Lotito: “Oggi abbiamo una squadra quadrata, ma credo manchi ancora la mentalità da grande”

Un fiume in piena, difficile immaginarlo diversamente. Claudio Lotito è così, vis polemica e voglia di cambiare il mondo e ora non più solo quello del calcio. Il presidente biancoceleste gongola per la sua Lazio quasi da vertice, un’armata convinta dei propri mezzi consapevole di poter puntare in alto. Un’armata che vince e convince, e si gode il suo Miro Klose dai piedi fatati sempre decisivo, sempre un campione. La Lazio è la sua vita, il patron dedica tutto il tempo dei suoi mille impegni al calcio, ma ora nel cassetto c’è anche un altro sogno: quello di scendere in politica, di accettare una delle tante chiamate e candidarsi conciliando i quattro telefoni che squillano in continuazione e quel toast che si concede a pranzo nella fretta.

Nel mondo del calcio è entrato senza bussare, senza troppi complimenti, facendosi parlare dietro forse ma consapevole delle sue azioni: ha salvato la Lazio dal fallimento, e tra luci e ombre l’ha riportata in alto, ora la vuole ancora più forte: «Dobbiamo proseguire in questo tragitto intrapreso da nove anni, rispettando i famosi tre parametri. Oggi abbiamo una squadra quadrata, ma credo manchi ancora la mentalità da grande. Questo handicap nasce dall’ambiente. Molti parlano ancora di Lazietta, forse perché ha avuto in passato tanti problemi e non ha ottenuto risultati, a parte l’era cragnottiana», ha dichiarato in una lunga intervista concessa dal presidente Lotito al Corriere dello Sport, tre ore nella redazione del quotidiano romano, un fiume in piena.

Lotito nei rapporti ora sembra ammorbidito.
«Ci sono una serie di fattori che concorrono ai cambiamenti. Quando sono entrato nel 2004 esisteva la concezione del “più spendi e più vinci”. Ho cercato di rompere l’assioma. Immaginate la stessa acquisizione della Lazio, l’ho presa con 550 milioni di debito, fatturava 84 milioni di euro e ne perdeva 86 di esercizio. Non era un’avventura, sembrava una sfida impossibile. L’ho fatto per tre motivi. Primo: sono tifoso della Lazio, mi dicevano anche che ero romanista. Non è vero. Sono laziale dall’età di sei anni, ci sono diventato per il rapporto con la mia tata, il cui fidanzato era laziale. Faceva il panettiere. Parliamo degli anni Sessanta. Il secondo motivo è stato lo spirito di servizio. Ho un’estrazione umanistica, ho sviluppato il concetto della polis, gli studi mi hanno spinto verso la collettività. Facevo l’imprenditore. Il territorio mi aveva dato la possibilità di esprimere le mie potenzialità, ritenevo giusto restituire qualcosa. La considerai una sfida non impossibile, ma al limite. Mi piacciono le sfide. Prendevo una società tecnicamente fallita. Inventai una serie di situazioni, come prestiti e parametro zero. Presi un allenatore a 50 mila euro, il predecessore guadagnava 4,5 milioni. Ero un naufrago in mezzo al mare. Non dormivo più di un’ora e mezzo, non era solo un problema di investimento, ma di azioni da mettere in campo. Mi sono scontrato con tutti. La società perdeva più di quanto incassasse. Bisognava fermare l’emorragia. Quello che dovrebbe fare oggi il governo. Il bilancio statale è un serbatoio bucato che continua a perdere».

Lotito si sente più cambiato dal calcio o ancora non è riuscito a cambiare il calcio?
«Oggi la Lazio è una delle poche società in regime di Fair Play finanziario riconosciuto dall’Uefa, sempre in utile. Ho creato il ramo “Marketing & communication”, risolvendo il problema del marchio, lo spalmadebiti venne ridotto da 10 a 5 anni, chiesi che l’applicazione entrasse in vigore nell’esercizio successivo. Salvai il bilancio attraverso la valorizzazione del marchio, all’epoca non si poteva iscrivere in bilancio. Chiesi un parere. Non era un’alchimia bilancistica, era un fatto reale. Il Tribunale nominò un perito. Il marchio venne valutato in 120 milioni con una proiezione a 15 anni, così abbattei altri 150 milioni. In seguito, molti altri presidenti adottarono il mio stesso criterio. La Consob all’inizio non voleva recepire quel criterio, ricordo che battaglie. Oggi la costola marketing produce 10 milioni di utili l’anno, è proprietaria di tv, radio, negozi».

Perché ha preso la Lazio?
«L’ho fatto per il gusto della sfida. Rilevarla significava salvaguardare un patrimonio tecnico, sportivo, culturale. E’ nata nel 1900, fa parte di una Polisportiva, è la prima squadra della Capitale. Capisco che a qualcuno possa dar fastidio, ma è la verità. Sarebbe stato più semplice farla fallire e prenderla a costo zero, come hanno fatto tanti miei colleghi».

