Juventus, molto meglio lo stadio della squadra. Inter, ma come fai a non essere mediatica?

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Serata da groppo in gola quella di giovedì. Per chi è juventino, ma non solo. Perché condividere, al fianco di chi le prova davvero, le suggestioni e le emozioni forti della Storia del calcio con la S maiuscola, non può mai essere solo un fatto privato di una singola tifoseria. Chi era allo Juventus Stadium aveva voglia di raccontare sé stesso anche a chi non era juventino, aveva voglia di condividere le proprie emozioni. E quando va in onda lo sport, è sempre meglio farsi trovare puntuali all’appuntamento con la tolleranza.

Serata da brividi, ma stridente in casa bianconera. Netto, quasi spietato, il contrasto fra una tradizione enorme alla quale rifarsi e un presente tecnico al quale nessun vero juventino ce la fa a rassegnarsi. La squadra, contro il Notts County, è stata la stessa vista a San Siro nel Trofeo Luigi Berlusconi: mai dominante, mai perentoria, qualche guizzo, un certo ordine, ma troppe smagliature dietro e ben poca prepotenza davanti.

Ma se il presente può attendere, il futuro no. Ed è questo l’appuntamento che la Juventus promette di centrare. Nonostante l’assenza del presidente dell’Inter che ha snobbato il palco su cui era seduto lo stesso presidente della Federcalcio al quale si sente riconoscente per la grazia ricevuta lo scorso 18 Luglio e per interposta persona nel Luglio 2006, il nuovo stadio garantirà in prospettiva al Club bianconero punti e posizioni sportive. Nuovi ricavi, nuove risorse. E’ la dimostrazione che se l’Italia organizza grandi eventi, come è accaduto a Torino con le Olimpiadi invernali del 2006, le ricadute non possono che essere positive per un calcio italiano stagnante da ormai troppo tempo.

E’ per questo che una inaugurazione come questa non va accolta con snobismo, ma come uno stimolo per tutto il calcio italiano. Il fair play finanziario, che in questo momento per i cultori di operazioni alla Eto’o è un comodo paravento, sarà molto meno minaccioso per la Juventus rispetto alle altre squadre di rango italiane. A meno che non arrivi una legge per gli Stadi, una legge che sia esattamente agli antipodi, nella filosofia e negli obiettivi, dell’ultima nefasta legge che si è abbattuta, su altri temi, sul calcio italiano, ovvero la legge Melandri.

Di recente Marco Branca, nelle ore in cui poteva ancora intrattenere piacevolmente taccuini e telecamere, nelle ore cioè immediatamente precedenti alla deflagrazione del caso Forlan, ha dichiarato, come al solito in polemica con il Milan che è ossessivamente presente in qualsiasi pensiero nerazzurro, che quello interista non è un Club mediatico. Un club concreto sì, ma non un club mediatico. Non sappiamo se si riferiva al solito luogo comune trito e ritrito del mondo dei media controllato dal Milan (in realtà non c’è programma televisivo nazionale e locale, dove l’Inter non sia rappresentata sia con personaggi di fede sportiva che con personaggi affascinati da un Club politicamente più corretto), o a che altro. Forse era solo e legittimo orgoglio di appartenenza, la determinazione nel marcare la differenza. Ci sta tutto. Ma un grande Club non può non aspirare ad essere mediatico. Se un grande Club si dichiara non mediatico, è un Club pronto ad abdicare. Oggi il calcio è mediatico. La visibilità è moneta sonante, è linfa vitale per una grande società. E se un grande Club preferisce chiudersi nel recinto della tifoseria militante e in certi settori per sua natura khomeinista, senza aprirsi alle luci della ribalta mediatica, non fa una buona cosa. Non tanto agli occhi degli avversari, ma soprattutto agli occhi degli sponsor, dei marchi, delle aziende che lo sostengono. I partners dei grandi club sono tanti perché sono attratti dalla potenza mediatica e dal carisma del calcio. Se Branca e i branchiani se ne chiamano fuori, sbriciolano uno dei motivi dell’esistenza dei club storici del calcio italiano ed europeo.

La Fiorentina di oggi, quella post-Prandelli, quella post-Champions, si fa apprezzare molto di più per la dirigenza che per l’area sportiva. La proprietà, Diego Della Valle, è dura, sferzante, priva di timori reverenziali nei confronti della cultura dominante dopo Calciopoli, e cioè quella nerazzurra. Piace molto la stessa umanità di Andrea Della Valle che dialoga da tifoso con i tifosi e si offende quando vede che non vengono riconosciuti tutti i sacrifici fatti dalla sua famiglia per la squadra viola. Tutto bene, tutto giusto, la squadra ha un buon tecnico e merita interesse. In tutto questo appaiono spesso, con tutto il rispetto, fuori contesto, i pugni sul tavolo e gli sfoghi quasi brutali di Pantaleo Corvino. Tuona di offerte dall’estero per Montolivo, quando non ne aveva in mano nemmeno mezza. Definisce ridicole offerte che di norma nel mondo del calcio, fra grandi Club, quando non si chiude, non vengono rivelate. Ma, insomma, il contratto a Montolivo per dare valore al giocatore e non lasciarlo alla mercè della scadenza di contratto, chi doveva rifarlo, lui o chi altri? A tratti il bravissimo, esperto e navigato Corvino appare un po’ la mosca bianca di quella realtà orgogliosa e adeguata che è la Fiorentina di oggi.

[Mauro Suma – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]