Identità di gioco e transizioni: la lezione dello Special One fa male. In Europa si fa dura: ecco l’uomo da cui ripartire

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Dipende tutto da lì, il gioco: la ripassata presa dal Milan al Santiago Bernabeu lo ha dimostrato senza alcun pericolo di smentita. L’identità data da Josè Mourinho al Madrid è esattamente quanto manca assolutamente ai rossoneri di Allegri ed il discorso ormai esula dai 90 minuti: la squadra non sa come disporsi in campo, o meglio, lo fa secondo un caos organizzato che poco convince in campo europeo.

Quando non c’è l’Auxerre di turno, il Milan fa fatica: si è visto con l’Ajax, quando solo un calo degli olandesi ed il loro tasso tecnico inferiore ha permesso al Milan di riagguantare un punto prezioso, senza cui la qualificazione sarebbe addirittura a repentaglio. Se in Serie A basta la giocata singola del fuoriclasse (ed il Milan ne ha tanti), in Champions servono qualità ben diverse: nel 2010 il gioco del calcio è fatto tutto da transizioni, il nodo cruciale della filosofia di Josè Mourinho, un grande assente invece tra le maglie rossonere.

Difficile appurare il “peccato originale”: non ci permetteremmo di certo di buttare la croce tutta su Massimiliano Allegri che, da sempre, è stato un tecnico che nel corso della sua carriera era riuscito a fare esattamente il contrario, lasciando un’impronta netta sulle sue squadre. Nel Milan di oggi, sembra mancare quel qualcosa in più nello spirito del gruppo: quello che aveva aiutato, per intenderci, il Milan di Leonardo a decollare proprio nella fredda serata di Madrid dodici mesi fa. Allora c’era un Borriello che faceva da collante e spesso anche da vittima e capro espiatorio: Ronaldinho era esaltato dalla “brasilianità” della squadra e Seedorf aveva perso quel fare aristocratico (sempre in campo, si intende) che gli impediva di mettersi al servizio totale dei compagni. Oggi ci si guarda troppo allo specchio e purtroppo spesso, c’è anche poco da guardarsi: Ibrahimovic, Pato, Seedorf, Ronaldinho…

Nomi incantevoli da leggere, ma scioltisi al Bernabeu davanti agli Ozil, Di Maria, Higuain, Cristiano Ronaldo: gente di passo, fresca, giovane, ma che accetta anche di toccare la palla e ridarla senza tenerla tra i piedi sterilmente a lungo, che la fa viaggiare con furbizia e velocità di pensiero, muovendosi in maniera armonica con e soprattutto senza palla. La priorità assoluta è quella di scegliere una strada e portarla avanti con caparbia, anche a costo di sbattere il muso in qualche partita: il compromesso “comodo” non può durare a lungo, non nella stagione del rilancio, con due acquisti mediaticamente devastanti e tecnicamente eccellenti.

Decade insomma anche l’ipotesi che circola in queste ore, dell’epurare uno tra Ronaldinho e Robinho: dal sogno dei “Fantastici 4”, risvegliarsi nell’incubo di trovarne solo due in campo potrebbe essere traumatico. Nella notte buia, ha brillato invece di luce propria un fantastico Andrea Pirlo, unico fuoriclasse capace di esprimersi davvero sui suoi livelli nonostante tutti i problemi tattici suddetti. Che sia il numero 21, fuoriclasse che ha saputo finalmente uscire da un periodo difficile dovuto alle troppe partite giocate (specie in azzurro), l’esempio da cui ripartire.

[Francesco Letizia – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]