Catania: Pietro O’Profeta

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CATANIA Sono bastati 90’ di ordinaria anomalia sul campo dei campioni d’Italia e come al solito il calcio riesce a smentire se stesso. Un Catania con una personalità e un gioco che non si ricordano in casa e fuori, stecca in pieno l’esibizione sul palcoscenico più prestigioso del campionato. Il Milan con una delle peggiori difese in assoluto, meritevole perfino di richiamo ufficiale dal vice presidente Galliani, blinda la rete seppur a secco di mediani e baluardi difensivi. Sono bastati 90’ di ordinaria trasferta e come al solito ogni giudizio riesce a smentire se stesso. E allora la sicurezza si fa presuntuosità, l’esperienza trasmuta in ingenuità e la forma fisica diventa muscolo senza cervello. La contraddizione è il sale del calcio non del pensiero, quella del gioco è affascinante mentre quella della lingua è tediosa. Ormai è prevedibile come la finta a rientrare dell’indimenticato Giorgione Corona (quella del gol al Barbera), e dato che non ci piace abboccare alla De Martis spazziamo palla e polemiche in tribuna.

La chiave del successo è l’equilibrio, ma non solo sul terreno di gioco. Quello in campo porta la prestazione e fa felici i tifosi, quello fuori dal campo toglie la pressione e fa felici i giocatori. Per anni ci siamo detti che il Catania è una realtà che ha bisogno della pressione per rendere al meglio, il che è vero a metà. È più l’istinto di sopravvivenza quello che viene fuori, non trasformiamolo in un tratto distintivo. Il rischio è di  inciampare sull’equivoco della puzzola, universalmente identificata con la sua capacità di secernere un odore sgradevolissimo in caso di paura. Ecco, non facciamo la fine della puzzola che non è il caso. La serenità, guai a parlare di tranquillità prima che qualcuno ne tiri fuori il necrologio, è importante come in ogni altro contesto. Notare che più di un giocatore rossazzurro ha tenuto a specificare che “Non eravamo fenomeni prima, non siamo brocchi adesso”, racconta delle percezione di un progetto di critica, e se sentono di dover mettere le mani avanti un motivo ci sarà. Di certo avrai sentito di dire a Berlusconi “Non ho mai pagato una donna”, o a Mourinho “Io non sono un pirla”. Avrai perfino sentito con le tue orecchie Lo Monaco dire che “Caserta non si vende” ma non hai mai sentito dire ad un prete “Io non sono ateo”. Dargli un motivo per pensare di dover precisare la questione è ingeneroso per quello che si è fatto e per come lo si è fatto. Dire che il Catania deve fare un bagno d’umiltà sta alla critica come Scilipoti alla responsabilità nazionale.

Perché in fondo se perdi 1-0 con il 4-5-1 è l’allenatore che non se la gioca a viso aperto, e con queste squadre il gol prima o poi lo prendi. La sconfitta di misura va sempre a braccetto col rammarico di non aver osato abbastanza per pavidità. Il Catania ha sì reagito a Novara, Firenze e Roma, ma l’avversario si è difeso e non ha saputo sferrare il colpo del Ko, fatto che rientra nel ventaglio delle possibilità alla voce rischio. A Milano questo rischio lo abbiamo corso e pagato, per il resto si può dire e purtroppo si dice tutto e il contrario di tutto, ma sono muri appesi a chiodi storti.

Da F.C. Barcelona a Barcellona Pozzo Di Gotto. E pensare che c’è chi aveva previsto ogni cosa di quel che è accaduto dentro e fuori dal terreno di gioco. Era già accaduto qualcosa di simile in occasione di Cagliari – Catania andata a finire come tutti ricordiamo nella passata stagione. Ne parlò giusto il protagonista di queste profezie raccontando di come nel luogo sacro della squadra, lo spogliatoio, ammonì tutti che per lo spirito con il quale si erano allenati si prospettava un secco 3-0. Poi c’è stata Roma e i cioccolatini a Lotito, altro pronostico altro centro. Parliamo chiaramente del direttore, una sorta di unità cinofila dello spogliatoio, termometro infallibile della sua squadra. Ahinoi aveva ragione ancora una volta, col suo essere sempre tre mosse avanti.

[Daniele Lodini – Fonte: www.mondocatania.com]