Bologna, Cecconi: “La condizione fisica è buona”

Ci eravamo lasciati dopo la sconfitta interna patita con la Lazio. Da allora sono arrivati sei punti su sei frutto delle vittorie con Chievo e Atalanta. Analizza le due partite. In comune le 2 partite hanno che il Bologna è andato meglio nel 2° tempo e questo è positivo perché ci dice 2 cose: la prima è che la condizione fisica è buona e la seconda è che Pioli nell’intervallo tocca tasti che fanno migliorare la squadra. Va detto che nei primi tempi in entrambe le partite si è corso dei rischi eccessivi e poteva finire peggio ma i secondi tempi hanno dimostrato che la squadra ha margini di miglioramento e può far bene. Bisogna quindi che Pioli corregga qualcosa per far sì che la squadra subisca meno occasioni da gol e dia più continuità all’azione offensiva perchè non sempre ti può girare bene..

Pioli: 9 punti su 12. Si può dire senza se e senza ma che la scossa l’ha data pur se il Bologna ha ancora qualcosa da registrare
? Certo. Si può dire ed è la verità comè la verità che c’è qualcosa ancora da registrare ma il miglioramento è stato evidente.

Di Vaio ieri è tornato alla rete, il rigore era importante e non si è tirato indietro dalle sue responsabilità. E’ sufficiente per averlo sbloccato o serve una rete su azione? E’ una buona iniezione ma un attaccante vero come è Di Vaio vuole fare gol su azione. Io lo vedo già abbastanza sereno adesso ma quando farà gol su azione sicuramente si sentirà sollevato e soddisfatto e dopo sarà ancora più carico e sereno.

Con l’Atalanta, Ramirez ha concesso spunti di classe cristallina. Che futuro vedi per questo giocatore?
Un gran futuro senz’altro. Quanto sarà vicino questo gran futuro non si può dire. Voglio dire che quando Ramirez riuscirà a essere più continuo e sfruttare ancora meglio e di più il suo talento tecnico e le sue doti fisiche, non lo possiamo sapere perché dipenderà dalla sua crescita caratteriale e anche dai contesti in cui si troverà a giocare.

La classifica è cortissima: a parte il Cesena e il Lecce che appaiono già in affanno, il Bologna in un sol colpo ha superato Novara, Inter, Chievo e l’Atalanta stessa ed è a soli 3 punti dal settimo posto. Campionato atipico. E’ anche atipico ma fondamentalmente il motivo principale è che c’è un maggior livellamento, sia a livello tattico di squadra ( gli allenatori delle piccole sono preparati come o più i colleghi delle grandi )  e anche a livello individuale ( anche i giocatori delle piccole più o meno hanno qualità fisico-atletiche uguali o vicine a quelle dei colleghi delle grandi, qualcosa in meno sul piano della tecnica e della personalità ). C’è meno divario tra le piccole e le grandi e questo genera equilibrio. In più si può aggiungere che le nostre grandi fanno fatica ad esprimere il maggior potenziale che il loro maggiore budget gli permette di avere.

Sabato c’è l’anticipo a Palermo. Come si possono fermare i rosanero e se dovessi scommettere su un risultato quale sarebbe? Non esistono più le tattiche e le strategie per fermare un avversario. Come dicevo prima c’è una vicinanza di valori di fondo che genera equilibrio. A meno che una squadra o un giocatore non incappi in una giornata storta l’equilibrio può venir rotto dagli episodi frutto di errori o giocate individuali importanti, dagli episodi arbitrali e anche dalla fortuna pura e semplice. Dopo la preparazione generale di una squadra, che è la base per poter competere con gli avversari, un allenatore deve avere molta cura ad allenare i particolari che spesso rendono gli episodi determinanti per il risultato. I pronostici non si possono più fare, non hanno più senso, chi ci prende ha solo fortuna.

Bisoli che è stato esonerato e vede il cambio di passo del Bologna si porrà domande sul perchè lui non sia riuscito a dare la scossa mentre Pioli si? Non saprei dire cosa pensa Bisoli di questa situazione. Il calcio permette tante spiegazioni allo stesso quesito anche se poi la risposta giusta è una sola.

