Catania, storie di numeri 10: Giuseppe Mascara

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In principio fu Giuseppe Mascara. Natio di Caltagirone. Fantasista non capitano di quel Catania che, per la prima volta dopo 23 anni di assenza, presenziava nel massimo campionato italiano con la pretesa di non esser una meteora come le tante che l’avevano preceduto, ma una stella destinata a brillare. Ambizione che accomunava Mascara ed il Catania. Esordiente, come tanti rossazzurri in quell’annata, col numero dieci finalmente sulle spalle, quello ereditato da De Zerbi che fieramente l’aveva onorato fino al giorno della promozione in serie A, dell’incomprensione con Marino, col suo conseguente addio, destinazione Napoli, appena promosso in serie B.

Non fu una stagione fortunata, almeno non per Mascara. Leader e protagonista in cadetteria, in serie A il talento del calatino si confondeva tra gli altri, cercava un posto adatto per risplendere e terminava con l’incaponirsi in quanto, già rodato, non risultava più adeguato per il nuovo campionato. Due gomiti troppo alti, nell’anno di massima attenzione arbitrale su questa specifica, costarono un totale di cinque giornate di squalifica quasi consecutive visto che, al ritorno dalle due comminate nella gara contro il Torino, nella gara dell’Olimpico contro la Roma, col Catania già in svantaggio, un gomito largo su Chivu determinò l’espulsione del numero 10 già nel primo tempo e come conseguenza (di un modulo ostinato) il dilagante 7-0 che molti, tanti, tutti imputarono alla superficialità del giocatore, già in passato al centro di parecchie contestazioni ad opera dei tifosi del Catania, e non solo i più estremi.

Di quella stagione, la perla purtroppo inutile, fu il goal il pallonetto da rimessa laterale in casa dell’Inter. La traiettoria che beffò Julio Cesar, portando al Catania l’illusorio vantaggio (poi abilmente gestito da avversari e decisioni arbitrali), venne battezzata in televisione col beneplacito del riverbero solare che avrebbe disturbato “le indubbie capacità” del portierone dell’Inter. Altra rete indimenticabile, anche per quel che comportò, fu la rovesciata del 2-1 sull’Empoli. Recupero della gara “annegata” qualche mese prima, a Gennaio portò al Catania tre punti che fecero titolare i giornali “Catania da Champions League”. Sognava il Catania, al quarto posto, davanti a tanti squadroni. Poi, il due Febbraio, e tutto quel che ne seguì, travolse classifica, squadra, compreso Mascara che concluse quell’annata con soli 6 goal, appena 2 nel girone di ritorno.

Dieci anche l’annata successiva. Che andò ancora peggio in ambito realizzativo, quattro reti. Nel modulo accorto di Baldini, al numero 10 spettano anche compiti difensivi. Non era così insolito vedere Mascara ripiegare fino alla propria bandierina per raddoppiare sull’avversario, specie con un Vargas non perfetto nel chiudere la manovra quanto nel proporla in avanti. Lontano dall’area, lontano dai goal. Ne soffriva, e parecchio, anche Spinesi. La stagione si trascinò stancamente finché i brividi di paura non li diede una situazione di classifica preoccupante, che portò una dura contestazione a Baldini, alle dimissioni (secondo la versione ufficiale) ed all’arrivo di Zenga che, nelle ultime sette partite, restituì a Mascara compiti prettamente offensivi, avanzando Vargas nel tridente. Una soluzione iper-offensiva, all’opposto di quelle provate nei mesi precedenti. A conti fatti, la soluzione con cui il Catania trovò i punti necessari alla salvezza, seppur all’ultima giornata nella sfida scudetto-salvezza contro la Roma (in cui partì dalla panchina e gli venne annullata la rete di testa dell’1-1, poi siglato da Martinez).

Nonostante fosse ormai un pupillo di Zenga, Mascara perse senza polemica, apparente, la maglia numero 10. Non per altro che a seguito dell’arrivo di un altro pupillo di Zenga, conosciuto nella parentesi rumena del tecnico milanese. Parliamo di Nicolae Dica. Accolto nel tripudio della comunità rumena etnea, del fantasista della nazionale si persero ben presto le tracce. Un europeo da poco ultimato, tanta Champions e titoli nazionali alle spalle, troppo carico per adeguarsi, a 29 anni, ai ritmi di allenamento e di gioco del campionato italiano. A nulla valsero gli incentivi della società e di Zenga, che mai gli negò fiducia se non quando il giocatore finì col pretenderla senza la condizione fisica per ripagarla. Tre presenze in campionato, tre in coppa Italia con una sola rete, nel 4-0 al Padova (colpo di testa), e nessun sorriso. La parabola di Dica, (iniziata la stagione da titolare) pareva potersi risollevare dopo la sosta di Gennaio, precipitò nel dimenticatoio fino al termine della stagione, quando il Catania, dato l’addio a Zenga, cercò congiuntamente di sbarazzarsi del rumeno, uscito intanto dal giro della nazionale. Non fu semplice, come davvero scomodo fu per l’allora amministratore delegato Pietro Lo Monaco, ammettere quel flop indotto dalle richieste dell’allenatore. Da allora nessuna ingerenza tecnica venne più accolta in sede di strategie di calciomercato.

[Redazione Mondo Catania – Fonte: www.mondocatania.com]