Napoli, 7 anni di De Laurentiis: tante luci e qualche ombra. Cannavaro, ma quale simbolo? Milan, urge un attaccante

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Sinceramente non capiamo come negli Stati Uniti riescano a stare senza l’NBA. La domenica italiana senza campionato è come una casa vuota dopo il trasloco. Per fortuna è passata in fretta. La Nazionale di Prandelli non sfigura, tutt’altro, ma fatica a creare quel giusto legame con la Nazione. L’assenza di calciatori simbolo dei club più importanti fa passare in secondo piano il progetto azzurro, che, però, sta ponendo basi solide per un Europeo dignitoso la prossima estate. Pochi gli argomenti sui quali discutere, se non i soliti che da 7 giorni ci trasciniamo: dal valore di Napoli e Juventus, alla crisi prematura delle milanesi.

Ci teniamo a fare gli auguri al Presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, il quale ha festeggiato 7 anni nel mondo del calcio; oggi possiamo dire che ce l’ha fatta, anche se chi ci legge, magari, è scaramantico. Dalla polvere dei campi di C1 all’inno europeo della Champions League. Quando il 19 giugno del 2005 perse la serie B, avrebbe potuto deprimersi, invece, ebbe l’intelligenza di affidarsi a chi, in quel mondo a lui all’epoca ancora sconosciuto, ci era nato. Tante luci e poche ombre in questo nuovo Napoli che adesso fa impazzire i tifosi azzurri. Il sogno scudetto dietro l’angolo, l’onore della Champions e l’arduo compito di invertire le gerarchie del nostro calcio. Bravo Presidente ad aver indovinato subito, 7 anni fa, l’uomo giusto che lo avrebbe fatto diventare grande negli anni: Pierpaolo Marino, autore e stratega di un calcio che non c’è più. Capacità tecnica, gestionale ed amministrativa. Tecnica, perché se oggi il Napoli becca gli applausi in Europa lo deve a gente come Hamsik, Lavezzi, Gargano, De Sanctis, Aronica, Cannavaro e tantissimi altri che Marino portò in città. Gestionale, perché se Reja si è dimesso 25 volte, da allenatore del Napoli, e la notizia è uscita sui giornali una sola volta il merito è di chi chiudeva le porte dello spogliatoio al primo soffio di vento. Amministrativa, perché Marino è l’unico D.G. italiano, insieme ad Adriano Galliani, a saper far quadrare i bilanci di una società di calcio ed a chiudere sempre con il segno +.

Lo stesso Reja è stata una delle tante luci fondamentali del San Paolo. De Laurentiis ha avuto la capacità di gestire il rapporto con gli allenatori a distanza e, tra le ombre, ha sbagliato solo quando non ha dato ascolto a nessuno: vedi Roberto Donadoni, pagina triste del Calcio Napoli e della Nazionale italiana. Evidentemente l’azzurro non si addice alle caratteristiche dell’allenatore bergamasco. Tatticamente limitato e presuntuoso per un calcio che oggi non gli appartiene più; chiedere conferme a Cellino. Mazzarri è il guru, il trapezista che rende speciale lo spettacolo, l’equilibrista capace di restare in piedi su un filo per 364 giorni, ma talmente bravo da cadere al trecentosessantacinquesimo giorno per aver ammiccato alla Vecchia Signora; per fortuna di tutti, sotto c’era la rete di protezione e nessuno si è fatto male. Lo spettacolo riprende e gli applausi pure.

Ieri sera leggevo con attenzione, in una delle domeniche più tranquille di questa stagione, che Fabio Cannavaro ha rilasciato delle dichiarazioni facilmente smontabili. “Avrei voluto finire la carriera a Napoli, come Maldini al Milan e Totti alla Roma. Mi sarebbe piaciuto essere un simbolo della mia città”. Frasi che stonano con la carriera di Fabio Cannavaro, il quale ha indossato maglie, come quelle di Juve ed Inter, che con Napoli non hanno alcun legame. Ha pensato, giustamente, alla carriera, visto che i suoi anni d’oro combaciavano con gli anni della depressione partenopea. Ha smesso di giocare negli Emirati Arabi, simbolo di un calcio venale e privo di senso di appartenenza ad una maglia. Maldini, Del Piero e Totti hanno fatto ragionamenti diversi e lui, con loro, non ha nulla a che vedere. Del Piero e Buffon hanno giocato in B per la maglia, Totti non ha rinunciato a tanti soldi, ma sicuramente a tante coppe in più, per la sua squadra. Discorso diverso per Maldini, più fortunato degli altri, che ha unito amore, soldi e carriera perché si è trovato in un Milan di Campioni a vincere tutto, soprattutto nel dopo-Baresi.

Tornando all’attualità, alla ripresa del campionato, ci aspettiamo un altro Milan: più cattivo ed attento, già dall’anticipo di sabato sera con il Palermo, a San Siro. La difesa preoccupa, ma fino ad un certo punto. Se si prende Taiwo a sinistra, si punta su Zambrotta a fine carriera, si “costringe” Nesta a giocare un altro anno ed Abate cala di rendimento, ci può stare che la retroguardia vada in difficoltà ed Abbiati torni nella mediocrità che ha caratterizzato una parte della sua carriera. A preoccupare maggiormente, perché inaspettato, è l’attacco. Ibrahimovic in serata positiva spazza via ogni dubbio, ma se lo svedese è con la luna storta sono guai. Allegri non può contare sull’incostante Cassano, deve fare i conti con gli infortuni ad orologeria di Pato e senza Robinho, con Inzaghi ignorato dal Mister, diventa tutto più complicato. Il Milan, comunque, ne uscirà perché ha in panchina un allenatore intelligente e perché il tutor di sempre, Adriano Galliani, è pronto ad intervenire. Ariedo Braida è in Brasile a scovare nuovi talenti; Damiao dell’Internacional di Porto Alegre, stessa squadra, stesso ruolo e stessa età di Pato è un predestinato.

Chiusura dedicata alla Vecchia Signora che di vecchio inizia ad avere il temperamento e la cattiveria agonistica. Merito di Antonio Conte che trasmette ai ragazzi carica positiva, nonostante nei singoli la Juventus non sia la squadra più forte del campionato. Merito del Presidente Andrea Agnelli che con un addio ha risolto già i primi problemi; il miglior acquisto della Juventus coincide con il peggiore del PSG: Jean Claude Blanc. Non sappiamo come andrà il campionato dei bianconeri ma il lavoro svolto, in estate, da Marotta e Paratici è stato assolutamente positivo; l’esatto contrario di quel mercato deludente, da noi tutti criticato, di un anno fa. Al primo tentativo si può sbagliare, al secondo bisogna rispondere con i fatti per onorare tanti anni di gavetta; è quello che ha fatto Marotta che sta ripagando la fiducia di proprietà e tifosi, dimostrando (almeno fino ad ora) che un anno fa sbagliò soprattutto a seguire il cuore: regalando la Juventus a Gigi Delneri.

[Michele Criscitiello – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]