[Mario Sacchi – Fonte: www.zerocinquantuno.it]

Lotito vola basso: “Lazio da Scudetto? Non faccio proclami, ma siamo competitivi…”

Al termine della conferenza-stampa di ieri con Alemanno, Lotito ha parlato con i giornalisti presenti nel centro sportivo di Formello. L’oggetto del colloquio sono state le ambizioni del club di sua proprietà:«Lo scudetto? Io non faccio proclami e voli pindarici. Come si dice: non sogni, ma solide realtà. Adesso è prematuro fare pronostici, siamo consapevoli che la squadra è competitiva”. Il rammarico causato daL pari interno di mercoledì sera non è ancora stato smaltito dal patron biancoceleste. La Lazio ha sprecato tanto, troppo:” Dobbiamo imparare a fallire meno occasioni, altrimenti può capitare che alla fine un risultato che ti lascia l’amaro in bocca, come è successo con il Catania».

[Riccardo Mancini – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]

Numeri e curiosità – Ex, coincidenze e ‘prime volte’: questa è Cagliari-Napoli

Cagliari-Napoli è sfida sempre particolare, che evoca sogni e fantasmi, orgasmi pallonari (da ambo le parti) e rivalità mai sopite. Da quel rovente 5 Giugno 1997 (si giocava, al San Paolo, lo spareggio salvezza tra i rossoblu’ e il Piacenza, e i tifosi napoletani accolsero guerrescamente i cagliaritani; prima, durante e dopo il match) in avanti, uno dei tanti ‘derby del Sud’ si è trasformato in partita accesa, e attesa con fermento da tifoserie e critica.

A questo hanno contribuito anche i risultati delle due società, guidate dagli ‘amici’ Cellino e De Laurentiis. Che hanno rinvigorito i fasti di una partita che a cavallo tra gli anni ’90 e Duemila sparì dai calendari del calcio italiano a causa dei reciproci ‘rimbalzi’ tra Serie A e cadetteria.

Le sfide delle stagioni 2001-2002 (opache nell’anonimato, per entrambe, della Serie B), 2002-2003 (la prima nel ‘nuovo’ stadio del Cagliari, fatto di tribune d’acciaio adiacenti al campo) furono quasi episodi ‘casuali’ in mezzo a due epoche – dal ’97 al 2001 e dal 2004 al 2007 – nelle quali isolani e partenopei non poterono incrociare le armi.

Poi venne la promozione in A del Napoli, e quella sfida del San Paolo che inaugurò l’era Giampaolo e lasciò intravedere che colpi di scena e pronostici al vento avrebbero caratterizzato i confronti tra le due compagini. Il Cagliari fece in tempo a crollare dopo l’exploit iniziale, prima della ‘partita delle partite’ che entrò di diritto nella storia del club sardo: Matri e Conti firmano un successo insperato sul Napoli pronto a brindare al colpaccio, il Cagliari comincia la resurrezione ‘ballardiniana’ e si guadagna altre epiche sfide contro i rivali azzurri.

Preamboli storico-statistici che fanno capire come la gara in programma domenica pomeriggio al S.Elia non sia uguale alle altre, e che fanno da piatto d’entrata a precedenti e ai numeri del match.

IL CAGLIARI ‘GUIDA’ I PRECEDENTI – Sono 32 le partite, tra Serie A, B e Coppa Italia, giocate in suolo sardo da Cagliari e Napoli. 9 i successi del Cagliari, con 18 pareggi e 5 vittorie ospiti. Che hanno segnato 26 gol, a fronte dei 32 rossoblu’.

UN FANTASMA CHIAMATO ‘POCHO’ – L’ultimo successo del Cagliari è datato Aprile 2009, quando il derelitto Napoli di Donadoni si arrese sotto i colpi di Jeda e Lazzari. A fine 2009 si è registrato l’ultimo pareggio, quando Bogliacino ferì brutalmente, a tempo scaduto, un Cagliari capace di rimontare dallo 0-2 al 3-2. L’ultima sfida giocata corrisponde anche all’ultima vittoria partenopea: ancora in ‘zona Cesarini’, con Lavezzi a firmare l’1-0 e allontanare Bisoli dall’Isola.

PERICOLO-CALENDARIO, DANIEL INSEGNA… – Non sarà la prima volta che Cagliari-Napoli si gioca all’ottava giornata. Accadde anche nel campionato 1993-1994, con l’ex (ingrato, maleducato e fischiato) Fonseca a vanificare il gol cagliaritano firmato Cappioli.

