Juventus: il mercato si appresta ad entrare nel vivo

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logo-juventusAttacco da esaltare, difesa da rinforzare e centrocampo? Da confermare.  Il mercato della Juventus si appresta ad entrare nel vivo: c’è Jovetic da prendere (mentre Bronzetti dice che «Higuain andrà a Torino al 70%») e c’è il centrale da scegliere. Ma la compravendita estiva non riguarderà la linea mediana, dove ci sono gli inavvicinabili: Vidal e Pogba. Chiusi a chiave in cassaforte, a doppia mandata.

Verrà sigillato a breve, il cileno: pronto per lui il prolungamento fino al 2018 e l’aumento a 4 milioni stagionali più bonus (come l’ex Leverkusen, in attesa degli arrivi in attacco, solo Buffon e Pirlo). Le firme verranno poste probabilmente al ritorno dalla tournée americana, se non prima, durante il ritiro di Chatillon. Formalità, comunque, visto che l’accordo è di fatti già siglato e considerata la fermezza di Conte nel pretendere invendibile Vidal. Stessa considerazione per Pogba, che ha concesso al settimanale “France Football” parole, pensieri e rivelazioni sull’annata appena vissuta.

Più di un anno, quello raccontato dal francese. L’incipit è fissato, infatti, al 25 marzo 2012. Vigilia di un Manchester United-Fulham, Pogba già da qualche mese in prima squadra con diverse apposizioni nelle Coppe, ben visto da sir Ferguson: a 19 anni, un lusso per pochi. Invece di crogiolarsi nella soddisfazione, però, il ragazzone va dal totem scozzese e gli comunica di aver maturato una decisione: lasciare l’Inghilterra per giocare con continuità.

«Che senso ha restare al Manchester soltanto per dire “Io gioco allo United” ma poi trovarsi sempre in panchina?», pensò lui.
«Ma dove vai? Vai alla Juve, in Italia, giusto? Là c’è molto razzismo. I tifosi italiani non sono come quelli inglesi», gli disse Ferguson.

«Il razzismo c’è dappertutto: a me interessa giocare», rispose il francesino (replica che serve ora anche a smontare le fantasie della stampa inglese circa un suo malumore, in ottica Arsenal). Che non si fece lusingare poi da parole al caramello, promesse allettanti ed offerte economiche non indifferenti: «So bene che un giovane di 19 anni che dice di no a Fergie entra di diritto negli annali – riflette adesso il centrocampista bianconero – Lui è un grande manager, lo rispetto, ma nella vita bisogna fare delle scelte: avrei detto di no anche a Obama, per un posto in squadra».

A Torino nessuno glielo ha garantito («Conte, la prima volta che ci siamo visti, mi ha detto “Con me gioca il migliore, l’età non conta; se pensi di poterti imporre qui da noi, allora vieni e mostraci quello che sai fare”»), ma lui se l’è preso con rabbia, grinta, determinazione.

Soprattutto, con quella faccia da ragazzino affamato di gloria che mostrò in mondovisione il 19 gennaio, dopo il primo gol da paura della sua doppietta all’Udinese: «Quella sera ero determinatissimo, perché intorno a me sentivo troppi “Ah, il giovane Pogba è un tipo scapestrato e spesso s’infiamma”. Questo perché avevo una nuova automobile e un nuovo taglio di capelli. ,a è stupido giudicare qualcuno per questo genere di cose. Con quell’esultanza, quindi, ho voluto dire alla gente: “State parlando a vanvera, cucitevi la bocca, tutto ciò è ridicolo”».

In verità, come lui stesso ammette, la pioggia di critiche gli era cascata addosso per la notizia dei ritardi a due allenamenti, diffusa con un duro comunicato dalla stessa Juventus: «Si è trattato di un malinteso, che comunque non doveva succedere: io sono il più giovane, dovrei arrivare in anticipo e seguire l’esempio dei veterani che sono sempre puntuali. Comunicando quanto era accaduto, il club mi ha riportato sulla terra, mi ha dato una bella lezione. Hanno fatto bene a riprendermi e a farmi saltare la partita successiva che ho seguito in tv».

Evidentemente maturo al punto da riconoscere i suoi errori, Pogba, prova anche a lavare via l’altra macchia stagionale: «Lo sputo ad Aronica è da condannare: non l’ho colpito, ma il solo gesto non si fa, perché non è una cosa bella da vedere».

Lo è lui, bello da vedere, lanciato com’è verso innumerevoli vittorie di squadra («Non mi piace perdere, per niente») ed suoi obbiettivi personali: «Conquistare il Pallone d’oro e diventare il più forte giocatore del mondo».

Presunzione? Tutt’altro: voglia di sognare di un ragazzo umile.

«Non sono una stella, non sono nessuno: sono solo Paul, Paul di Roissy en-Brie, Paul del quartiere».
Paul incedibile, come Arturo.

[Giuseppe Piegari – Fonte: www.goalnews24.it]