Catania: iniziato dalla vecchia fine, finiamo col vecchio inizio

257

CATANIA Potremmo correre indietro con la memoria, cercando un precedente che metta pace ai pruriti di rabbia. Ibrahimovic che, cacciato via dal dischetto, manda a quel paese Pirlo. O Trezeguet che impreca contro Del Piero, e perché no? Spinesi che s’accapiglia con Mascara per calciare dagli undici metri quel che l’arbitro gli ha concesso. Fatica inutile: Niente di tutto ciò è mai successo, né in una grande squadra, tra grandi campioni, né in una piccola squadra, tra grandi professionisti.

Assodato ciò, com’è assodato che dal suo ingresso in campo la gara è cambiata, e com’era assodato che quel rigore l’avrebbe tirato Lodi, potremmo esercitarci tutti a “mandar a quel paese” (che non è Milano) qualcuno, restituendo pan per focaccia, badando solo a quel che la rabbia e l’egoismo ci suggeriscono. Una decisione comprensibile, lecita, finanche giustificabile, ma utile quanto? Tanto quanto gli strascichi di quel pietoso siparietto. S’è visto: un errore tira l’altro. Ed allora? Spezziamo questa catena. Come? Badando, almeno noi, al bene del Catania. Atto altruistico di generosa lungimiranza. Quel che manca in campo, come sempre, deve esser l’ambiente a profonderlo, garantirlo.

Non temete poi, l’elefante ha memoria lunga. Qualvolta in sala stampa dovessimo sentire ancora una volta: “Non importa che segni io od un altro compagno, conta il bene della squadra”, censureremo simili demagogiche falsità.

Archiviato ciò, ripartiamo, diretti verso Lecce?

Ancora no. C’è quel tarlo della memoria che alla ricerca del rigore “conteso” ha trovato altro. Una storia di anni fa, quando il Catania, liquidato Pantanelli, aveva messo gli occhi su di un portiere figlio d’arte, ormai “di troppo” all’AEK Atene. Ventinove anni erano forse troppi, o troppo alto il prezzo del cartellino? Non per il Chievo Verona, che lo prese con sé dopo che il Catania s’era ormai orientato altrove, in Argentina. Col senno di poi, una storia da perderci il senno.

Ma anche in questo caso, il bene del Catania non sta nell’insofferenza, ma nell’aver pazienza. Accettare gli errori, anche se la misura è ormai colma e partita dopo partita, il traboccato, rischia di far perder la virtù dei “forti”.

Come archiviare tutto ciò? Pensando che nulla potrà cambiare di qui ad un mese, il mese che deciderà gli equilibri futuri di classifica, quello del ciclo davvero “terribile”, e che fin dapprincipio, da questa gara contro il Chievo, ha dimostrato tutta la sua ostichezza. Troppo importante perché anche i tifosi, l’ambiente tutto, commettano improvvide uscite a vuoto, come quelle ricordate (ricordate?) a Zenga da Varriale, come quelle viste domenica sia in area etnea che in area clivense.

Abbiamo cominciato questo ciclo come avevamo terminato il precedente: con una sconfitta. Procediamo allora in senso inverso: ritrovando caparbietà, spirito di squadra ma soprattutto umiltà, che come dice bene Legrottaglie: “Sta alla base della gloria” non solo divina, anche terrena. Se il Catania la ritroverà, a Lecce, ritroverà anche la vittoria.

[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]