Nel tennis, come nella vita, ci sono giorni in cui il corpo non segue la volontà. Jannik Sinner, numero uno al mondo e simbolo di una generazione che sogna in grande, ha vissuto uno di quei giorni nella finale del Masters 1000 di Cincinnati. Sotto 5-0 nel primo set contro Carlos Alcaraz, visibilmente provato, ha chiamato il fisioterapista e poi ha alzato bandiera bianca. Un epilogo amaro per un torneo che lo aveva visto protagonista fino all’ultimo atto.
“Ci ho provato. Sono sceso in campo per i tifosi”, ha detto Sinner, con la sincerità che lo contraddistingue. Le sue parole, rivolte prima al pubblico e poi all’avversario, sono il manifesto di un atleta che non cerca alibi. Il caldo estremo, le fatiche accumulate, le condizioni fisiche precarie: tutto ha contribuito a una prestazione che non ha potuto decollare. Ma il suo ritiro non è stato una fuga: è stato un atto di rispetto verso il gioco, verso chi lo segue, verso se stesso.
Il ritiro di Jannik Sinner non è stato una sconfitta, ma una lezione. Di onestà, di coraggio, di consapevolezza. In un mondo che chiede sempre di più, lui ha scelto di ascoltarsi. E questo, forse, è il gesto più vincente di tutti.