IN PRINCIPIO FU ‘CIUCCIO’ – Fu appannaggio del Napoli anche la prima sfida in assoluto giocata in casa rossoblù. Correva la stagione 1965-1966 e gli azzurri vinsero 2-0.

IRONIA DELLA SORTE – Particolarmente curioso l’andamento delle sfide giocate in Serie B: 4 incroci a Cagliari con altrettanti pareggi: 6 gol fatti e perfetta alternanza tra 2-2 e 1-1.

QUANTE BEFFE – Lavezzi che vola via e segna a tempo scaduto la rete della vittoria, Bogliacino che si tuffa e zittisce uno stadio pronto a ergere il monumento agli eroi della rimonta, Pecchia a firmare l’1-0 che toglie al Cagliari di Tabarez il sogno-Uefa (con apposita coreografia già preparata dal pubblico del S.Elia). Sono tre episodi che rimarcano come l’arrivo del Napoli in Sardegna sia sempre caratterizzato da trepidazione, a volte gioia e orgoglio, ma anche cocenti ‘bruciature’.

PER CHI SCOMMETTE… – Mai più di tre gol quando si gioca al S.Elia nella stagione corrente (solo in una partita, col Novara, la rete si è gonfiata). Cagliari e Napoli sono squadre ‘da trasferta’: solo una vittoria tra le mura amiche per i rossoblù, due – su tre partite – lontano da casa per i campani. Cagliari in casa e Napoli ospite: in questa stagione, due volte su tre il primo tempo è finito in pareggio; stesso bilancio per quanto concerne le partite finite con una delle contendenti senza reti all’attivo.

DIRIGE BANTI – Arbitrerà il livornese Luca Banti. Esordì proprio dirigendo il Cagliari. Era il 29 Maggio 2005, ultima giornata di campionato, e al Delle Alpi di Torino Juventus-Cagliari 4-2 salutava Gianfranco Zola per l’addio al calcio di ‘Magic Box’. Dieci precedenti con il Napoli per l’arbitro toscano: cinque vittorie partenopee, due pareggi e tre sconfitte. I tre risultati si sono verificati in successione nelle ultime tre sfide: Napoli-Fiorentina 1-3, Napoli-Fiorentina 0-0, Napoli-Lazio 4-3.

[Fabio Frongia – Fonte: www.tuttocagliari.net]

Cellino: “Il Cagliari lassù? Impossibile dieci anni fa! Merito degli arbitri…”

È un Massimo Cellino galvanizzato dal buon momento del suo Cagliari, per nulla sgualcito dall’opaco pareggio casalingo contro il Siena. Il presidente rossoblu’ ha parlato in esclusiva ai microfoni di Tuttosport e, come spesso gli accade, non ha risparmiato dichiarazioni al vetriolo, evitando come la morte la banalità.

Poco spazio a rammarico o delusione per il parziale stop di domenica scorsa. La parola d’ordine è volare basso, come cerca di fare dall’inizio della stagione il suo allenatore. “Io so­no contento del pari di domeni­ca – esordisce Cellino – Queste sono partite che è più facile perdere che vincere. Noi avevamo troppa euforia, troppa voglia di imporci e ci siamo complicati la vita. Sa­rebbe bastato, nel finale, un contropiede azzeccato del Sie­na per subire una beffa”.

A chi gli fa notare il buon momento della squadra e una certa compattezza ‘da grande squadra’, il patron risponde con fermezza: “Ma dobbiamo restare umili e mantenere la sordina. Bisogna imparare a gestire l’emotività e l’euforia. In fondo siamo ap­pena alla settima giornata di campionato”.

E’ un campionato a dir poco strano. I cinque risultati ‘a occhiali’ dell’ultima giornata sono emblema di qualcosa di peculiare, e con essi il rendimento balbettante delle favorite. Ad approfittarne sono squadre come il Cagliari. Forti di buon gioco e idee, ma non solo: “Di sicuro questo equilibrio al vertice è anche frutto di una classe arbitrale eccellente – sostiene Cellino – Stanno facendo tutti bene, so­no tutti preparati. E bisogna fare i complimenti a Collina che su questo gruppo ha inve­stito e a Nicchi e Braschi che lo hanno cresciuto. Dieci anni fa una classifica del genere sareb­be stata impensabile”.

