I presidenti che hanno fatto la storia: Dino Viola, orgoglio giallorosso

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“Roma dai sette colli tramanderà la storia di un uomo che, da solo, le ha dato tanta gloria. Ci hai lasciato un vuoto incolmabile, addio caro presidente” così la curva sud dell’Olimpico salutava il presidente Dino Viola, scomparso a causa di una brutta malattia il giorno prima, sabato 19 gennaio 1991.

Dino (o Adino, all’anagrafe) nacque ad Aulla, provincia di Massa Carrara nel 1915. Tra lui e la Roma fu subito amore fin dai tempi di Campo Testaccio; si racconta del suo primo impatto con quei colori, con la folla che, bandiere in mano, si recava allo stadio per ammirare gli eroi della Roma degli anni trenta. Ne rimase folgorato. Nell’anno del primo scudetto ricorda la “passeggiata” in bicicletta Pontedera – Livorno, il 7 giugno 1942, insieme alla sua compagna per poter seguire la Roma nel penultimo impegno di quello storico campionato. Indossava in quell’occasione la sua divisa da ufficiale dell’aeronautica. Grazie ad un amico poté avvicinare la squadra e stringere la mano ai giocatori prima della gara per poi, al gol di Amadei, beccarsi un’ombrellata in testa da un tifoso avversario che gli era seduto vicino in tribuna. Ma la gioia era immensa. Laureato in ingegneria, dopo la guerra aprì un’industria specializzata in parti meccaniche a Castelfranco Veneto. Entrò nel consiglio d’amministrazione giallorosso durante la presidenza di Franco Evangelisti, seconda metà degli anni sessanta.

Con Alvaro Marchini come massimo dirigente, Viola divenne vicepresidente. Fu sempre molto attivo in quegli anni, capace e sempre disposto a sacrificarsi seguendo la squadra. Di quel periodo Donna Flora, sua moglie, in un’intervista rilasciata a “La Roma” poco tempo dopo la scomparsa dell’ingegnere, ricorda un episodio: Dino fu ricoverato e operato d’urgenza per un’ulcera. Molta paura ma tutto fortunatamente andò bene. Lasciando l’ospedale Dino le disse: “Mi sarebbe proprio dispiaciuto morire… non ho ancora fatto nulla per la mia Roma”. L’occasione per divenire l’artefice del futuro della sua Roma venne qualche anno più tardi. Messo ufficialmente da parte dal nuovo presidente Gaetano Anzalone, continuò a seguire la sua Roma ed il 16 maggio 1979 arrivò il suo momento. Un Anzalone in lacrime comunicò in una conferenza stampa di aver ceduto il pacchetto di maggioranza all’ingegner Viola, il cui ritorno come massimo dirigente sarebbe potuto avvenire un anno prima, ma vari eventi non lo permisero. A chi gli chiese il perché di quel rientro ufficiale nella società Dino rispondeva: «A dire il vero non me ne sono mai andato».

Il suo primo atto ufficiale fu avviare un progetto destinato a far rinascere l’orgoglio romanista, portare la Roma a sfidare lo strapotere delle società del nord. Per raggiungere quest’obiettivo il primo passo fu richiamare a Roma l’allenatore Nils Liedholm che, con il Milan, si era appena laureato campione d’Italia conquistando lo “scudetto della stella”. Le prime due stagioni alla guida della società fugarono ogni dubbio sulle sue capacità e sulla sua serietà. Arrivarono due Coppe Italia ed un secondo posto che, seguendo il “film” del campionato, alla squadra di Liedholm stava strettissimo. Era l’anno del famoso gol di Turone… “Tra noi e la Juve è sempre una questione di centimetri” disse poi. Da grande condottiero qual era, Viola non si arrese; “La resa è dei vigliacchi ed io non conosco questo vocabolo” amava ripetere e lo dimostrò con i fatti. Nella sua Roma arrivarono sempre calciatori di talento, tra i migliori in circolazione. Tra tanti campioni arrivati in quegli anni si possono ricordare Roberto Pruzzo, arrivato nel 1978 grazie alla collaborazione di Viola, Bruno Conti, Paulo Roberto Falcao, Carlo Ancelotti, Sebino Nela, e a seguire Zibì Boniek, Rudi Voeller e poi tanti, tanti altri campioni che negli anni hanno reso la Roma di Viola un cliente scomodissimo per tutti. Dopo un “anno di transizione” arrivò finalmente il coronamento di un sogno, una promessa mantenuta fatta ai tifosi: nel maggio 1983 lo scudetto ritrovò la strada che porta a Roma, sponda giallorossa del Tevere.

