Catania: l’urlo di Adrian

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La foto di Adrian proprio come la foto del Catania. Il volto disegnato dal rammarico, la maglia è stretta in un morso. Gli occhi sono levati e le mani invocano il cielo. Ricchiuti si è fatto immagine del Catania e del suo frastornamento. Grande voglia che si schianta con le circostanze, al momento ancora avverse.

Ricchiuti si sbatte avanti e indietro ma negli ultimi 20 metri non trova lo spunto. Adrian generoso, Adrian impreciso, Adrian emblema di una squadra smarrita. Che decisione quando nel finale ruba il pallone da dietro in scivolata… che esitazione quando nel recupero si vede arrivare la palla del pareggio in testa. Catania, vorrei ma non posso!

Col cuore si vince… o forse no! Il Mantra del mister, “il sacrificio”, non sembra essere sufficiente per superare i nostri limiti, incredibilmente accresciuti dopo il cambio al comando. La dedizione da sola non basta più, ora ci vuole cattiveria sotto porta e nei contrasti, ci vuole aggressività mentale e fisica. Col cuore stiamo facendo la fine della bella incompiuta, degli applausi all’abnegazione ne possiamo pure fare a meno.

Sentire a fine gara “Ai ragazzi non posso rimproverare niente perché la prestazione c’è stata” è qualcosa che dobbiamo definitivamente accantonare. Adesso ci vuole la rabbia, ci vuole l’incazzatura. Ora a venir fuori deve essere un orgoglio dai giocatori degno di questo nome. Tutti quelli che sognano palcoscenici più prestigiosi, tutti quelli a cui questa maglia va stretta, e si sono fatti tanti i signorotti, adesso escano gli attributi e facciano vedere se e cosa valgono davvero. Adesso dimostrino di essere più forti del Lecce, giustifichino le loro grandi aspettative. Motivino coi fatti queste supposte qualità che poco si confanno ad una piccola realtà come Catania, oppure, in un ultimo slancio di pudore, tacciano fino alla fine del campionato il petulante ritornello delle loro ambizioni future. Perché adesso il tempo delle chiacchiere è finito.

Perché adesso non ci si può più nascondere dietro i movimenti di squadra o dietro la scarsa assistenza. Per gli alibi di ferro non c’è rimasta più creatività. Adesso si gioca uno contro uno, vediamo se Lopez vale più di Jeda, Andujar più di Rosati o Silvestre più di Gustavo. Se così non fosse, e il campo è giudice più affidabile di un procuratore, si ricordino tutti di fare un bagno di sana umiltà. Se così sarà, invece, si ricordino tutti che hanno fatto solo il loro dovere.

La squadra non ha paura, la squadra ha tensione. Non trova la sua identità che se non era quella attendista del vecchio allenatore, ancora stenta a venir fuori per poter, allora sì, essere assecondata dal nuovo. La tensione dei rossazzurri non vuole essere distesa e giungere al sollievo, vuole essere incanalata e trovare sfogo. È un tremore, un sussulto che prelude all’eruzione, e questo fuoco aspetta solo di rompere il tappo e venir fuori. La tranquillità forse deprime davvero i nostri giocatori e genera appiattimento. Ai nostri serve un condottiero e una battaglia da affrontare, il primo l’hanno portato, la seconda è lì che ci aspetta domenica a dirci quanto valiamo. Se era il fondo che volevamo prima di ripartire adesso l’abbiamo.

Mai più quella smorfia a denti stretti di rimorso, mai più il rammarico per l’occasione persa. Come disse un condottiero in uno spogliatoio: “Non venite qui alla fine della partita a piangere perché siamo stati eliminati. Venite qui dopo la partita o super felici perché abbiamo vinto o morti perché abbiamo perso, però morti… andiamo lì e lasciamo tutto”

[Daniele Lodini Fonte: www.mondocatania.com]