Il Cagliari è ormai il primo impegno lavorativo: “Dopo 20 anni di presidenza ho imparato a limitare gli erro­ri con l’esperienza. Nessun pre­sidente della serie A fa come me. Io lavoro duro ogni giorno nella mia società. Anch’io ho un’impresa che fattura parec­chi milioni di euro l’anno, ma ora la seguono i miei fratelli perché ho deciso di dedicarmi a tempo pieno al Cagliari. Ho trasformato il mio hobby in un’azienda vera. Evidentemente ho delle capa­cità, certo. Altri miei colleghi hanno le mie stesse capacità, ma preferiscono non dedicarsi alla società di calcio così come faccio io. Hanno fatto un’altra scelta. Io opero in silenzio e quando posso cerco pure di da­re il mio contributo al calcio italiano, soprattutto in Lega”.

E’ stata l’estate delle scommesse, dei talenti da scoprire in riva al Golfo degli Angeli. Una situazione che aveva provocato parecchi mugugni e qualche critica in sede di pronostici per il campionato che si accingeva a cominciare. Thiago Ribeiro è l’emblema della campagna acquisti: “L’ultimo mio gioiello è Thiago Ribeiro. C’è tutta una storia dietro a questo acquisto. Avevo bisogno di un attaccante che mi desse sicurezza. Prima di lui in attacco c’era solo Nenè come giocatore fatto, gli altri erano giovani. Io Thiago l’ave­vo già visto e seguito, ma era­vamo già a tappo come extra­comunitari. E poi costava tan­to, tra l’altro è stato capocanno­niere in Brasile col Cruzeiro. In estate, pensate un po’, Ficca­denti era in vacanza in Brasi­le e indovinate un po’ chi ave­va notato? Ribeiro. Nel frat­tempo succedono due cose: cambia la normativa sugli ex­tracomunitari; prendo Fic­cadenti per la panchina del Ca­gliari. E quest’ultimo arrivo è stato un segno del Signore. Parlando con il nuovo allenato­re il discorso cade accidental­mente su Ribeiro e Ficcadenti mi dice: presidente lo prenda, è bravissimo, mai avrei sperato di poterlo allenare. Io mi muo­vo e riesco, tramite un prestito con diritto di riscatto a ingag­giarlo, tenendo nascosta l’ope­razione fino all’ultimo. Non è stato facile, ma è andata bene. E sapete cos’è successo quand’è arrivato da noi: Nenè gli ha chiesto l’autografo. perché in brasile Ribeiro è considerato un grande”.

Per ‘El Diablo’ si prospetta una lunga permanenza in Sardegna. “La mia è l’unica squadra dove i giocatori restano almeno 6 anni. Non mi piacciono quelli che ogni stagione cambiano so­cietà. Io posso sbagliare una scelta sotto il profilo tecnico, però mai sotto l’aspetto uma­no. Non me lo posso permette­re. E il mio gruppo, lo garanti­sco, è composto da ragazzi ecce­zionali. Quando ho deciso di puntare su Ibarbo sono anda­to in Colombia, ho voluto par­lare con lui e ho scoperto un ra­gazzo serio, onesto, di chiesa, con sani principi. L’ho preso…”.

In periodo di stanca per il mercato (ma c’è chi lavora sottotraccia), ogni tanta esce fuori la solita voce su Nainggolan. Cellino è fermo, ma non nasconde la possibilità di un addio: “Lo so bene. Molti squadroni speravano fosse un fuoco fatuo. Ora hanno paura che giochi troppo bene. Io resisto. Devo arrangiarmi avendo meno capitali a disposizione di altri club. Non sono Moratti. Io faccio finta che non mi piaccia spendere tanto ma la realtà è che non lo posso fare. Anche a me piacerebbe sborsare 50 mi­lioni per Eto’o, però…».