Con la Lazio ci ha rimesso o ci ha guadagnato?
«La Lazio guadagna soldi per pagare i debiti. Io non percepisco un euro. Appena sono entrato, ho eliminato gli emolumenti del Cda, ho eliminato le consulenze. Il mio predecessore guadagnava 500 mila euro, l’amministratore delegato un milione, il direttore generale 400 mila. Ho fatto cose contro i miei interessi. Mettendo 25 milioni per il 21 per cento. Oggi ho oltre il 67%. E’ una società non scalabile, lo dico e lo ripeto a chi parla di arabi. Mi piacerebbe che la squadra ritornasse ad assurgere a quei risultati che aveva conseguito alla fine degli anni Novanta. Pago 6 milioni al Fisco ogni anno in anticipo».

Ora Lotito sembra più vicino alla sua gente.
«Quando entri in un sistema ingessato, devi rompere gli schemi. Ho dovuto usare toni forti. Le persone non capivano, ma non è colpa mia se cammino con cinque anni di anticipo rispetto agli altri. Non capivano i parametri zero, i prestiti con diritto di riscatto, dicevo sempre di voler costruire la casa non sulla sabbia ma sul cemento armato. L’ho fatto. Il primo anno siamo entrati in Intertoto, acquistando 9 giocatori in un giorno, poi siamo andati in Uefa, infine in Champions, il quarto anno è arrivata la Coppa Italia, il quinto la Supercoppa. Ho portato risultati. E sto pagando ancora i debiti fatti dagli altri. Il mondo non capiva, ho assunto di conseguenza una posizione frontista, mi sono chiuso, c’era una visione dissenziente da parte di tutto l’ambiente».

L’idea di un campionato a 18 squadre le piace?
«Il campionato a 18 squadre l’ho proposto io, ci si approderà, il calcio non ha le risorse per sostenere questo numero elefantiaco di società. E non si può fare un paragone con la Spagna. I ricavi del Real e del Barcellona in Italia non esistono, se avessi 270 milioni di ricavi, sai che farei… I risultati della Lazio li ottengo con 90 milioni di fatturato».

Perché altri club non tendono ad allearsi in Lega con Lotito?
«Stanno maturando le condizioni per trovare un accordo».

Come mai ha rilevato la Salernitana?
«Per la visione che ho io, è un bene che una squadra di A acquisisca una di Lega Pro. Significa salvaguardare il territorio e mettere i giovani in mostra. Faccio un discorso pratico. Alcuni territori non hanno le potenzialità per permettersi la serie A. Ci dobbiamo preoccupare delle cose realizzabili, non dell’impossibile».

Ora si è riaperto il dialogo con la tifoseria.
«Non ho nessun accordo. L’errore è questo. La tifoseria aveva assunto una posizione frontista, strumentale. A marzo del 2005, quando lanciai l’idea dello stadio, successe un terremoto. Inutile tornarci sopra. Oggi sono passati otto anni, c’è stato un processo di maturazione e di consapevolezza. La società non ha fatto un passo indietro, sta solo riconoscendo i comportamenti diversi della tifoseria. Come presidente devo coltivare i risultati, salvaguardare il bilancio, ma anche la passione e i sentimenti comuni. L’idea della Lazio, la passione, la storia sono di tutti».

Lotito ha fatto un’operazione importante dopo gli incidenti di Campo de’ Fiori.
«Sono intervenuto a difesa della tifoseria, come padre della famiglia».

Ma il rapporto con la Curva è cambiato?
«Non ho fatto un passo indietro, sono loro che fanno le cose giuste. Il Terzo Tempo è una cosa positiva. Non sono cambiato io, è cambiato il mondo intorno a me. Di salary cap ne parlavo nove anni fa, mi prendevano per matto. Oggi i fatti testimoniano che avevo ragione. La sovraesposizione mediatica all’epoca era necessaria per far valere certi principi. Ora lascio l’opinione alla gente. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto non per risolvere problemi personali, ma per salvaguardare l’interesse generale».

Che succede con Diakitè?
«Diakitè l’ho preso dal Pescara e l’ho portato nella Primavera. L’allenatore di allora non lo vedeva. Prendeva uno stipendio di un certo importo, l’ho tutelato come se fosse un figlio, si ruppe una gamba, gli rinnovai il contratto quando stava male. E lo vorrei tenere. E’ un anno e mezzo che glielo dico, lui spara una cifra spaventosa per firmare, fuori da ogni logica. Più del doppio di quello che prende Biava. L’Inter? Dicitur… Non dicunt. Ho posto il problema. La fonte mi ha negato. Ho parlato con Fassone e Moratti. Se domattina Diakitè si comporterà in modo diverso, vedremo».

Esclude di cederlo a gennaio?
«L’elemosina la faccio in Chiesa, l’autorevolezza si vede nella coerenza. Per Pandev rifiutai 5 milioni, quei soldi mi avrebbero obbligato ad abiurare dalla battaglia sul contratto collettivo. Oggi i giocatori non possono più fare giochetti con gli arbitrati finti».

Le piacerebbe passare alla storia per il risanamento della Lazio, che è già una vittoria, o per qualche scudetto vinto?«Le vittorie devono essere a 360 gradi. E’ troppo semplice fare il risanamento e finire in serie B, bisogna coniugare il risanamento con i risultati sportivi. Non voglio raccogliere meriti, è un percorso, una valutazione che faccio di me stesso, le sfide sono con me stesso, non con gli altri. Il tempo lo dirà. L’anelito di ogni uomo è migliorare sempre, lo scriveva Dante».

