Totti: “Vicino al Real Madrid due volte, Monchi persona leale”

232

roma bandiera

Le parole dell’eterno capitano della Roma nel corso di un’intervista rilasciata all’edizione odierna del quotidiano Libero.

ROMA – Francesco Totti ha rilasciato una lunga intervista all’edizione odierna del quotidiano “Libero”. Queste le sue parole a cominciare dalla Roma: “Sono sempre stato un tifoso della Roma. È stato un sogno vestire quella maglia, il numero dieci, la fascia da capitano. Una volta che sono riuscito a ottenere questo sogno me lo sono tenuto stretto. Sono stato più fortunato rispetto a molti altri. Roma per me è la città più bella del mondo. Mare, montagna, sole, amici, parenti. Per me è una città che non cambierei con nessun altra al mondo. Perché la Roma o la Lazio? A me non dovete chiederlo. Per me Roma è la Roma. La Lazio non esiste. Non posso fare paragoni. Ciò non significa che sto parlando male di loro, tutt’altro. Per me la Roma è unica, così come i suoi tifosi. Sono passionali, sentimentali, danno tutto per la maglia”.

Sul Real Madrid: “Potevo andarci due volte. Ne ricordo una, nel 2003. Mi restava un anno di contratto. Ci sono stati alcuni problemi con il presidente per altri motivi, non miei personali. E il Real Madrid mi offriva qualsiasi cifra per andare lì. Complessivamente qualcosa come venti, venticinque milioni. E alla Roma molti soldi. Io, tra alcune cose e altre, avevo una convinzione di andare dell’80%. Inoltre, con la Roma non vivevo il mio momento migliore. Mi hanno offerto molto, qualsiasi cosa, anche la “10” di Figo, che avrebbero venduto all’Inter. C’era Raúl, capitano, simbolo di Madrid, che era quello che guadagnava di più. Ogni giocatore che arrivava doveva guadagnare meno di lui. Ci ho pensato molto. Ilary (non eravamo ancora sposati) mi disse che stava lasciando il suo lavoro e che sarebbe venuta con me. Alla fine Sensi mi ha parlato, abbiamo chiarito tutto… E sono rimasto. È stata una scelta dal cuore in cui la famiglia, gli amici, i tifosi e la Roma hanno pesato molto. Ho avuto la sensazione di fare qualcosa di diverso da quello che fanno normalmente gli altri, che non respingono club di questo tipo. Mi sentivo un grande giocatore e, allo stesso tempo, diverso. Con l’amore verso una maglia. Giocare con loro, appartenere a quel gruppo, sarebbe già stato fantastico. Non giocare dall’inizio non sarebbe stato un problema. Il Real Madrid non è un club normale. A tutti sarebbe piaciuto giocare lì”.

Su Cassano: “Cassano è un fratello minore. E’ venuto a Roma per me, perché diceva che fossi il suo idolo. Lo voleva la Juve ma ha scelto la Roma. Voleva giocare con me, era innamorato del mio calcio. Non ha avuto un’infanzia facile, così quando è arrivato a Roma l’ho portato a casa con i miei genitori. In allenamento massacrava tutti, a eccezione di me Batistuta e Samuel. Zebina, Delvecchio, Tommasi… quando sbagliavano un passaggio gli diceva: “Sei un pippone, vai a lavorare in farmacia”. Ti fa capire che personalità avesse. Era giovane e sfidava i trentenni. È vero che aveva torto, perché devi sempre avere rispetto .. Ma lo conoscevamo e sapevamo già com’era. L’abbiamo semplicemente accettato. A volte era persino esagerato, perché non aveva limiti, filtri, freni. Quando cominciava non la smetteva. Con Capello ha litigato milioni di volte. Si inseguivano in mezzo al campo durante l’allenamento. Ho visto scene incredibili, ma Fabio lo adorava perché sapeva di avere a che fare con un fenomeno. Capello voleva buoni giocatori, con carattere, e Cassano lo era”.

Sull’addio al calcio: “Sono onesto con me stesso, con il mio fisico e con la mia testa. So che c’è un inizio e una fine. Però ci sono giocatori come Messi, Ronaldo, me… con il diritto di decidere. Avrei fatto bene alla Roma anche oggi, ma non perché sono Totti, bensì per l’ambiente, i giocatori, l’esperienza, il marketing, per tutto. Non avrei nemmeno dovuto giocare tutte le partite, una sì e tre no. Venti minuti in una, la Coppa…”

Sul ruolo dell’allenatore: “Ognuno ha la sua opinione. Per me l’allenatore è essenziale, ma più come gestione che come capacità di allenare. Se hai una squadra da 20 stelle, è difficile dire a uno di loro come fare la diagonale. Se fossi un allenatore, direi: “Mettiti la maglietta e gioca”. Cosa può dire Zidane a Sergio Ramos? Deve gestire il gruppo. Stile Mourinho, intelligente, sveglio. Si assume la piena responsabilità e dà libertà alla squadra. Per me questo è il concetto di grande allenatore”.

Su Monchi: “Un rapporto con alti e bassi. Non mi sono mai sentito importante nel progetto. Lui per me è una persona leale, sincera, molto professionale. Non è stato facile il suo arrivo. E’ passato da Siviglia, dove è rimasto per 30 anni, a Roma dove tutti si aspettavano il massimo. E’ arrivato in un momento singolare della gestione americana, penso sia stato mal consigliato. Non si è circondato delle persone che volevano davvero lasciargli fare il suo lavoro. Ha avuto fiducia in altri che pensavano di più a se stessi”.