La preoccupazione, come ormai da anni, è che il Cagliari giochi solo tre quarti di campionato. Cellino confida nella ‘scia di cambiamento’ che, a suo dire, sta avvolgendo la società prima che la squadra. “Stiamo vivendo un momento meraviglioso, frutto di anni di duro lavoro. Già nello scorso campionato ci furono segnali importanti. Io ho mantenuto lo stesso telaio di squadra cam­biando solo la guida. Mai disfa­re un collettivo; se cambi trop­po poi rischi di non sapere più cosa hai in mano. Per esempio: se hai una macchina che va be­ne e cambi motore, sospensio­ni e poi il pilota, quando viag­gia male non riesci a capire i motivi del mal funzionamento. Se invece mantieni la vettura più o meno immutata, se pro­cede malamente basta cam­biare il pilota. Io conosco bene la mia macchina, ecco perché in estate ho cambiato il pilota”.

Con Donadoni il Cagliari sarebbe lassù? “Io devo essere razionale e freddo. Gli errori costano tanto e li pagano tutti: io, i tifosi, l’am­biente. Anch’io per certi versi sono rimasto stupito della mia decisione, ma ho agito in proie­zione futura. L’ex ct azzurro ha più doti buone che negative. Il suo problema è che non ha l’autostima di cui necessita per imporsi ad alti livelli. Lui è un allenatore che vale molto di più di ciò che lui stesso pensa. Purtroppo si circonda di perso­ne che accentuano più i suoi di­fetti che i suoi pregi”.

Ficcadenti ha sbaragliato la concorrenza. Per tanti motivi. Particolare quello per il quale Cellino ha deciso di non puntare su un nome di primo piano come quello di Delio Rossi: “I presupposti per chiamarlo non c’erano e poi lui ambisce a una squadrone. Inoltre mettermi insieme con Delio Rossi sarebbe come acco­stare una fiammella a della ni­troglicerina. Sai che botti…».

Adesso c’è tempo solo per il sudore da versare in nome della crescita costante della creatura che ruba tutto il tempo al presidente. Che conclude: “Mentre i miei colleghi erano al mare, io sudavo al caldo den­tro il mio ufficio. Neanche un giorno di vacanza mi sono pre­so. Sono riuscito a ritirare una barchetta il 4 ottobre, prima non potevo. Ma ora sono soddi­sfatto. Sia io che la squadra meritiamo questo momento. Speriamo duri… all’infinito”.

[Fabio Frongia – Fonte: www.tuttocagliari.net]

Gregucci: “Il derby si vince con la personalità e soprattutto con il collettivo”

Ha inizio oggi la settimana più rovente della stagione calcistica romana. Tra sei giorni andrà in scena Lazio-Roma, l’ennesimo derby di una faida infinita, l’eterna sfida tra le due facce di una medaglia che risponde al nome di Roma Capitale. E come di consueto, i microfoni de Lalaziosiamonoi.it sono andati ad interpellare chi l’aria della stracittadina l’ha respirata sul campo. Stiamo parlando di Angelo Gregucci, ex difensore e soprattutto tifoso biancoceleste: “Le due squadre arrivano al derby alla stesso modo, nello stesso stato psicologico, arrivano discretamente bene. Si gioca dopo la sosta e quindi dobbiamo vedere come stanno i nazionali”. La Lazio arriva a questo importante match dopo aver perso le ultime cinque partite contro i cugini giallorossi, quattro con Reja in panchina.

Serve una svolta, serve un cambiamento di rotta: dalla preparazione della partita da parte di Edy Reja alla grinta e la personalità dei nuovi arrivati: “Nel derby conta tutto, l’importante è arrivare il più sereni possibile sotto il profilo psicologico. La Lazio è una squadra da presente, di breve periodo, ha un ciclo breve e penso possa fare bene da qui a poco perché ha giocatori di livello internazionale. Non sarà un problema sotto il profilo psicologico affrontare una partita così delicata per giocatori come Cisse, Klose e Hernanes. E’ una partita a parte, dai profili psicologici sottili dove un episodio può cambiare il risultato. Per vincere un derby bisogna avere tante cose in più dell’avversario sotto il profilo tecnico ma non mi aspetto che sia così”.

I biancocelesti si troveranno davanti una Roma nuova, giovane, con tanti giocatori al loro primo derby della Città Eterna: “La Lazio è una squadra che ha esperienza mentre la Roma ha una carta d’identità giovane, ha un progetto a lunga scadenza però sono sempre convinto che un derby azzeri tutti questi raggionamenti”. La compagine di Luis Enrique gioca molto la palla, cerca il fraseggio breve e il possesso prolungato. Su queste indicazione la Lazio deve cercare le giuste contromosse: “Attenendomi a quello che ho visto la Lazio deve cercare di concedere poco campo alla Roma, deve cercare di andare a pressare, deve scaglionarsi bene ed una volta che riesce a lavorare bene sull’intercettazione della palla deve cercare subito la verticalizzazione”.

