Quelli sono già stati fatti, ormai non c’è più niente di nuovo da aggiungere. E’ il tempo della speranza? Può darsi ce ne sia ancora, ma più che altro è il tempo dell’attesa. Dobbiamo solo aspettare il verdetto, positivo o negativo che sia, purtroppo credendo più nel fato, in un repentino cambiamento di sorte, piuttosto che nelle nostre forze, o in quelle del Bari e della Lazio. I calcoli non sono serviti. La rabbia neppure. Aspettiamo. Senza stare fermi. Come tifosi promettiamo che la fede, incrollabile, non mancherà. Mai. Sosterremo il blucerchiato dovunque finirà a giocare, dalle luci di San Siro contro un Milan scudettato, come nell’inferno cadetto in un arido sabato pomeriggio.

Una sola cosa resta da pretendere: ambizione, che, in minima parte, è iniziata a mancare nel mercato post-qualificazione ai preliminari di Champions League, quando nulla, se non la conferma dei big (e nemmeno tutti, vero Storari?), è stato fatto per rinforzare una squadra che si apprestava a vivere un’esperienza forse più grande di lei. Qualcuno se ne andrà. Qualcuno rimarrà. In parte, giustamente, sarà rifondazione, con la consapevolezza che quella principale deve avvenire a livello tecnico e dirigenziale, dove sono stati commessi gli errori più grandi, senza stare ad elencarli.

La squadra? Chi può dirlo… Di certo c’è che il blucerchiato è un qualcosa di viscerale, ti entra sottopelle e non se ne va, chi vi passa ci lascia il cuore, sangue e cuore. Poli nel derby non voleva aspettare nemmeno le direttive di Cavasin, gli bastava entrare, e dare il suo contributo alla causa. Perché il rosso della bandiera blucerchiata è sangue, che spargi sul campo in onore della maglia e dei tifosi, così come il blu è quello del cielo, al quale volgi gli occhi dopo un gol liberatorio, mentre il bianco è la purezza della nostra passione, ed il nero l’eleganza di uno stile unico ed inconfondibile. Purtroppo stavolta il rosso diventa il colore di un semaforo che non ci fa passare, il blu quello della profondità di un mare nel quale stiamo annegando, il bianco l’assenza di soluzioni, il nero il buio, pesto, nell’immediato futuro.

Poli chissà se resterà, perché è il pezzo pregiato di questa squadra, è il futuro del centrocampo italiano, è la “cassa” che può garantirti un futuro migliore. Nel caso se ne andasse, non potremmo che ringraziare questa fantastica perla del gioco del calcio, orgogliosi di averlo allevato e adorandolo per ciò che ci ha dato. Ma qualcuno deve restare. E faccio un appello. Capitano, mio Capitano, nostro Capitano. Da te, e solo da te può ripartire la nostra storia. Da te, che ci hai ridato una bandiera da onorare, un ideale al quale attaccarci, a noi che dopo quel numero 10 che risponde al nome di Roberto Mancini credevamo non ci potesse essere più nessuno in grado di portare una fascia con tanto merito.

Le sirene saranno tante, il tam tam incessante. Ma tu, Capitano, ci ami, quanto noi amiamo te, e solo insieme possiamo risalire la china, rialzare la testa e dire nuovamente “sì, ci siamo anche noi, venite a giocarvela, ma sarà dura, perché sul campo metteremo tutti i colori della nostra maglia”. Quella maglia sulla quale venti anni fa veniva cucito uno scudetto. Quella maglia che, anche senza scudetto, resta la più bella del mondo. Quella maglia che addosso ad Angelo Palombo è ancora più bella. Quella maglia che addosso a chi dimostra attaccamento ai suoi colori è per forza bella.

Quella maglia che merita un futuro migliore.

[Niccolò Bagnoli – Fonte: www.sampdorianews.net]