Bologna, il punto: il segreto del successo si chiama tranquillità

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Ha un segreto il Bologna che vince: si chiama tranquillità. Alla squadra, suo malgrado, la garantisce la società. Succede a Bologna e solo a Bologna da due anni e mezzo ininterrottamente: si parla di calcio, di giocatori e di scelte tecniche per due o tre giorni al massimo, quelli intorno alla partita. Il resto del tempo, dal novembre del 2010, se ne va in chiacchiere sulla società.

Prima Porcedda, poi Consorte, a stretto giro di posta Zanetti. Ma si porterà Baraldi? Poi Scapoli parla a nome di tutti i soci, Zanetti esce di scena e ad occuparla è Pavignani, prima che Cazzola ci faccia un pensierino lungo un mese e che tale rimarrà. Dopo Cazzola è la volta di Guaraldi. Ma Guaraldi e Setti non si filano tanto e iniziano i problemi. Dualismi su tutta la linea: il presidente e il vice, Pedrelli e Zanzi, Bagni e non si sa chi. In poche parole: perenni motivi di dibattito, di divisioni e perenne attenzione focalizzata sulle mosse dirigenziali.

Il tutto finché Guaraldi non sale al 51, Setti trasloca a Verona e sembra che la nave abbia imboccato la rotta definitiva. Neanche per sogno: in estate impazza il toto-acquirente, si parla del nuovo centro tecnico, quindi le cessioni di Ramirez, Mudingay e Gillet. Insomma vengono piantati i semi che faranno crescere la pianta della contestazione. Allo stadio la protesta nei confronti di Guaraldi sta diventando la colonna sonora ufficiale, prima che le note di Lucio Dalla augurino a tutti la buona sera.

Per forza Pioli va d’amore e d’accordo con Guaraldi. Non esiste al mondo un presidente e una società che assorbano tanto bene e tanto naturalmente tutte le discussioni, come quelli del Bologna. L’allenatore ne può perdere anche quattro di fila, che del perché e del percome succeda si parla per due giorni. Durante gli altri cinque i giocatori sono al sicuro, blindati: il cattivo è sempre altrove e se esiste qualche problema di assemblaggio, se l’allenatore perde tutti gli scontri diretti come nel girone di andata e se la squadra non trova né lo schema né lo spirito giusti ha modo e tempo per lavorare serenamente, finché non arrivano le vittorie scacciacrisi.

Se perde il Milan, quello che non capisce un c… (parole di Berlusconi) è Allegri, se perde l’Inter il problema è Stramaccioni, se perde il Napoli è perché Cavani non segna più e Mazzarri ha perso lo smalto dei giorni migliori. Se perde il Bologna il clima è comunque perfetto per allenatore e giocatori che trovano il conforto del pubblico. Quando riescono a vincere su un campo difficile, regolarmente dal dicembre da inizio 2011 trovano sotto casa un festante comitato di accoglienza.

Che lo volesse o meno, attirando su di sé ogni malcontento della piazza, Guaraldi è riuscito a ritagliare alla squadra una sorta di campo neutro dove Pioli può effettuare tutti gli esperimenti del caso e dove i giocatori hanno il tempo che serve loro per ritrovare la condizione migliore, senza subire né rimbrotti dal pubblico né critiche particolari dai <media>.

Insomma, neanche a farlo apposta. Per Mourinho era un’abitudine. Ai tempi dell’Inter aveva alle spalle una società impeccabile e se la squadra perdeva toccava a lui spostare su di sé in ogni modo possibile (il segno delle manette, accuse ad arbitri o avversari) l’attenzione di tutti. Pioli questa fatica non la deve fare: tanto c’è una carta assorbente in servizio effettivo permanente.

Situazione, questa, che ha dato ottimi risultati. In ordine sparso: Cherubin, Antonsson e Sorensen sono in crescita esponenziale, Perez sta sfornando un girone di ritorno da eroe dei due mondi, Gilardino può prendersi il tempo che gli serve per trovare nuovo carbone fra una fiammata e l’altra e Curci ha avuto sei mesi di tempo per ritrovare una discreta condizione psicofisica.

La morale: per una squadra come quella di Pioli che ha bisogno di tempo per registrarsi e per carburare, il Bologna delle perenni fibrillazioni è la società ideale. Se non negli acquisti, nelle cessioni e nella stabilità che servirebbe per programmare, di certo nella capacità di garantire alla squadra la quiete che serve per lavorare bene e con profitto.

[Sabrina Orlandi – Fonte: www.zerocinquantuno.it]