Nel calcio, però, si passa alla storia per le vittorie.
«Tutti parlano di pallone e pochi di calcio. Ho cognizione dell’aspetto tecnico. Guardate la Salernitana. Ho cacciato l’allenatore che non volevo prendere, lo sanno tutti, ho richiamato Perrone mentre mi trovavo al ristorante a mezzanotte e gli ho detto “domani sei in campo ad allenare”. Oggi è primo in classifica, ha fatto 12 vittorie di fila».

Prenderà altri due Klose per il centrocampo e la difesa?
«Klose è venuto alla Lazio a cifre molto più basse di quelle che guadagnava al Bayern. Non vi dico chi lo voleva, ma ha scelto di venire a Roma. Lo stesso è accaduto alla Salernitana, dove sono arrivati giocatori di B solo perché ci sono io. Klose è un grande uomo. Mi chiedete, ma non si va al supermercato e si prende. Il giocatore va trovato per quello che serve all’allenatore e con il profilo giusto tecnico e umano. Non c’è il nome. Lo stiamo cercando? Certo. Alla Lazio ho il mercato 24 ore al giorno, neppure sapete quello che stiamo guardando».

Mancini ha detto che la Lazio può essere l’anti-Juve.
«No, non quest’anno. La Juve si trova con 8 punti di vantaggio su di noi, ha 270 milioni di ricavi ma è uscita con 70 milioni di perdite. Noi produciamo 10 milioni di utili e abbiamo 90 milioni di ricavi».

Dove farà lo stadio?
«Quando facevo la battaglia per lo stadio, mi deridevano, ma le stesse persone hanno avuto dei danni. Sono passati quattro anni. Ma quali speculazioni? Ho un progetto di stadio che quello della Juve sembrerà un laghetto di anatre».

Petkovic non si tira indietro di fronte a niente.
«Lo scudetto? Non facciamo voli pindarici, Petkovic lo deve dire, io sto con i piedi per terra. Questa squadra è forte, deve acquisire la mentalità da grande squadra, Klose è da grande squadra, perché ha la mentalità del campione, guardate la gestione fisica. Non faccio proclami, ho fatto quello che avevo promesso, manca solo lo stadio. Ora deve uscire lo legge».

E’ vero che, dopo la firma del contratto, Klose non ha voluto brindare perché voleva andare a riposarsi?«Siamo andati a mangiare in un ristorante, era il giorno del suo compleanno. Lo vedevo assonnato. Mi disse: “Scusi presidente, ma vado a dormire, domani ho l’allenamento”. Mi ha sorpreso ancora di più quando chiese di allenarsi con la Primavera. Mi chiamò Bollini. A fine allenamento, con tutta la squadra sotto la doccia, Klose era andato a raccogliere i palloni».

Se resisterà Beretta in Lega, cambieranno le cose? E se vincerà Abodi il contrario?
«Ci sono due modi per gestire, il cambiamento e il consociativismo. Io non sono per il consociativismo. Le riforme passano per la condivisione delle scelte. Io voglio gli equilibri del sistema, non cerco meriti. Lavoro per le riforme. Nel tempo sono diventato ingombrante. Beretta non so nemmeno dove abita, ma è persona perbene, trasparente. Voglio un presidente che dia autorevolezza all’ente. Poi bisognerà fare un Consiglio forte. La Lega oggi è in mano ai funzionari. Abodi non è mio nemico, secondo me non ha lo standing per fare il presidente di Lega, l’ho detto anche a lui».

La proprietà americana la lascia perplesso?
«Guardo a casa mia. A parte le battute tipo lo zio Tom e “America me senti”, non vorrei esprimere giudizi. E’ successo il caos per quel paragone con la famiglia Sensi. I tifosi si vogliono identificare, hanno bisogno di un capofamiglia. Senza un interlocutore, puoi avere dei risultati, ma è un rapporto freddo. Una volta c’era il campione, le maglie bagnate di sudore. Ho cercato di ricreare un legame con la storia. Ho portato Gascoigne all’Olimpico. E non sapete quanto mi costa l’aquila».

Nella Roma c’è Totti.
«E’ vero. Come simbolo è rimasto il giocatore, ma la società? La Lazio è Lotito, nel bene o nel male, forse per 99 su 100 nel male, l’interlocutore ti rappresenta. Manca il contatto umano, non lo dico per spirito di contrapposizione alla Roma».

Se la Salernitana salisse in serie A?
«Non sono abituato a fasciarmi la testa prima di romperla. Bisogna agire per tappe. Ho preso la società all’Inferno, oggi stiamo nel girone degli ignavi, tra color che son sospesi. Speriamo nel Purgatorio, che sarebbe la C1. Anche il Paradiso aveva vari strati, la serie B sarebbe già un grande risultato. Credo si farebbe fatica in A. Eventualmente ci sarà qualcun altro che prenderà la Salernitana, non a caso ho messo mio cognato. E’ socio al 50 per cento».

