La Lazio si lecca le ferite, confronto fiume tra Reja e la squadra

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FORMELLO – Volti scuri, morale sotto i tacchi, un solo tifoso biancoceleste a fare da testimone, la riunione fiume prima della ripresa ed il segno indelebile del passaggio degli sfottò romanisti.

La manita è servita”, recita uno dei murales dipinto sul muro di cinta (di cattivo gusto gli altri due), all’indomani della quinta stracittadina persa consecutivamente. Il giorno dopo la debacle che per la prima volta in stagione ha scansato la Lazio dalla zona Champions, l’atmosfera che aleggia sul quartier generale laziale è plumbea. E non solo per le condizioni meteorologiche.

Il silenzio ovattato di Formello cerca di tamponare l’eco di un processo che in città è scattato già dalle prime ore del mattino. Questa volta è la figura di Reja a capeggiare indiscussa sul banco degli imputati dei tifosi che rendono bollenti le linee telefoniche delle radio e le pagine dei forum: “Dopo un anno di Roma non ha ancora capito cosa vuol dire il derby, ora basta deve lasciare la Lazio”: è il messaggio più in voga, è lo slogan che sintetizza uno stato d’animo da minimi storici.

Rinunciataria, passiva, avvolta da un fascio di nervi che per l’ennesima volta ha rilanciato la Roma ed ha complicato la corsa all’Europa che conta. La Lazio si è riscoperta  insicura nel giorno più atteso, con il tecnico goriziano che ha pagato nuovamente dazio a quello che ormai da tempo è stato ribattezzato come un vero e proprio tabù. Per lui è stato il quarto inciampo con la dirimpettaia cittadina, ma di certo non ha rappresentato la fine di un percorso, che deve ancora svelare il destino della sua compagine: “Il campionato non finiva con il derby”, ha tuonato ieri in sala stampa, puntando il dito sull’eccessivo nervosismo che nel finale di gara ha aggravato il bilancio.

La testata di Radu su Simplicio, la terza espulsione di Ledesma nei derby (la seconda consecutiva con Tagliavento), l’incapacità di reagire in modo costruttivo all’ostruzionismo giallorosso: tutti esempi emblematici di un harakiri mentale che fa riemergere i limiti di personalità dei biancocelesti. La Lazio è caduta nuovamente nella trappola, eppure gli avvertimenti erano chiari: “Ho parlato con i miei calciatori, è vietato rispondere alle provocazioni”, ha spiegato alla vigilia Reja, che almeno su questo fronte è stato buon (anzi cattivo) profeta. Questo, ma non solo, è stato l’oggetto della discussione del confronto di oltre un ‘ora, che è andato in scena prima dell’allenamento di questa mattina (la Lazio sarà impegnata nell’anticipo di sabato con il Cesena). La seduta, inizialmente programmata per le ore 11,00, è slittata di 30’. Ma il faccia a faccia era iniziato già intorno alle 10,30, quando all’interno degli spogliatoi,

Reja ha voluto capire i motivi del black-out. La Lazio è rimasta in attesa delle mosse giallorosse per gran parte della partita: “Ma era stata preparata in un altro modo – ha tuonato ieri davanti ai microfoni – . Mi aspettavo un’intensità diversa, una determinazione diversa, maggiore capacità di proporsi in fase offensiva e di puntare l’uomo. Quando perdi tanti derby consecutivi bisogna dare un timbro diverso alla prestazione”. Così non è stato, ma ora Reja pretende una reazione istantanea. Non vuole assistere al remake di quanto accaduto nel girone di andata, quando la Lazio tre giorni dopo lo 0-2 subito da Ranieri, si consegnò anche al Cesena. “Archiviare e ripartire”, per scongiurare contraccolpi psicologici che a questo punto del campionato sarebbero letali.

[Daniele Baldini – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]