Inter-Catania 2-2: solo un sussulto finale, la crisi continua

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Problemi, tanti problemi. Dopo il Catania, l’Inter esce ancora malata da un San Siro che si trasforma in frullatore di emozioni per una sera: prima la rabbia feroce, poi lo sdegno, quindi d’improvviso il sostegno e in seguito la furia rivolta all’arbitro Celi. Dal tutto al niente, a differenza di un’Inter che niente era, niente è stata e niente rimane. Solo un sussulto d’orgoglio ha salvato la faccia dall’ennesima sconfitta interna, ma non può questo coprire i limiti di una squadra ancora sfilacciata, senza capo né coda, vittima di una crisi che continua. Eccome, se continua.

LA CRISI DI NERVI SFIORATA – Il copione del primo tempo era già scritto. Ormai lo leggiamo da un mese e passa. Trafitti alla prima occasione, implacabilmente, meritatamente. Il Catania di Montella è macchina ben oleata, l’Inter un’accozzaglia confusionaria: qualche spunto, sì, ma poca roba. Più concreti gli etnei, con il Papu Gomez – un tarantolato – che si beve Nagatomo come fosse un crodino e si regala l’1-0. Il raddoppio è materiale per Nicchi, perché è l’ennesimo capolavoro di una classe arbitrale nauseabonda: fuorigioco apocalittico di Izco lanciato ancora dal solito Gomez, Julio Cesar raccoglie il pallone dal fondo del sacco e siamo alle solite. Al di là del problema arbitrale, resta un’Inter in campo senza alcun criterio. Un’Inter che quasi sfiora la crisi di nervi. Passaggi elementari sbagliati, incapacità di creare qualcosa di pericoloso. Insomma, il solito disastro al quale si rischia di non resistere: la gente di San Siro è letteralmente imbufalita, c’è chi come Forlan o Cambiasso regge a stento la pressione asfissiante dello stadio. Una guerra fredda tra dentro e fuori.

IL SUSSULTO D’ORGOGLIO – Già, il sussulto dicevamo. Un sussulto che nasce dagli spogliatoi, dove Julio Cesar si toglie i guanti e scuote la squadra. Rosso come un peperone, ma con il cuore soffice come una piuma. E la scossa c’è, funziona. Perché con Forlan e Milito arrivano due reti di quelle rabbiose, di quelle che si portano dietro mezzo San Siro. Come quando finisce una malattia, ti liberi di un peso. La rabbia si trasforma in sostegno. Eppure, c’è un piccolo (grande) appunto da fare: l’Inter che rimonta è l’Inter che non ha più in campo Esteban Cambiasso e Angelo Palombo. Ovviamente, a far notizia è il primo, perché se il secondo venisse riscattato dalla Sampdoria – con tutto il rispetto – saremmo alla frutta. Il Cuchu piange perché i tifosi applaudono. Applaudono Ranieri che l’ha sostituito. La fine di un’era, il crollo di una colonna dell’Inter vincente. Spazio ai Poli, spazio a forze fresche. Rifondare vorrà dire anche questo. E in tutto ciò, con il Catania che sperpera due punti e si affida a un contropiede sterile – ma quanti rischi, lo stesso… -, per poco Pazzini non sigla il gol del colpaccio. Cosa si è mangiato, Giampaolo. Ma la crisi travolge anche lui.

LA RIFONDAZIONE, DALLA CURVA AI SENATORI – Rifondazione non è solo una parola che ci piace. E’ una necessità, bisogna capirlo. I segnali di ieri sera sono di quelli palesi, e passano dagli spalti al campo. Sacrosanto l’appello della Curva Nord sulla chiarezza che non c’è e sull’uomo forte che manca; concepibile anche la situazione che si è venuta a creare con Cambiasso, anche se non nei termini giusti. E’ bene essere chiari: il pianto del Cuchu è un segnale di rifondazione, perché non vuol dire voler male a lui, anzi, vederlo soffrire così tanto è atroce anche e soprattutto per i tifosi che tanto lo hanno amato e osannato per anni; però, quando c’è da far spazio a forze fresche si pone come necessario un cambiamento. E allora ha ragione Esteban a soffrire perché i fischi alla sua persona e l’ovazione alla sua sostituzione sono un qualcosa di veramente brutto, ma vanno visti nell’ottica dell’esasperazione, non in quella della lucidità. In parole povere, rifondare serve anche per non costringere la gente a dilapidare il passato perché furibonda con chi i fischi e le umiliazioni non le merita per quanto ha dato alla maglia dell’Inter.

ESTREMISMI E CHIAREZZA – La rifondazione deve passare anche da tutto ciò. La rifondazione deve passare da chi come Andrea Poli vuole dare tanto, fino a chi come Marco Faraoni forse in questo momento non è adatto alle pressioni. Rifondare vuol dire proporre qualcosa di nuovo, perché quanto si è visto ultimamente, anche ieri sera, è esasperante. Ben vengano le due reti di rabbia di Forlan e Milito (a proposito, che bello vederli ruggire così dopo i gol…), ma devono essere solo il salvagente di un momento e non la certezza del futuro. Perché la crisi di nervi è quanto di peggio possa esserci. Lacrime, scosse negli spogliatoi, sorrisi in sala stampa. Troppi estremismi fanno solo danni. Serve chiarezza, dice la Curva, ed ha ragione. Il messaggio della gente è quello da raccogliere.

I PROBLEMI FASULLIBisogna cancellare le polemiche su Sneijder, le scelte su Ranieri, l’equivoco tattico. In questo momento l’Inter ha bisogno di programmare per cambiare. Perché i veri problemi sono quelli di domani, e verosimilmente tante di queste sciagure – fortunatamente – tra tre mesi andranno accantonate per far spazio a problematiche reali, futuribili, per l’Inter che verrà. Perché pretendere di più oggi è la naturale ambizione necessaria per ottenere qualcosa domani. La gente dell’Inter va capita se fischia Cambiasso, Cambiasso va capito se piange, i giocatori vanno capiti se sono sull’orlo dell’esplosione, Julio Cesar va capito se vuol suonare la carica, ognuno ha le sue ragioni. Questi sono i sintomi di una crisi, tutti insieme fanno molto male. Ma solo una cosa non si capisce veramente: cosa vorrà costruire l’Inter del domani. Aspettando segnali, speriamo di non dover mai più vedere cotanti estremismi. Per il bene e l’orgoglio dell’Inter.

[Fabrizio Romano – Fonte: www.fcinternews.it]