Avrebbe preso Zola e non Petkovic?
«Zola è stata una mia invenzione per stimolare Reja. Edy non sopportava la pressione. Non sapete quante volte ho difeso e spronato i miei allenatori. Ballardini era un buon tecnico, fu solo sfortunato, perché capitò nel momento della guerra, si erano create situazioni di ingovernabilità nello spogliatoio. Ma ha vinto la Supercoppa contro Mourinho, l’ha vinta tatticamente, mi disse metto Matuzalem dietro le punte, Mauri perché mi dà subito profondità. Vincemmo con un gol di Matuzalem vicino alla porta e un altro di Rocchi lanciato da Mauri. Ballardini entrò in Europa League, poi la squadra crollò. Alla fine, quando non poteva esserci più rimedio, concordammo il divorzio».

Arrivò Reja.
«Mi arriva una telefonata, mi dicono c’è Reja a Spalato, aveva una clausola, poteva liberarsi. Andava convinto il sindaco, che aveva in pugno la squadra. Due giorni infernali di trattative. Edy si convinse a venire alla Lazio, ma dopo la sconfitta con il Bari, era passato appena un mese, se ne voleva andare. Lo feci tornare a Roma. Ordinai il ritiro a Norcia. Erano tutti riuniti a Formello, portai lo psicologo e davanti alla squadra feci un discorso di grande responsabilità. Non vi mando in ritiro per punizione, ma solo per ritrovarvi. Non vi potete permettere di prendere in giro in tifosi. Avete deciso di andare in B? Liberi di farlo, ma a Roma poi non tornerete. Rocchi mi disse: “E’ un problema di testa”. Benissimo, c’è lo psicologo. Feci partire tutti per Norcia. La sera mi arriva una telefonata. Era la squadra: “Abbiamo fatto un’Ansa, non vogliamo lo psicologo. Ci siamo parlati tra di noi. Ci assumiamo la responsabilità“. Quello che volevo. Dopo un paio di giorni, mi chiamò Edy. “Aveva ragione lei, ha dato la scossa”».

Rossi ha fatto crescere il patrimonio tecnico, Reja era il leader del gruppo. Può tratteggiare un profilo di Petkovic?
«Siamo ad un altro livello. Petkovic ha respiro internazionale. Non è un integralista, gli deriva dalla sua cultura umana, ha lavorato alla Caritas. Rossi l’ho sostenuto molto, ma lavorava bene sul campo. Reja è un uomo di grande esperienza, gestiva i rapporti nello spogliatoio. Petkovic unisce le due cose, e in più ha una grande capacità comunicativa. Mi piace questa Lazio. Ho un gruppo fantastico, di gente seria, sono orgoglioso. Ne vado fiero».

Su Mauri mette la mano sul fuoco?
«Posso esprimere un giudizio sulla persona. E’ corretto, va a Medjugorie, se la notte si trasforma non lo so. Non mi sembra un tipo legato ai soldi, fa vita misurata. Non entro nel merito delle indagini. Mauri lo vedo sereno, tranquillo, anche in campo».

Pensa che Zarate andrà via a scadenza?
«Nella vita ognuno fa quello che gli pare, manca un anno e mezzo, se vuole fare il pastore in giro per Formello…. Galatasaray e Marsiglia lo volevano ad agosto, ma ha preferito non andarci».

Se Diakitè ci ripensasse, troverebbe la porta aperta?
«Mi sono comportato bene. E spero sempre nella parabola del figliol prodigo».

State cercando un Brocchi più giovane?
«Abbiamo delle idee, vediamo se collimano con la realtà, dobbiamo far crescere i nostri giovani. Onazi sta andando bene. Il contratto? Sì, lo ha fatto. E poi Cavanda. E’ diventato un’alternativa importante a Konko e Scaloni. Non sapete quanto Scaloni ha contribuito alla maturazione di Cavanda».

Montella era uno dei candidati prima di Petkovic?
«Sì era l’allenatore dei miei pensieri, ma probabilmente non sarebbe mai venuto alla Lazio».

[Giorgia Baldinacci – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]

Champion’s League, Milan: le propabili avversarie dei quarti

Si sono conclusi ieri sera gli Ottavi di finale di Champions League, decretando così le 8 squadre che Venerdì verranno inserite nell’urna per i sorteggi dei Quarti: delle squadre italiane purtroppo l’unica superstite è il Milan; Inter e Napoli infatti hanno dovuto cedere il passo rispettivamente a Marsiglia e Chelsea. Cerchiamo quindi di analizzare le possibili rivali del Milan, attribuendo a ciascuna un coefficiente di difficoltà [da 1= avversario ideale a 5= avversario da evitare assolutamente], fornendo una breve descrizione tattica dei club rimasti ancora in gioco; li presentiamo in ordine crescente di difficoltà:

AVVERSARIO IDEALE: Apoel Nicosia [Coefficiente 1]

Non vi è alcun dubbio che la formazione Cipriota sia il sogno di tutte le altre squadre rimaste in gioco: L’Apoel infatti è una formazione molto inesperta e con poche individualità che possono fare la differenza; attenzione però a non prendere l’avversario sottogamba. I ciprioti infatti non sono qui per caso; mettono in campo un ottimo gioco collettivo e sopratutto possono giocare liberi mentalmente, con la leggerezza di chi sa di aver compiuto di già un’impresa storica, e che tutto quello che verrà da qui in avanti sarà solo un’aggiunta. Bisogna scendere in campo con il livello di concentrazione adeguato quindi, per non rischiare di fare la fine del Lione.

