Catania: più di Maran o Montella?

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Montella di qua, Maran di là, Marino laggiù, Zenga più su, Simeone un po’ qui, Sinisa più lì, ma insomma, di chi è più questo Catania? Di chi è di più questo Catania? Se ne parla, e se ne parlerà ancora tanto nella settimana che porta alla derby del tempo tra il passato del Catania, Montella, ed il Catania del presente, Maran. A chi assomiglia di più questa squadra? È ancora quella di Montella oppure è già quella di Maran? Partiamo da un assioma chiaro, e spesso ribadito in questi anni, almeno a Catania:

Un allenatore deve fare la formazione non può né dovrebbe fare la squadra, quella è spettanza della società (se è degna di tal nome), come quella di metterlo in condizione di pensare solo e soltanto ad allenarla, specie se giovane e bisognoso, al di là della propria percezione, di apprendere cosa significhi essere un allenatore e come diventare, col tempo. un bravo allenatore.

Bravura che non consiste nel saper imporre il proprio modulo, la propria idea di gioco alla squadra, ma nel trovar, tra tante, la combinazione di undici numeri su tre linee che permetta all’organico di conseguire la maggior costanza possibile di risultati abbinandole, nell’ordine, il miglior calcio possibile, la valorizzazione dei migliori giocatori in organico, l’impiego del maggior numero di interpreti possibile. Ovvero, la remissione d’ogni velleità possessiva: Il proprio modulo, il proprio calcio, i propri pupilli, in luogo della condivisione di un progetto chiaro, di crescita collettiva in cui esser conduttore del mezzo, non proprietario.

Questo significa esser un allenatore ed è questa la figura professionale che il Catania ha sempre cercato, od immaginato di riscontrare, in Maran ed in tutti i suoi predecessori. Questo potrebbe anche esser il motivo, comune a tutti i predecessori di Maran, della diffusa refrattarietà all’affezionarsi ad una squadra, ad un qualcosa di cui si sa, bene, e fin dall’inizio, non esser né poter mai, od in alcun modo, esser proprietari.

Che la natura possessiva dell’uomo non abbia snaturato col tempo, con gli addii, con le difficoltà, con le tentazioni, i principi cardine che hanno finora retto il Catania nella massima categoria, e retto bene tanto da metterlo adesso nelle condizioni di ergersi fino allo specchio che non raggiungeva da bambino (neppur in punta di piedi), non può che esser evidenza di una idea d’origine chiara, convinta, foriera di opere che l’hanno resa convincente, esemplare al pari dell’esempio che l’ha mossa: l’Udinese che tutti guardano, tutti lodano, ma che nessuna società, nessun presidente, finora, aveva mai avuto il coraggio ed insieme a questo la capacità non di emulare ma, più complicato, di trasporne l’esempio adattandolo alle contingenze ed alle peculiarità del proprio territorio.

È la società a scegliere i giocatori ed è sempre la società, ancora prima, a sceglier il modulo che detterà le caratteristiche discriminanti da ricercare negli atleti in sede di calciomercato. E sin da subito, il Catania, come un tempo l’Udinese, scelse il 4-3-3, dall’anno di gestione Marino che poi, guarda un po’ la “coerenza”, crescendo andò ad allenare proprio chi? L’Udinese e poi chi? Il Parma nato sul modello Udinese voluto da un altro ex dirigente friulano, Pietro Leonardi, che trasferitosi a Parma lo volle con sé.

Esempio di gestione chiaro, risaputo e condiviso tanto da Lo Monaco come da Gasparin se è vero come è vero che entrambi sono di scuola Udinese e, se è vero, com’è vero, che al presidente Pulvirenti non sono mai sfuggiti certi dettagli al momento di compiere una scelta, chiara, all’origine, ed una altrettanto risoluta e coerente, più di quanto i tempi ed i commenti non facessero credere, in corso d’opera, sui dirigenti e, loro volta, sugli allenatori.

Chi non ha fatto bene sulla panchina del Catania? Chi non è riuscito a crescere, in questo ambiente tanto da meritare un “salto” se non altro economico in carriera? Costantini, Baldini, Atzori, Giampaolo. Ovvero quegli allenatori che, pur capacissimi, esperti o meno della categoria, oltre le apparenze che han portato alla loro scelta, una volta all’opera non hanno abbinato al comprendonio del ruolo di allenatore l’adeguata disponibilità o capacità di apprendimento ed adattamento necessaria alla loro sopravvivenza in panchina ed alla sopravvivenza della squadra nella massima categoria. E se poi, nonostante le difficoltà, nonostante esoneri ed avvicendamenti il valore della squadra è comunque emerso, non importa se all’ultima giornata, non può questo esser altro che conferma di come, dietro qualsivoglia allenatore, bravo o meno, adatto o meno, ci fosse sempre e comunque una squadra, e quindi delle scelte, di valore.

Poi è indubbio, il ruolo dell’allenatore è tutt’altro che marginale, come dimostrano i saliscendi post-esonero. Ci sono prerogative che è necessario possedere, od almeno conoscere per riconoscer di non possederle: Da dove se non dalle convinzioni del tecnico una squadra può consolidare le proprie? Da quali se non dalle capacità del tecnico una squadra può maturare la capacità di star bene in campo? Da quale se non dall’interpretazione data dal tecnico, una squadra può esser efficace interprete di un modulo di gioco? Da dove se non dal carattere del proprio tecnico una squadra può far uscir fuori, sul campo, il proprio di carattere? Perché l’allenatore appartiene alla squadra, ma la squadra non appartiene all’allenatore.

E quindi perché star a disquisire se questo sia ancora il Catania di Montella o già il Catania di Maran? Quando non lo è stato mai del primo e non lo sarà mai dell’altro? Maran, se si dimostrerà bravo come o più di Montella, saprà come continuare a far crescere un Catania che di anno in anno ha aumentato le proprie potenzialità, grazie al talento ed all’esperienza maturate nel tempo od aggiunte grazie al calciomercato, e che al proprio allenatore chiede solo di metterlo nelle condizioni tecniche e caratteriali adeguate per esprimerle appieno. Sia per un anno, per due, finché “grande” offerta non ci separi.

Perché un addio non è un tradimento se non ti sei mai sentito di appartenere a qualcosa, od a qualcuno, senza che questo ti possedesse. Per questo il Catania appartiene solo ai tifosi, per questo si lascia amare solo da loro, perché sa che loro non lo tradirebbero mai, non l’abbandonerebbero mai, né in un dove, né in un quando.

[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]