“Tu vuò fa l’americano”, ovvero la stucchevole questione dello sciopero: forse i “miliardari” hanno ragione

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Eppure sto coi calciatori. E’ facile far partire i moralismi, sul fatto che “questi qui guadagnano miliardi” (che oggi comunque sono milioni), che “allora i poveri lavoratori cosa dovrebbero dire”, che “dovrebbero pensare a fare beneficenza”, come ha detto un noto politico ex sindacalista in queste ore: il mondo del calcio ha delle sue regole, economiche e non, ed o le si accetta sempre, o mai.

E’ troppo facile gioire degli acquisti del proprio Presidente o arrabbiarsi per mancate operazioni di mercato, che tanto “un milione in più al Berlusconi (o Moratti, Agnelli ecc) cosa cambia”: i calciatori lavorano, in maniera virtuosa e ben retribuita, ma comunque lavorano, non sono i pupazzi dei tifosi nè dei presidenti. Sono uomini, come ha detto Massimo Oddo nella conferenza stampa di ieri: sono lavoratori, aggiungo io, e non sono nè i primi nè gli ultimi a guadagnare cifre a 6-7 zeri, dunque questo non impedisce loro di far sentire la propria voce in una delicata sede come le contrattazioni sindacali. Negli Stati Uniti ad esempio, quello che a noi oggi sembra un evento eccezionale, è la regola: si chiama “lockout” ed a partire dagli anni ’90 ha fatto slittare spesso gli inizi tutti i campionati professionistici, dall’NBA all’NFL passando per l’NHL, che addirittura ha visto cancellarsi l’intera stagione non più tardi di 5 anni fa.

Il nodo è sempre quello, il “CBA”, contratto collettivo: nell’NBA come nell’NFL, il tema è rovente in queste settimane con giocatori di primissimo piano a battersi per tutti, come la star dei Miami Heat Dwyane Wade. Se non si trova un accordo, nel 2011 salta tutto il circo: non si scherza Oltreoceano, prima di scottarsi col fuoco. Proprio dal mondo professionistico americano, la Lega dovrebbe prendere spunto per risolvere la questione: se è vero che le Assogiocatori hanno un peso non indifferente, starebbe ai club, coordinati da un manager d’esperienza come Beretta, trovare le misure tecniche per un accordo. La ragione come sempre, sta nel mezzo: se si vuole riformare in maniera concreta e vantaggiosa la Serie A, non lo si può fare di certo in assoluta indipendenza dal resto dell’Europa, perchè, fino a prova contraria, i club di casa nostra devono competere anche a livello continentale con una spietata concorrenza, già troppo spesso agevolata rispetto agli italiani. Perchè non creare allora, un regime di salary cap? Platini parla di fairplay finanziario, ma l’ambiguità delle parole del francese non lascia trasparire nulla di rivoluzionario: non è ancora chiaro, ad esempio, se all’azionista di maggioranza sarà permesso ripianare di tasca propria i debiti del club, ovvero quanto fanno, da decenni, la maggioranza dei Patron della A.

Potrebbe insomma essere l’ennesima bolla di sapone, perchè dietro la facciata del “si spende quanto si incassa” ci sono escamotage finanziari con cui uscirne illesi velocemente: non si scherza invece con misure intelligenti per regolamentare il calciomercato, come appunto il tetto salariale per ogni club, o appunto, la discussione di un programma comune per un contratto collettivo con i giocatori. La possiblità di “scambiare” i contratti in scadenza senza il loro assenza è “normalità” in USA, dove solo i top players hanno la clausola per rifiutare i trasferimenti: certo anche i giocatori hanno vantaggi non di poco superiori rispetto ai calciatori di casa nostra, come ad esempio la possibilità di includere un bonus proporzionato ai ricavi del club o alla gestione dei diritti di immagini. Insomma non bastavano l’assenza della moviola in campo o l’incapacità di risolvere la questione relativa ai tifosi, partendo dalla violenza negli stadi passando per la fatiscenza degli impianti: il calcio, in particolare quello italiano, doveva dimostrare ancora una volta di essere sul punto di diventare uno sport desueto. Cambiare è necessario, ma nell’interesse di tutti e senza vittime, seppur dorate: se “Vuò fa l’americano”, per dirla con un successo tornato in voga negli ultimi tempi, occorre non scadere nella macchietta, come appunto faceva il protagonista della canzone… C’è da scommetterci però, tutto finirà a tarallucci e vino, in pieno stile di Casa Nostra.

[Francesco Letizia – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]