Non è il mio Milan

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roviamo a ragionare sulle scelte di mister Allegri, chissà magari per trovare una spiegazione condivisa anche attraverso la voce degli insoddisfatti. Ammettiamo senza equivoci che questa analisi sia in parte prevenuta; pertanto vi chiediamo solo di intuire l’intrisa sofferenza con la quale è stata redatta e di apprezzarne almeno l’onestà intellettiva per la quale è stata pubblicata. La soluzione dei tre mediani, adottata già da qualche mese, ha fatto strapazzare di gioia molti tifosi.

La resistenza però di una sparuta minoranza in parte delusa sta a indicare come questo metodo involutivo, per quanto prolifico, non sia stato ancora del tutto digerito nella sua interezza. I risultati, almeno in campionato, sembrano premiare questa strategia tipicamente provinciale, senza offesa chiaramente per chi è costretto a fare di necessità virtù. Diciamo pure che l’accettazione entusiastica di questo modus operandi può essere giustificato fin qui solo dai risultati, soddisfacenti quanto proporzionali al primato in classifica. Il ripetersi però di prestazioni, sul piano del gioco, un po’ deludenti, poteva anche essere un chiaro monito, quanto meno per riflettere sull’atteggiamento a trazione posteriore e dubitare sui alcuni dei motivi dello scadimento qualitativo del gioco della squadra.

Andiamo al dunque. Abbiamo letto e ascoltato alcuni commenti che giudicavano la prestazione degli spurs molto speculare. Vogliamo credere che queste osservazioni non abbiano volutamente tener conto del valore degli avversari e che siano state sostenute solo per giustificare in parte delle scelte scellerate, altrimenti dovremmo dedurre che il vaniloquio sia da attribuire a chi abbia visto una partita diversa. Perché pur giocando fra le mura amiche, fra le due squadre, quella più imputabile di atteggiamento rinunciatario è stata paradossalmente proprio il Milan. Non stiamo qui a menzionare squadre tatticamente eccelse e che hanno fatto la storia del calcio, ma due esempi, per spiegare meglio questo tipo di ragionamento, è necessario farli.

Il compianto Bearzot, tacciato come un irriducibile difensivista, nel 1982 schierava contemporaneamente, nella squadra che si laureò campione del mondo, Conti, Antognoni, Rossi e Graziani. Quattro giocatori con caratteristiche esclusivamente offensive. Fabio Capello, che degli allenatori del glorioso Milan è stato quello, a dire dei critici, a far esprimere la squadra in modo meno spettacolare, nella finale di Atene, contro il Barcelona vinta 4-0, schierava Albertini, Boban, Donadoni, Savicevic e Massaro, con il solo Desally in fase di interdizione.

Vi siete chiesti quanti giocatori con qualità offensive, o comunque capaci di costruire trame di gioco di alto livello, vi fossero in campo martedì sera nelle file rossonere? Ora mi chiedo e chiedo a voi: è mai possibile che la squadra più titolata al mondo si presenti con una formazione così timorosa e rinunciataria in una gara fondamentale per la volata in champions league? Non sarebbero bastati in questa occasione due soli mastini in mezzo al campo? Dopo tutto, pur essendo in tre, non sono stati ugualmente colpevoli al momento della ripartenza di Lennon, scaturita poi nel gol di Crouch? Dove è andata a finire la personalità, la classe eccelsa, la capacità intuitiva di interpretare al meglio lo scontro diretto, che avevano fatto del Milan una delle squadre più blasonate e temute dell’ultimo ventennio sul palcoscenico internazionale?

Quando Flamini e Gattuso hanno perso la ragione, perché forse impotenti di fronte a un avversario più veloce e dinamico in fase di impostazione, siamo stati posseduti da un inquietante timore: quel Milan dominatore di avversari e padrone del gioco era ormai lontano dal Meazza anni luce. Eppure in questa stagione la rosa della squadra appare completa e omogenea in tutti i reparti, sono pochi gli alibi che possono giustificare una prestazione così irriverente col blasone della maglia. Sono molte le gare in cui la squadra appare contratta, come una ferrari pilotata, per paura, con il freno a mano tirato, incapace di sprigionare la forza e la potenza dei suoi cavalli. Riteniamo evidente come questa strategia infici e condizioni le prestazioni, infliggendo alla personalità e al bel gioco, nostri aspetti più consolidati e virtuosi, un duro colpo.

A causa poi delle avvisaglie convulse di fine gara, abbiamo messo a rischio anche un altro patrimonio consolidato in questi anni: il rispetto dell’avversario. Gattuso si è pentito. Questo fa onore all’uomo (non avevamo dubbi) e placa in parte il risentimento etico per il suo gesto. Allegri, falsamente gioviale, ci ha messo subito una pietra sopra, come se l’accaduto non lo coinvolgesse in alcun modo. E la società? Galliani parla di provocazione, intanto prepara una memoria difensiva. Con più classe forse bisognava chiedere semplicemente scusa. Non crediamo che questo sia lo stile Mila e non lo diciamo perché Gattuso si è schiantato come un iracondo sull’ex squalo Jordan, idolo indiscusso di una lontana adolescenza.

Affermiamo questo perché tutto quello che accade in campo, anche a fine gara, può avere riflessi molto più negativi della sconfitta stessa. Marsiglia docet. Si ha l’impressione, infine, che l’approccio alle gare, anche in campionato, sia ingiustificatamente troppo nervoso, per certi aspetti addirittura isterico. Sappiamo tutti che questi non sono segnali di forza ma bensì di debolezza. Più volte abbiamo notato atteggiamenti esageratamente aggressivi, sia fra i compagni che con gli avversari. Non comprendiamo ancora cosa stia accadendo nello spogliatoio. Non abbiamo ben compreso se saranno questi i valori ispiratori del nuovo progetto. Certamente non è questa la squadra di alto spessore umano che conoscevamo. Non è nemmeno questa la squadra della spettacolarità e del bel gioco che ha meritato il plauso e il rispetto del mondo intero.
Semplicemente questo non è il mio Milan.

[Giacomo Chillé – Fonte: www.ilveromilanista.it]