Marsiglia [Coefficiente 2]

Per le caratteristiche della rosa rossonera, la squadra di Deschamps è di sicuro la seconda estrazione da augurarsi. I francesi infatti sono una squadra la cui arma principale è costituita dalla fisicità: non annoverano nelle loro fila grossi talenti in grado di fare la differenza e si affidano quindi sul collettivo e sulle doti fisiche dei propri giocatori. Se aggiungiamo la scarsa esperienza internazionale, si arriva a comprendere perchè Allegri potrebbe sorridere anche di fronte a questo abbinamento.

Benfica [Coefficiente 2,5]

Mezzo punto in più della squadra spagnola, il perchè è subito spiegato: la formazione portoghese è forse meno solida, ma ha alcuni talenti che potrebbero fare la differenza: Witsel su tutti, corteggiato dal Milan, ma attenzione anche a Maxi Pereira, ala seguita anche dall’Inter che può ricoprire anche il ruolo di terzino, solo per fare due nomi. A ciò va aggiunto che il Benfica mostra un gioco più veloce delle precedenti due squadre, e il Milan per caratteristiche è una squadra che va in affanno quando si gioca su alti ritmi. La scarsa esperienza internazionale e il divario tecnico comunque importante rendono in ogni caso questo sorteggio favorevole per i rossoneri.

Chelsea [Coefficiente 4]

Qui iniziano i veri problemi per i rossoneri. Partiamo subito con il dire che a nostro avviso chi reputa il Chelsea un sorteggio tutto sommato positivo ha torto. L’alto tasso di esperienza della rosa Inglese, nonchè i grandi campioni da cui è composta la squadra d’oltremanica ne fanno un avversario da temere sempre e comunque; chiedere al Napoli per togliersi ogni dubbio. L’avvicendamento in panchina sembra aver restituito motivazioni e solidità difensiva alla formazione di Abramovich: nelle 4 partite sotto la gestione Di Matteo infatti, la squadra ha incassato solo due gol. A nostro avviso per caratteristiche la squadra inglese è la più simile ai rossoneri tra le otto rimaste in gioco; se il Milan dovesse pescare il Chelsea la qualificazione sarebbe davvero 50 e 50.

Bayern Monaco [Coefficiente 4]

Collochiamo i bavaresi allo stesso livello del Chelsea, anche se le ragioni sono differenti: la rosa tedesca, volendo operare un confronto con gli Inglesi, ha forse meno esperienza e meno fuoriclasse nel complesso, ma il Bayern Monaco potrebbe essere aiutato dalle motivazioni provenienti dal giocare una finale in casa propria, e dal tipo di gioco che esprime: la formazione allenata da Heynckes infatti è abituata a giocare in modo molto veloce, e come abbiamo già ricordato in precedenza, il Milan è una squadra che per caratteristiche soffre i ritmi alti di gioco. A ciò si aggiungano due individualità importantissime, rappresentate da Robben e Ribery: le due ali sono quel genere di giocatore che possono cambiare le sorti di una partita da un momento all’altro; in caso di sorteggio con i Tedeschi diventeranno fondamentali le prestazioni dei terzini scelti per l’occasione da Allegri.

Real Madrid [Coefficiente 4,5]

Non vi è dubbio che le due spagnole siano il vero e proprio spauracchio dell’urna: tutte le squadre vorrebbero evitarle, ma qualcuna purtroppo le dovrà per forza di cose affrontare [la speranza di tutti è che vengano accoppiate, ovviamente]. Partendo quindi dalla formazione di Mourinho, il Real Madrid ha tutto: forza fisica, tecnica individuale, campioni ed esperienza internazionale. E’ in grado di sviluppare un calcio molto veloce e intenso, che metterebbe sicuramente in grande difficoltà una squadra dalle caratteristiche del Milan. Mezzo punto in meno del Barcellona solo perchè i catalani hanno forse un collettivo più rodato, giocando insieme da più tempo, ma sono veramente dettagli.

Aggiungiamo come considerazione personale che è il sorteggio che soggettivamente non vorremmo si verificasse, per evitare che la partita venga buttata sul piano polemico dall’allenatore della squadra Madridista, maestro nell’arte della provocazione: ma il giochino, dopo due anni in Italia, ha davvero stancato tutti.

SQUADRA DA EVITARE: Barcellona [Coefficiente 5]

Quasi inutile scrivere un commento: le qualità dei catalani le conoscono tutti gli amanti del bel calcio. Ci limitiamo a dire che i rossoneri hanno già affrontato la formazione di Pep Guardiola quest’anno, mettendo in campo due tra le migliori partite stagionali del Milan: ebbene, se si fossero giocate in una sfida ad eliminazione, i rossoneri sarebbero stati eliminati [2 a 2 in Spagna, 2 a 3 a San Siro], e il Barcellona in quel caso aveva assenze importanti sia in difesa [Puyol e Piquè] che in attacco [Sanchez].

