Tutto un altro Bologna … (il punto)

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Il fendente mancino di Gaston Ramirez che ha fatto esplodere il Dall’Ara domenica contro il Cagliari è solo la punta dell’iceberg. Dietro a quel gol c’è una squadra che fa della grinta la propria caratteristica principale, una squadra che lotta su ogni pallone fino al novantesimo e oltre, una squadra che gioca un calcio a tratti molto piacevole e sicuramente sempre ordinato e propositivo.

Anche se il recente passato è fastidioso e faremmo volentieri a meno di rivangarlo, proviamo ancora per una volta a voltarci indietro e a ripercorrere gli eventi che hanno contraddistinto questi ultimi mesi in casa rossoblù, perché solo così si potrà realmente comprendere la grandezza dell’impresa realizzata da questo gruppo. La stagione 2010/2011 poteva essere semplicemente ricordata come quella delle malefatte di Sergio Porcedda, come quella del ritorno del ‘nemico’ Baraldi e delle mille proprietà cambiate, addirittura come quella del fallimento e della scomparsa del glorioso Bologna F.C. 1909.

E invece no, perché questa (se tutto filerà liscio nelle ultime dieci giornate, con la salvezza che ormai è davvero a un passo) sarà ricordata come la stagione della rinascita, come quella della vittoria a Torino contro la Juventus dopo trent’anni e delle cento presenze in maglia rossoblù di capitan Di Vaio, come quella del perfetto mix fra giovani ed esperti e della ritrovata voglia di sognare. E se fuori dal campo sappiamo benissimo chi dover ringraziare, mi riferisco all’ingegner Consorte e a tutti i soci di Bologna 2010 (e, perché no, anche a tutti quelli che hanno aderito alle associazioni), sul campo il discorso è un po’ più articolato. Qualcuno potrebbe far notare che molti dei giocatori presenti quest’anno e costantemente fra i migliori (vedi Viviano, Portanova, Britos, Mudingayi e, manco a dirlo, Di Vaio) sono un’eredità della vecchia gestione. Sì, è verissimo, ma ad essi sono stati affiancati dei giovani con grandi qualità (su tutti Ekdal, Rubin, il sorprendente Della Rocca e Ramirez) e altri giocatori esperti come il granitico Diego Perez.

Gli ingredienti per ottenere un ottimo impasto quindi in parte c’erano e in parte sono stati aggiunti, ma amalgamarli alla perfezione non era compito facile. Quello che realmente è mancato al Bologna nelle ultime stagioni è stato infatti un grande allenatore, un mister capace di portare avanti un credo tattico ben preciso e di dare alla squadra una propria identità. Alberto Malesani, arrivato fra la perplessità generale, si è dimostrato giornata dopo giornata quella figura che il Bologna da anni stava disperatamente cercando, il vero artefice di questo piccolo grande miracolo. Il tecnico veronese non ha avuto paura a lanciare dal primo minuto tanti ragazzi che mai erano stati presi in considerazione (il già citato Della Rocca è l’esempio più lampante, ma non va dimenticato nemmeno Casarini) e ha corretto le tante lacune della squadra donandole una fisionomia ben definita modellata su un solido 4-3-1-2, permettendo così ai giocatori più importanti di esprimersi al meglio. Inoltre, nel periodo buio di crisi societaria, ha saputo compattare intorno a sé lo spogliatoio ricevendo dai giocatori grandi attestati di stima fuori dal campo e grandi prestazioni sul rettangolo verde. Grande merito va dato anche a Carmine Longo che in questo tecnico, reduce da esperienze con poche luci e molte ombre e tanto bistrattato, ci ha sempre creduto.

Anche l’ultimo episodio della piccola tirata d’orecchie al ‘Niño’ Ramirez testimonia come Malesani sia ormai perfettamente in controllo della situazione e sappia benissimo quello che ogni giocatore della rosa può o non può dare alla causa rossoblù(anche l’aver rigenerato Mutarelli è un altro discreto miracolo). Con Ramirez ci troviamo di fronte ad un gioiellino di raro splendore che deve però ancora crescere molto e imparare ad ascoltare il meno possibile le voci che lo descrivono già come un fenomeno. A Palermo hanno fatto credere a Pastore di essere il nuovo Maradona, e ora vediamo i risultati. E non ci si può dimenticare nemmeno del caro vecchio Mourad Meghni, che dopo due palleggi in allenamento a Casteldebole era stato dipinto come il discendente diretto della dinastia Zidane.

Premettendo che quelli che con la palla fra i piedi ci sanno fare devono giocare sempre, è importante che il loro talento sia messo al servizio della squadra e che le grandi giocate siano utili e non fini a sé stesse. Anche grazie agli insegnamenti di ‘papà’ Malesani il giovane uruguaiano potrà diventare un campione vero in grado di regalare al meraviglioso pubblico di Bologna altre emozioni intense come quella di domenica scorsa. Guardando invece alla prossima domenica, il calendario prevede un’ostica trasferta in quel di Lecce, per affrontare una squadra appena ripiombata in zona retrocessione che certamente vorrà giocarsela con il coltello fra i denti. Si prevede una gara tosta ed equilibrata, dove anche un minimo episodio potrà fare la differenza. Per i rossoblù la salvezza è lì a un passo ma ancora deve essere matematicamente conquistata, per questo non possono più verificarsi cali di tensione come quello di Genova di qualche settimana fa. È vero, i salentini hanno un disperato bisogno di punti, ma la ‘banda del Male’ ha ancora tanta voglia di divertirsi e di stupire. La prudenza è d’obbligo, perché negli ultimi anni ne abbiamo viste di tutti i colori, ma stavolta sembra davvero tutto diverso. Stavolta è tutto un altro Bologna.

[Simone Minghinelli – Fonte: www.zerocinquantuno.it]