Bologna, il punto: cercasi identità precisa

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Venticinque giornate e il Bologna non ha ancora un volto, un’identità precisa. Pioli non riesce a identificarsi in questa squadra, non riesce, come l’anno scorso, quando virò con decisione verso il 4-2-3-1 e con quel modulo tirò diritto fino ai 51 punti, a trovare il suo schema e i suoi undici uomini titolari.

Il Bologna non è nato a immagine e somiglianza del suo tecnico e il suo tecnico non trasmette personalità al Bologna. Anzi, molto spesso, in trasferta, il Bologna non ha un volto, ma vede sempre quello degli altri riflettersi nel suo specchio. L’incertezza genera un continuo adattamento, genera una girandola di moduli e di uomini che si alternano in funzione dell’avversario. Può darsi che davvero il Bologna non abbia la forza e la personalità necessarie per essere convincente e vincente anche fuori casa, ma è comunque strano che fra il Bologna casalingo e quello da trasferta ci sia una differenza tanto marcata. A gente come Diamanti, Perez, Gilardino e allo stesso Curci il fattore campo dovrebbe fare il solletico.

Non solo la continua alternanza fra la difesa a tre e quella a quattro: alla causa non giovano neppure i dualismi. E’ ovvio che ce ne siano in una squadra dalla rosa molto ampia, ma dopo venticinque partite dovrebbe servire anche alla stabilità degli stessi giocatori sapere che esistono gerarchie, che esiste una formazione titolare.

Alcuni uomini non sono convincenti e quindi stanno in perenne ballottaggio o gli uomini chiamati al perenne ballottaggio non sono convincenti? Cerchiamo di capire. Ad Agliardi di certo non ha giovato sapere che erano più gli infortuni di Curci ad allungare la sua vita di titolare della fiducia riposta nei suoi mezzi. A Morleo non ha giovato il continuo alternarsi sulla fascia sinistra con Cherubin né deve essere particolarmente chiaro a Garics e a Motta, a parità di cross sbagliati, che cosa debbano o non debbano fare per essere considerati i titolari della fascia destra.

L’ultimo è anche il più eccellente dei ballottaggi: quello fra Gabbiadini e Kone. L’incertezza, è vero, esiste: cinque gol ciascuno in campionato e il greco, più centrocampista, maggiormente funzionale alla partite in trasferta; Gabbiadini, attaccante puro, più compatibile con le gare in casa, dove prendersi un rischio più è normale.

Il tutto per dire che Pioli ha i suoi buoni motivi per tenere la squadra nell’incertezza. Si tratta di capire se questa giovi al gruppo, lo stimoli, lo tenga sulla corda e induca tutti quelli a rischio di perdere il posto a dare il loro massimo o se, al contrario, l’incertezza generi incertezza.

A giudicare dai pessimi risultati che il Bologna porta a casa dalle trasferte, vien da credere che per Pioli sia arrivato il momento di uscire dagli indugi. E’ possibile che se il tecnico sposerà una sola causa, tutto il gruppo tiri un sospiro di sollievo. E’ normale che l’allenatore si prenda il tempo necessario a capire, a valutare e a soppesare le tante opportunità che trenta e passa giocatori in rosa gli offrono. Ma fino a un certo punto. Dopo venticinque partite, dopo un intero girone e un terzo di quello di ritorno, è una possibilità che la squadra abbia bisogno di sapere che squadra è, quale modulo le stia meglio addosso e quali, fra i tanti, siano gli undici migliori interpreti dello spartito.

Il Bologna, lo sappiamo bene, non è una grande. Quindi, niente paragoni con la Juve, il Napoli o il Milan che la loro difesa, almeno in partenza, non la cambiano mai, chiunque sia l’avversario di turno. Ma tanto quanto il Bologna neppure il Pescara e il Siena l’hanno cambiata. Lo hanno fatto Genoa e Palermo, ma la causa è da cercare nei cambi degli allenatori delle due squadre. Il Bologna è l’unica squadra ad aver rigorosamente alternato la difesa a tre con quella a quattro pur avendo mantenuto lo stesso allenatore dall’inizio del campionato.

É vero che un buon allenatore deve sapere come giocano gli avversari e quali dei loro punti forti possono mettere a disagio la sua squadra. Ma se il continuo turn over di uomini e di moduli genera instabilità e se, soprattutto la prudenza non produce gioco, può essere saggio iniettare nelle vene dei giocatori un po’ di certezze e di spregiudicatezza.

[Sabrina Orlandi – Fonte: www.zerocinquantuno.it]