Klose, Cisse ed Hernanes. Totti, Osvaldo, Bojan. Sono tanti i giocatori che grazie ad una giocata possono decidere questo genere di partite ma Gregucci la vede in un altro modo, per lui è determinante il collettivo: “Io parlerei soltanto di atteggiamento della squadra, chi arriva più serena, meno contratta e chi ha la personalità giusta può far sua la partita”. In chiusura non può mancare la classica domanda. Il derby chi lo vince? “I pronostici sono antipatici e poi ho un leggerissimo grado di scaramanzia, non invadente e neanche fastidioso. Preferirei non farli”.

[Valerio Spadoni – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]

Delio Rossi: “Il derby può condizionarti un campionato…la Lazio dovrà giocare per vincere”

Delio Rossi, allenatore mai dimenticato dal popolo biancoceleste, soprattutto per la passione profusa nel lavoro che fa ed in cui crede. L’ultima vittoria contro i giallorossi è targata con Rossi in panchina, dopo di lui solo brutte sconfitte condite da pessime prestazioni. Tra le colonne dell’edizione odierna de Il Messaggero, a firma di Gabriele De Bari, ha rilasciato un’intervista a otto giorni dalla stracittadina. “Mai avrei immaginato che, quell’esaltante vittoria, sarebbe rimasta quasi storica. Perdere cinque volte consecutive è duro da sopportare per i tifosi, soprattutto in un ambiente caldo e partecipe come quello romano”.

Cosa ricorda di quel clamoroso 4-2?
“La Lazio arrivava da un periodo negativo, andammo in ritiro per ritrovare un pizzico di serenità. Fu una vigilia lunga, agitata, difficile, ma riuscimmo a preparare bene la partita. L’inizio fu travolgente: due gol di vantaggio dopo appena tre minuti, roba da record. Poi la Roma rientrò in in gioco e ci volle una grande Lazio per portare a casa la vittoria. Derby nervoso, con espulsi, ammoniti, polemiche: tutti gli ingredienti tipici di questa sfida”.

Dopo quell’affermazione la stagione cambio?
“I nostri tifosi ci osannarono, ritrovarono fiducia e, nei confronti della squadra, tornò la pace. Il derby può condizionarti un campionato: se lo vinci vai in discesa, se lo perdi diventa tutto più complicato. Ma meglio conquistare quello del ritorno, almeno stai tranquillo per cinque-sei mesi”.

Un derby che ha lasciato il segno.
“Non per merito mio, soprattutto per colpa della Lazio che non è più riuscita a vincerne. Non è capitato spesso che la Roma abbia incassato quattro reti, quella fu una gara giocata davvero alla grande, della quale ricordo tutto. Così come i tifosi tengono in mente gol, espulsioni, sostituzioni, occasioni sprecate. A Roma ho imparato cosa significa vivere il derby in questa città”.

Qual è stato il primo approccio?
“Appena arrivato, a un semaforo, una persona mi disse: ‘Mister, ci sono due derby da vincere…’ Non mi chiese né lo scudetto, né la qualificazione in Champions League, ma soltanto di battere la Roma. Così mi resi subito conto di quello che mi aspettava nella settimana del grande appuntamento”.

Pensa che la Lazio riuscirà a interrompere la serie no?
“La squadra è forte, ha delle certezze importanti e qualche ottima individualità. Perciò possiede tutte le componenti necessarie per battere finalmente la Roma. Ma niente pronostici, nei derby difficilmente vengono confermati”.

Quali sono le armi migliori dei biancocelesti?
“La compattezza di gruppo, la classe di Klose, la forza di Cisse, la voglia di spezzare il tabù”.

E quelle della Roma?
“Totti e De Rossi, perché romani e perché vivono con grande senso di appartenenza alla maglia giallorossa questa giornata”.

Ma Totti rischia di non esserci.
Tranquilli, Totti giocherà… Ed è giusto così perché il derby deve avere tutti i migliori interpreti in campo. Senza Totti perderebbe una parte consistente di fascino”.