Vero rebus il come affrontarli: da quanto si può osservare del gioco catalano, l’impressione è che il Barcellona sia una delle poche squadre al mondo contro la quale bisogna prestare maggiore attenzione a chi non ha la palla piuttosto che al portatore; il Barcellona è un vero esempio di amministrazione sapiente del possesso palla, che gestisce con calma attraverso i propri palleggiatori, attendendo il movimento di uno dei fuoriclasse avanzati. La speranza di qualsiasi squadra che vuole conquistare il torneo è di incontrarli, se proprio si deve, in finale; in una partita secca infatti tutto può accadere, mentre sembra più difficile aver ragione della banda-Guardiola in un doppio scontro: in quel caso ci si augura una serata-no dei Blaugrana.

[Alessandro Alampi – Fonte: www.ilveromilanista.it]

Raiola, Napoli: “Squadra fortissima, non credo si debba rinforzare”

Uno dei due procuratori di Marek Hamsik, Mino Raiola, è intervenuto a Radio Crc Targato Italia nel corso di “Si Gonfia la Rete”: “Più che un mercato di riparazione, mi sembra che questo sia un mercato di potenziamento dei club che vogliono centrare un traguardo. C’è l’ansia da parte delle squadre di restare fuori alla zona Champions e dall’Europa League. In Italia, dove i diritti televisivi sono fondamentali per la sopravvivenza delle società, è ovvio che i presidenti debbano fare uno sforzo in più a Gennaio, investendo sul mercato perché c’è ansia e paura di non centrare gli obiettivi. Tevez all’Inter? Nel calcio è tutto possibile. Finché il calciatore non firmerà, potrà sempre cambiare idea. Il Milan ha dichiarato a tutti di puntare su Tevez, ma solo a certe condizioni. Poi, se l’Inter proporrà un’offerta più equa per il City, diventerà una concorrente importante”

NAPOLI –Non credo si debba rinforzare perché reputo la squadra azzurra fortissima. Penso sia difficile gestire un gruppo, come quello partenopeo, non è abituato a giocare per lo scudetto e la Champions League. Si possono perdere dei punti in campionato quando disputano due competizioni così importanti per la prima volta. Poi con Vargas il Napoli si è già rinforzato. È sempre difficile inserire nuovi elementi in un’orchestra che già va bene.
Il Napoli è un gruppo forte e straordinario ed è allenato da un tecnico che a me piace tanto. Mazzarri tira fuori tutte le energie dei giocatori, attua un bel gioco, di coraggio. Alla luce di tutto ciò, non credo quindi che il Napoli debba rinforzarsi. Poi, se la società partenopea acquisterà giocatori che possono essere utili per il futuro, ben venga”

DA BALOTELLI… – “Mario sfrattato? I tabloid inglesi vanno bene solo per pulire il vetro delle macchine. Mi stupisce però che ogni cavolata viene puntualmente amplificata. Non è vero che Balotelli è stato mandato via dalla sua abitazione di Manchester, abbiamo noi disdetto il contratto per ragioni legali. Non c’è nulla di vero in ciò che scrivono i tabloid inglesi e ad esser sinceri, queste cavolate danno anche un po’ fastidio. Ieri ho addirittura appreso di essere in trattativa con Inter e Milan per Balotelli, ma in queste storie non c’è nulla di vero”.

…AD HAMSIK… – “Hamsik al Chelsea? Questa notizia è emersa dal quotidiano inglese “The Sun” che riesce anche a sbagliare l’enalotto il giorno dopo l’estrazione. È un giornale che non è utile nemmeno per pulire il vetro della macchina. Per cui anche se Abramovich avesse voluto Cavani e Hamsik, dopo aver letto la notizia su quel quotidiano, avrebbe cambiato idea. Il futuro di Marek? Venglos sta trattando tutta la parte legale per cui non mi esprimo troppo. È chiaro però che se Marek rinnova il contratto, non è certamente intenzionato ad andare via da Napoli. Poi, De Laurentiis sarà libero di accettare un’offerta quando crederà che sia giusta per un giocatore del Napoli. Hamsik e Cavani valgono tanti soldi, ma questo mi sembra scontato. Se arriverà un’offerta dal Chelsea, dal Real Madrid o dal Barcellona, penso che non bisognerà scandalizzarsi”.

…E LAVEZZI – “Lavezzi all’Inter? Tra Napoli e Inter ci sono buoni rapporti e l’affare di Pandev lo conforma. Credo che l’Inter vorrà forze fresche in rosa e Lavezzi ha dimostrato il suo valore sul territorio italiano. Quando un giocatore ha dimostrato di avere un certo rendimento, diventa importante per le grandi squadre”.

[Vincenzo Balzano – Fonte: www.tuttonapoli.net]

Milan-Inter è già derby

Eccoci puntuali all’ultimo editoriale del 2011. Siamo a due settimane dal derby di Milano, ma non c’è bisogno nemmeno di dirlo. Che fosse già derby, ce ne eravamo già accorti dallo spettacolino imbastito sul labiale di Zlatan Ibrahimovic nel secondo tempo di Cagliari-Milan. Ci ha pensato l’orchestrina e sono passati con il piattino, rimasto purtroppo vuoto. A dar fiato all’ipocrisia con le strisce e i colori dei soliti noti, una imprecazione di Ibra, assolutamente la stessa di Corvia nel secondo tempo di Inter-Lecce. Ma di Corvia nessuno ha scritto o bisbigliato, su Ibra invece giù immagini, dalli con le ipotesi più nere e via libera alla questua con la richiesta di due/tre giornate di squalifica. Ennesimo tentativo di sovrapporre le regole mediatiche a quelle del Giudice Sportivo. Spiacenti, nisba, piattino vuoto.

