Lazio: il pagellone 2013 del tecnico e della società biancoceleste

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logo-lazioUn acuto. Trionfale, grandioso, apoteosi e goduria allo stato puro. Data sul calendario: 26 maggio. I libri di storia riaperti, riscritti e sigillati per far riecheggiare quell’impresa in eterno. La conquista della Coppa Italia contro la Roma – il meglio del meglio che si potesse sperare – è la pagina più bella del 2013 biancoceleste. O meglio, l’unica pagina bella. Perché tutto il resto è stato tutt’altro che esaltante, coinvolgente, indimenticabile. Dalla discesa in picchiata in classifica – nel girone di ritorno dello scorso campionato – all’eliminazione in gran parte ingiusta dall’Europa League. Giro di boa, nuova stagione che comincia con gli auspici più infausti: la Juventus passeggia all’Olimpico nella finale di Supercoppa, le crepe nel fragule muro laziale incominciano a farsi manifeste.

Il mercato estivo si conclude con la delusione Yilmaz, l’ennesimo colpo mancato. Sovrabbondanza a centrocampo, soluzioni ridotte all’osso in difesa e in attacco: la rosa di Petkovic gode di pochi punti fermi. I big faticano a fare la differenza, gli acquisti non offrono le giuste garanzie. Tra questi, i giovani si ritrovano catapultati su un palcoscenico in cui gli attori recitano un copione fumoso e sfilacciato. Dal grigiore diffuso inizia a spuntare l’esuberanza luminosa di una nuova stella: nel giro di poche partite, Keita conquista i tifosi e si afferma come la più lieta novità degli ultimi mesi. L’ex Barca non basta però da solo a risollevare le sorti della squadra. La celebre fatal Verona si conferma tale a spese di Vladimir Petkovic: il 4-1 rifilato dagli scaligeri è la pietra tombale sul matrimonio tra il tecnico di Sarajevo e la Lazio. L’indomani della sconfitta, la Svizzera lo ufficializza come prossimo ct. Lotito lo scarica, inizia il giro di contatti per individuare il sostituto. La decisione non è immediata, ma tutt’altro che imprevista: il presidente richiama a Formello Edy Reja, che proprio a Petkovic aveva lasciato il testimone. Con il ritorno di Zio Edy, si conclude il 2013 in casa biancoceleste. Un anno lungo, faticoso, reso storico da quella grande vittoria.

LA SOCIETÁ

LOTITO Claudio: Inopportuno – Un anno vissuto nel segno dell’immobilismo. Mercato inesistente a gennaio, quando ancora una volta si poteva tentare il salto di qualità con la Lazio seconda in classifica. Il solito ‘vorrei ma non posso’, che fece inseguire F. Anderson invano, prima di restare con un pugno di mosche in mano e regalare alla piazza un impalpabile Pereirinha, poco utile per sostituire l’ennesimo ‘emarginato’ di turno (stavolta di nome Cavanda). Amarezza, rabbia e delusione suscitata nei tifosi in un tourbillon di emozioni che ormai sanno di film già visto, specie quando in estate torna la pantomima di mercato etichettata Burak Yilmaz. E’ la solita pagina buia di una gestione controversa. Pochi soldi investiti e per lo più impiegati male. Un feeling mai nato con la gente, che quest’anno ha spazzato via in un attimo addirittura la gioia di un Coppa Italia alzata davanti ai dirimpettai romanisti. Un successo simile a Roma contro la Roma avrebbe incoronato a vita qualsiasi presidente. L’avrebbe reso immortale, trasformandolo in una figura mitologica, ma Lotito no. Lui, il padre padrone della Lazio ha evaporato ogni applauso, ogni sorriso in un attimo. Un mago in certe esibizioni, tanto da far invidia al miglior Copperfield d’annata. Il clima di apparente tranquillità che si respirava ad Auronzo di Cadore si è presto trasformato in un’aria rarefatta e irrespirabile che sa disputa vera. A posare la ciliegina sulla torta poi, nel rapporto irrimediabilmente spezzato fra presidente e tifosi, una caduta di stile senza precedenti. I protagonisti passivi della ‘scivolata presidenziale’ sono state le famiglie rimaste prigioniere dell’autentica follia di Varsavia. Un arresto di massa, che ha varcato il rispetto dei diritti umani e ha catalizzato l’attenzione di mezza Europa. Chiaro a tutti, evidente a chiunque, ma non a Lotito, rimasto insensibile a cotanto scempio, a tal punto da coniare l’umiliante etichetta per coloro che cercavano conforto: “collettori di collette”. L’ennesimo smacco, l’ulteriore sberleffo, un altro schiaffo. Eccolo, l’atto finale di una stagione e di un anno tutto da dimenticare (ad eccezione di quel 26 di maggio). VOTO 4