Però non ci sarà più Zarate.
“Una perdita per la Lazio. Mauro ha sempre fatto bene nelle partite che contavano, perché le belle sfide lo esaltavano. Qualche volta mi ha fatto dannare, perché si accendeva a intermittenza, però mi ha regalato anche belle soddisfazioni. L’argentino è un vero talento, con colpi da campione, uno dei pochi attaccanti che saltano l’uomo creando superiorità numerica. La gente si identificava in questo ragazzo imprevedibile che, all’Inter, saprà ritrovare i vecchi stimoli”.

Cosa dovrà fare la Lazio per battere la Roma?
“Giocare la sfida per vincerla, la classifica lo consente perché siamo agli inizi del campionato. E non entrare in campo condizionata dalla lunga serie negativa”.

Sarà il primo derby di Luis Enrique.
Un tecnico che ha portato qualcosa di nuovo, ma che ha imparato in fretta il significato di questa partita per la città di Roma. Mi sembra che si sia già adeguato”.

Se andasse all’Olimpico, dove le piacerebbe vedere il derby?
“In curva Nord a tifare Lazio. Del resto sentivo questa sfida come ogni laziale. Invece lo guarderò in tv”.

[Ivan Pantani – Fonte: www.lalaziosiamonoi.it]

I disastri di Rocchi “sparecchiano” per sempre il tavolo della pace. Tre buoni motivi per credere allo scudetto Juve

Rapido elenco di amenità sentite nelle ultime 48 ore (al netto degli insulti). Tifoso napoletano a tifoso interista: “Figlio di zoccola te ne abbiamo fatti tre”. Tifoso interista all’arbitro Rocchi: “Pezzo di m…, se ripassi da San Siro sei morto”. Tifosi juventini e milanisti agli interisti: “Bastardi, prescritti, siete tornati al pre Calciopoli, falliti”. Tifosi interisti a tifosi milanisti e juventini: “Ladri, infami, capi della cupola”. Tifosi juventini a tifosi milanisti: “Rossoneri schifosi, Torino domina”. Tifosi rossoneri a tifosi juventini: “Fango siete e fango resterete”.

L’accozzaglia di insulti è completata da alcune immagini singolari e decisamente più ironiche: San Gennaro che mostra il “tre” ai nerazzurri, Ranieri che si trasforma in Mou e fa il gesto delle manette, Moratti sommerso dai babà, Abbiati con le fattezze di un piccione. Siamo al tutti contro tutti: era così, è così, sarà sempre così. Ma questa volta c’è di più. Prima dell’inizio del campionato l’avevamo detto: se non apparecchiano il benedetto tavolo della pace, alla prima cantonata arbitrale si scatenerà l’inferno. Così è stato: le micidiali sbandate prese dal sciur Rocchi in Inter-Napoli sono bastate per aizzare tensioni e risvegliare i complottisti di ogni fede e colore. Ora è tardi, tornare indietro non si può: prepariamoci ad assistere a un torneo saturo di veleni e ulcere pallonare, stadi miseramente desertificati e arene virtuali dove ci si insulta a più non posso. Contenti noi, contenti tutti (contenti soprattutto all’estero…).

Al club del dileggio son tutti iscritti ma per fortuna c’è anche chi pensa a giocare. Così fa Conte, l’uomo che più sbraita più sembra posseduto dallo spirito di Moggi (stesso tono di voce), il tecnico “missionario” nel senso che ha preso così seriamente l’impegno da sembrare un salmone deciso a deporre le uova. Non credete a Buffon che dice “non siamo i più forti”, non credete neppure allo stesso Conte che replica “siamo in fase di costruzione”: fan bene i grandi capi a dire quel che dicono, ma la Juve è senza ombra di dubbio una squadra da scudetto. Tre i motivi: 1) Una partita alla settimana is megl che two. 2) Tra le concorrenti al titolo non c’è nessun Barcellona del caso, anzi. 3) Lo spirito di squadra della Signora, la “fame”, la voglia di tornare a vincere qualcosa dopo tanto tempo è la stessa che aveva Rocky Balboa quando correva all’alba sulla scalinata di Philadelphia.