Derby dunque. Per Massimiliano Allegri (“Rinnovo già deciso”, ha dichiarato il presidente Berlusconi e lo confermano anche i più stretti collaboratori del tecnico, si sta discutendo solo di ingaggio), uno strano appuntamento. Da quando l’allenatore toscano guida il Milan, non ha mai affrontato due derby di fila con lo stesso allenatore dall’altra parte. Allegri ha iniziato misurandosi con Benitez (1-0, rigore di Ibra dopo il fallo di Materazzi), passando poi a Leonardo (3-0, reti di Pato, Pato e Cassano) e a Gasperini (2-1, con lo stadio di Pechino quasi interamente rossonero, 26′ titolo dell’era Berlusconi e 17′ sfumato dell’era Moratti), mentre il 15 Gennaio l’appuntamento è con Claudio Ranieri. Che sia il preludio al derby prossimo venturo con Spalletti? Nell’attesa, il derby d’andata è un bel tabù da sfatare per Massimiliano Allegri che, da quando allena il Milan, non ha mai battuto il tecnico romano. In ogni caso Allegri da quando è al Milan ha vinto uno Scudetto e una Supercoppa di Lega. In questa stagione è in testa alla classifica ed è da due mesi (dal 2 Novembre) qualificato agli Ottavi di Champions League. Allegri è il tecnico di una squadra che, negli ultimi 25 anni, ha fatto 8 Finali di Champions League ed è la squadra italiana con il maggior numero di partecipazioni (15) alla Champions stessa da quando la Uefa ha varato il nuovo formato della Coppa dei Campioni.

Pato. Nessuna trattativa e nessuna seria prospettiva di cessione. Ma dovesse mai accadere, ce li vediamo già. Quelli che Pato è sempre rotto, quelli che Pato non incide nelle partite importanti, quelli che Pato gioca solo per la figlia del Presidente, sono pronti a diventare quelli che ma siete matti a cedere uno così giovane con già 60 gol all’attivo, quelli che il Milan se ne pentirà, quelli che Milan guarda Pato quanto è bravo. E’ il giochino dei saltimbanchi della parola. In ogni caso smascherati, con la sua semplicità, da quella bravissima persona e ottimo professionista che risponde al nome di Cesare Prandelli, il C.t. della nostra Nazionale. A domanda su Pirlo pallone d’oro, fatta nel Dicembre 2011 e MAI fatta prima, il buon Cesare ha risposto: “Ma guardate che sono dieci anni che Pirlo è su questi livelli…”. Grandissimo.

Firme autorevoli hanno scritto di recente che il Milan subisce il fascino del cattivo per ragioni di bilancio. Ci sono pochi soldi (ma chi in Italia è competitivo ad alti livelli sul mercato internazionale?) e allora si cerca di risparmiare sfruttando le rotture degli altri. Sarà. Intanto non è una colpa acquistare un giocatore a 24 piuttosto che a 70. Ma la sentenza non tiene conto della voglia di riscatto con cui arriva a Milanello il fuoriclasse reduce da una rottura in un grande Club. La voglia di dimostrare, di avere ragione, di ricollocarsi sul piedistallo, per Ibra e Cassano è stato così. Carlitos Tevez ad esempio ne ha una voglia pazza, nei suoi dialoghi con il Milan dimostra una energia fuori dal comune. Un’onda che sarà difficile da arginare. Se arrivasse, ma la trattativa sarà lunga, dura e complicata, dovrà essere uno stimolo per tutti gli altri attaccanti del Milan. I campioni non reagiscono andando a caccia di fantasmi, ma accettando la sfida. Proprio come ha fatto Antonio Cassano nel mese di Agosto del 2011, per non andare troppo lontano e per non rimanere sul generico.

Riuscirà in questo caso anche Alessandro Matri a vivere come uno grande stimolo l’imminente arrivo di Marco Borriello? La Juventus, infatti, pur avendo precise priorità al centro della difesa e sulla fascia sinistra sempre dietro, punta innanzitutto a rimpinguare il reparto là davanti dove c’è già il tutto esaurito: oltre a Matri e Vucinic, ci sono anche Quagliarella, Del Piero, Iaquinta, Amauri e Toni. Largo, adesso, anche a Borriello. Marco è un ottimo centravanti, un uomo-reparto importante, ma fa assolutamente scopa con Matri. Il bravo Alessandro, serio e continuo (15 gol da Febbraio 2011 a Dicembre 2011, nell’intero anno solare juventino), come la sua estrazione e la sua famiglia, appartiene alla stessa fascia di rendimento di punte come Borriello e Pazzini: colpi, media di 15 gol a stagione, movimenti, qualche acuto e tanta generosità. A cosa serve sovrapporre due attaccanti molto simili fra loro nel mercato di gennaio bianconero, quando manca un difensore centrale e a sinistra gioca fuori ruolo Chiellini.