TARE Igli: Appannato – E’ il suo annus horribilis. Il 2013 pesa come un macigno su di lui e si chiude con la bocciatura del suo progetto. Segue e insegue obiettivi di mercato in cui crede ciecamente. Ha una smisurata stima per il giovane Felipe Anderson, ancora mal ripagata. Sconsiglia senza successo il presidente Lotito nel perseverare in estate la folle pista Yilmaz. Acquista in un mese: Biglia, Novaretti, Vinicius, Perea (arriverà in ritardo alla corte di Petkovic) e il giovane portiere Berisha. Dimostra coraggio e dedizione per il proprio mestiere, caricando sulle sue spalle il peso di mancate scelte e sfumati acquisti, andando anche oltre le sue stesse responsabilità. Nessuno dei suoi acquisti però riuscirà ad esplodere del tutto, barcamenandosi più o meno nell’anonimato. Giunti quasi al giro di boa del campionato, gli innesti aggregati alla squadra sanno ancora d’incompiuto. Biglia & co devono ancora dimostrare tutto. Il campo nel calcio è giudice ultimo sia per i giocatori che per i dirigenti e il campo condanna Tare. Il suo progetto di squadra resta ancora incompiuto, in attesa di ulteriori sviluppi (giusto aspettare per giudicare certi acuisti), ma in generale naufraga come la Lazio stessa. L’addio a Petkovic (suo prediletto un anno fa) e l’attuale ritorno a Reja rimarca l’errore progettuale. VOTO 5

DE MARTINO Stefano: Audace, ma non troppo – Il suo ruolo lo svolge appieno e bene, gestendo per altro una struttura senza precedenti, messa in piedi da zero. Radio, Tv e Magazine, affiancati al lavoro di ufficio stampa. Se per i primi tre l’abilità di De Martino è ineccepibile, qualcosina andrebbe rivista invece dal punto di vista della Comunicazione. Ovvio conservare l’esclusività del materiale prodotto, ma la solidità del progetto ideato dovrebbe far scoccare l’ora per un’apertura verso il ‘mondo esterno’. Solita nota dolente della SS Lazio gestione Claudio Lotito. La parola giusta è: diffidenza. Zero interviste concesse (o quasi) ai media locali e nazionali, scarsa osmosi fra giocatori e mondo esterno. Una chiusura netta, che spesso non collima con i rapporti che i calciatori stranieri intrattengono direttamente con i media appartenenti alle loro nazioni. Non è una novità che i giocatori rilascino puntualmente interviste in patria, mentre è un’eccezione che si concedano ai microfoni di siti, giornali, radio e tv italiane. Scavalcare lo steccato del bunker di Formello, per aprirsi maggiormente a quei media che hanno più a cuore la Lazio, resta uno dei propositi di questa società. La credibilità passa anche dal coraggio della critica. Resta un laziale vero, che sente sulla pelle le problematiche dell’ambiente biancoceleste. Spesso paga gli scivoloni del presidente Lotito, ma ci mette sempre la faccia. VOTO 6,5 

L’ALLENATORE

PETKOVIC Vladimir: Inadeguato – Nella sua storia alla Lazio, finita dopo appena un anno e mezzo, rimarrà indelebilmente scolpita la Coppa Italia vinta contro la Roma il 26 di maggio. Il 2013 biancoceleste per Vladimir Petkovic è stato però un anno decisamente nefasto. Talmente negativo da oscurare pesino un successo storico come quello agguantato in primavera. Ha raccolto pochissimo Vlado, appena il 30% dei punti messi in palio, collezionando da febbraio a dicembre più mugugni che sorrisi. La devastante involuzione della squadra lo ha trascinato negli inferi in poco più di 361 giorni, sancendo un declino inesorabile sugellato da un divorzio belligerante con il presidente Lotito. In campo si sono succeduti errori copiosi, formazioni sbagliate e continuamente stravolte. In panchina il ventaglio di scelte è rimasto ridotto all’osso specialmente per un mercato in sordina sia in attacco che in difesa. Fuori, la nonchalance, sfoggiata nei primi approcci, ha lasciato presto il posto a una evidente insofferenza verso tutto e tutti (specialmente i giornalisti). La sua squadra ha palesato gli stessi difetti per un anno intero, evidenziando due grossi gap: difesa che imbarca acqua e attacco che segna col contagocce, tanto da infilare la Lazio in un mare di problemi. Tra le accuse che gli sono piovute addosso, spicca quella di esser stato troppo morbido con la società, accettando ogni decisione senza batter ciglio. VOTO 4,5

[Redazione La Lazio Siamo Noi – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]