Il presidente non si diede ai festeggiamenti; pragmatico come sempre si adoperò subito per allestire una squadra capace di imporre la sua legge anche in Europa. Mentre la città di Roma era immersa negli adorati colori giallorossi, il presidente avviava le trattative con Cristoforo Colombo, omonimo del navigatore genovese, procuratore di Falcao. La trattativa per il rinnovo del contratto della stella brasiliana fu difficile, ma per la Roma nulla è mai stato facile. In quella stessa estate del 1983 un episodio legò la Roma di Viola e l’Udinese del presidente Mazza: fu negata la ratifica del contratto che avrebbe legato Toninho Cerezo alla Roma e Zico all’Udinese. Iniziò una lotta legale che portò alla prima spallata al sistema da parte di Viola. L’anno successivo la Roma arrivò a pochi centimetri dal trionfo europeo nella massima competizione per clubs, ma Viola non si arrese e riprese a lavorare senza tregua per il futuro. “La Roma non ha mai pianto e non piangerà mai: perché piange il debole, i forti non piangono mai”. Liedholm tornò al Milan e si pensò a Sven Goran Eriksson per mantenere il rendimento ai livelli da sempre sognati dalla tifoseria giallorossa. Anche per poter vedere Eriksson sulla panchina giallorossa il presidente fu costretto ad ingaggiare una nuova lotta legale con le istituzioni calcistiche; lo scopo era svecchiare i regolamenti. Oggetto della contesa la norma ormai anacronistica che impediva a tecnici stranieri di allenare squadre italiane. Arrivò un secondo posto ed una coppa Italia. Il calcio iniziava a cambiare, ma la Roma di Viola continuava a dare filo da torcere alle potenze del nord. Nel 1988 la sede sociale fu trasferita a Trigoria, al centro “Fulvio Bernardini”, attuale feudo giallorosso.

Caratteristica di Dino Viola era anche quella di parlare schiettamente ai propri tifosi, e lo fece prima del campionato 1989 – ’90, in cui il presidente annunciò un anno difficile, in cui ci sarebbe stato da soffrire visto il forzato “esilio” al Flaminio per i lavori in vista di Italia 90 cui era sottoposto lo stadio Olimpico. Malgrado ciò arrivò una qualificazione in Coppa UEFA, con Gigi Radice in panchina. Viola continuò fino all’ultimo giorno a lavorare alla sua scrivania cercando di dare attuazione pratica ai suoi progetti, per far ancora uscire i tifosi “… dalla prigionia di un sogno”, come affermò in occasione della vittoria tricolore dell’83. Difese sempre le sue scelte assumendosene la piena responsabilità. Nella sua ultima campagna acquisti prelevò dal Benfica vicecampione d’Europa il brasiliano Aldair, futuro beniamino indiscusso del popolo romanista. Non fu solo un abile imprenditore ed un grande presidente, ma anche uomo dotato di un grande intuito. La sua lungimiranza apportò grandi innovazioni proiettando la sua società nel futuro: infatti nell’ottobre del 1982 l’A. S. Roma fu la prima società calcistica italiana a dotarsi di computers, aprendosi all’informatizzazione. Non solo. Fu anche il primo ad intuire l’importanza di avere uno stadio di proprietà del club. L’idea la ebbe intorno al 1985, ma resistenze di varia natura lo costrinsero ad accantonare il progetto. In seguito si disse che considerava la mancata realizzazione dell’impianto come la sua più grave sconfitta da presidente della Roma. Nelle intenzioni, doveva essere una struttura polifunzionale comprendente negozi, parco giochi e perfino una chiesetta. Un progetto sicuramente all’avanguardia in Europa. Dino Viola fu anche eletto senatore indipendente nelle liste della DC: “Un’esperienza utile ma da non ripetere” commenterà in seguito. Dopo la sua morte, a traghettare la Roma fino al termine di quel campionato 1990 –‘91 ci penserà la moglie, dai tifosi conosciuta come Donna Flora, scomparsa nel novembre 2009.

I giornali commenteranno in modi diversi la scomparsa di Dino Viola, ma fu unanimemente riconosciuto il suo valore e la sua grande capacità di dirigente ed imprenditore: “Addio Viola, era la Roma”, “Addio, presidente contro”, “L’ingegner scudetto”, “Dalla Rometta alla Roma passando per Viola”, “Con lui la Roma tornò Capoccia” “Addio Viola, il rivoluzionario”, “E’ morto Viola, l’ingegner Roma” erano alcuni dei titoli ma forse il più bello e significativo fu quello de “La Roma” diretta dal figlio Riccardo: “Non batte più il cuore di Roma”.

Il suo linguaggio forbito, arguto, elegante, essenziale da alcuni definito “violese” manca tantissimo oggi in un mondo in cui si urla spesso e quasi sempre inutilmente. Il suo stile resterà inimitabile.

Il bilancio di 12 anni di gestione parla chiaro: 1 campionato, 5 coppe Italia, 3 secondi posti e due finali europee raggiunte ma il maggiore successo è l’aver trasmesso al tifoso romanista la consapevolezza di poter tenere testa ai grandi clubs, sia in Italia che in ambito europeo ed aver dato nuova linfa all’orgoglio giallorosso. Sono passati 20 anni da quel gennaio 1991, ma Roma e la Roma non potranno mai dimenticare l’ingegner Dino Viola, la sua signorilità, le sue capacità ed il suo grande carisma.

Per sempre grazie, presidente.

[Massimo Spalluto – Fonte: www.vocegiallorossa.it]