[Mauro Suma –

Mercato Bari, ore decisive: Torrente aspetta, ma il tempo stringe…

Ci siamo. Il campionato è alle porte, e il Bari si dice pronto al debutto contro il Varese, ospite al San Nicola per la prima partita della nuova stagione. Ma come si presenta il galletto a questo importantissimo incontro? Rimaneggiato, soprattutto in difesa (out, per motivi diversi, Clayton, Crescenzi, Ceppitelli e S. Masiello), e ancora in attesa dei colpi di mercato tanto richiesti da mister Torrente, onesto ed esigente nel richiedere ancora un rinforzo per reparto.

Il ds del Bari, Guido Angelozzi, è alla ricerca delle pedine utili a rimpolpare la rosa a disposzione del tecnico campano, non del tutto contento dell’organico attuale. Nell’ordine, all’ex Gubbio, farebbe piacere ricevere in regalo, ben prima di Natale, un’attaccante, un centrocampista di qualità e un difensore di esperienza. Tanto, troppo se pensiamo che, dopo domenica, mancheranno solamente tre giorni alla chiusura ufficiale delle trattative. Le minaccie maggiori, però, non arrivano dalla clessidra: le ristrettezze economiche del club di via Torrebella non permettono al diesse siciliano di operare come meglio potrebbe. L’ex Andria e Lecce è costretto ad aspettare le mosse degli altri club.

Poco rassicurante come politica, ma è l’unica adottabile in questo momento. Lo abbiamo capito dalle trattative Mastronunzio e De Paula, rese quasi impossibili dalla concorrenza, economica, di altre società. La fortuna, in questo momento, è rappresnetata dall’appeal che il club biancorosso sembra comunque esercitare nei confronti di diversii tanti giocatori ancora alla ricerca di una piazza importante dove riproporsi al calcio che conta. Ma, come detto, bisognerà aspettare, e sperare che qualche boccone cadi dalla bocca di altre società. Solo allora, con assoluta celerità , il ds Angelozzi apparecchierà la tavola, imbandendola, spera Torrente, con almeno tre nuovi giocatori.

I nomi, diversi e di variegata estrazione calcistica. Per la difesa si pensa a Cesar, attualmente svincolato e con un passaro al Chievo Verona ed al Padova, mentre per l’attacco, oltre al solito De Paula (in pole), salgono le quotazioni di Ardemagni (Atalanta) e Babacar (Fiorentina). L’unico mistero riguarda il possibile centrocampista, di cui non si sa, praticamente, ancora nulla.

[Andrea Dipalo – Fonte: www.tuttobari.com]

Genoa: ad Acqui almeno una prova di carattere. Malesani: “I risultati si vedranno alla lunga”

Miei cari amici genoani da Boccadasse al Mato Grosso sicuramente oggi avrete sofferto per la vittoria al 90° ad Acqui. Si dirà: è una vittoria da Genoa, quella all’ultimo minuto. Tuttavia c’è da registrare le numerose pecche della squadra di Malesani che è stata per ben 40 minuti sotto di due gol contro una squadra (rispettabilissima per carità) di serie D. Cominciamo però con le note positive: un buon Marco Rossi in forma che ha forse recepito le direttive del tecnico. Ribas ha mostrato tecnica e buona volontà ed è stato premiato. Discreta l’orchestrazione di Constant. Su tutto ha dominato il carattere: è probabilmente l’elemento più confortante del Grifone: In attesa del “bombardiere” da 20 gol a campionato, è da tenerselo stretto. Segno della “mano” di Malesani che sa far lottare le sue squadre sino alla fine.

Passando alle dolenti note si è constatato, come già a Padova, lo scollamento tra la difesa e il centrocampo. In occasione del primo gol dei padroni di casa, Trimarco  ha rimarcato (scusate il gioco di parole, ma è appropriato) questa caratteristica negativa: manca dunque ancora l’equilibrio e il coordinamento tra i due reparti. E’ mancato forse l’apporto di Kucka, un po’ appannato: gol a parte, anche Seymour è sembrato incerto. La difesa deve ancora amalgamarsi al meglio: si deve sperare che Granqvist sia incappato in una giornata storta.

Adesso arriva “l’ora della verità” in Spagna con l’amichevole a Gjion. Sarà una gara “vera” che farà comprendere finalmente caratteristiche del Genoa. E’ vero, è pur sempre calcio d’agosto e i risultati lasciano il tempo che trovano: ma i problemi e le magagne vanno eliminati o quanto meno smussati in questa fase.

MALESANI – «Nel secondo tempo la squadra è stata più stimolata ed ha giocato meglio». Alberto Malesani intravvede degli elementi positivi nella prestazione non esaltante di Acqui, conclusa con una vittoria all’ultimo secondo. Il tecnico spiega così lo stato di forma poco brillante di alcuni giocatori: «Sia i nuovi arrivati, sia i giocatori che c’erano l’anno scorso, non sono abituati al tipo di preparazione ed hanno bisogno di tempo per assimilarla». Occorre quindi «tempo per entrare in forma. I risultati si vedranno alla lunga». Malesani ritiene che comunque «il lavoro svolto finora è stato costruttivo». I rapporti col presidente Preziosi «sono ottimi, viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda e vedremo cosa eventualmente fare fino al 31 agosto». Segno dell’intesa perfetta sulle eventuali ulteriori scelte di mercato da svolgere.

[Marco Luguori – Fonte: www.pianetagenoa1893.net]