Dice il frettoloso: “Allora è fatta, la Juve sarà campione”. Forse. La verità è che a snocciolare pronostici si finisce quasi sempre a far la figura dei pirla, quindi molto meglio valutare quel che accade. Se Torino ora è il regno della “bava alla bocca”, Roma è il principato dell’abnegazione. L’armata Brancaleone di Luis Enrique vista fino a un mese fa, comincia ad assumere le fattezze del suo mister: i giocatori fanno di tutto per assecondare le idee del tecnico, Totti compreso. Se il meccanismo sarà ben oliato e l’ambiente si comporterà come ottimamente ha fatto finora (tifosi compresi) i giallorossi si toglieranno belle soddisfazioni.

Poi c’è l’Inter. Troppo banale dire che se perdi 3 delle prime 5 partite puoi tranquillamente dire addio allo scudetto, banalissimo insistere sul concetto della squadra vecchia e del mercato fallimentare. L’impressione, invece, è che i disastri griffati Rocchi possano aver fatto meglio ai nerazzurri di tre punti presi sul campo. Ranieri ha guidato la sommossa dei campioni del mondo, Moratti l’ha appoggiato, i tifosi pure. Mancava una cosa più delle altre all’Inter post Mou: un condottiero incavolato come una biscia, capace di guidare uno spogliatoio complicato. Ora ce l’ha e pazienza se il distacco dalla vetta è già importante.

Chiusura sul Milan di Allegri, l’allenatore più sfortunato della settimana (senza Nesta son dolori). Il ko di Torino comincia a pesare sulle spalle di un tecnico che da quando è in rossonero ha sbagliato praticamente nulla. Dire che il diavolo abbia perso corna e spirito guerriero è una sciocchezza, ma non ci si può più nascondere dietro alle assenze per infortunio di tizio e caio. Lo staff rossonero ha scelto di puntare su una squadra muscolare ma si è dimenticata di acquistare i “chilometri zero”. Gli ultratrentenni alla fine tradiscono, soprattutto se sono costretti a giocare tre volte alla settimana. In attesa di ritrovare Pato e un altro paio di punte di diamante (Robinho, Boateng meno sfasato, la iena Gattuso a centrocampo) ad Allegri non resta che fare una cosa: spegnere il cervello, stracciare il diplomino di Coverciano e lasciar fare a Ibra. Nei momenti difficili gli schemi contano come i ghiaccioli al Polo: tocca ai campioni tenere a galla la squadra.

[Fabrizio Biasin – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]

Pillon, il doppio ex: “Bari-Livorno gara dal pronostico difficile”

Sabato prossimo, con calcio d’inizio fissato alle ore 15, il Bari di mister Torrente sarà chiamato all’esame Livorno, compagine toscana tra le più positive e temibili di questa serie Bwin.

Una gara importante per entrambe le formazioni, alla ricerca di punti preziosi dopo le ultime uscite di campionato. I biancorossi, dopo la gratificante vittoria ottenuta sul campo dell’ex capolista Sassuolo, proveranno, tra le mura amiche del San Nicola, a dare continuità alla loro corsa verso i piani alti della classifica, attualmente onorata con otto punti sui diciotto a disposizione. Il Livorno, dal canto suo, vorrà di certo riscattare il mezzo passo falso consumato a Vicenza contro gli uomini di mister Baldini, bravi, nonostate il momento di crisi, a fermare la corazzata amaranto, sino a quel momento sempre vittoriosa in trasferta. Un pareggio per 1-1 che, di fatto, ha rallentato la corsa dei labronici verso la testa della classifica.

Un vero e proprio incontro-scontro, quindi, quello tra Bari e Livorno, che Giuseppe Pillon, ex tecnico di entrambe le formazioni, in esclusiva ai microfoni di TuttoBari.com, ha così presentato: “Sarà una partita molto interessante, tra due compagini di ottimo livello. Entrambe hanno tutte le carte in regola per puntare alla zona play-off”.

Mister, visti i suoi trascorsi sulle due panchine, possiamo star certi che guarderà la partita. Per chi tiferà? “Per nessuno, ovviamente. Io sono molto legato ad entrambe le piazze che, nonostante tutto, mi hanno sempre voluto un gran bene. Purtroppo a Livorno, la passata stagione, non è tutto andato per il verso giusto, e dopo una prima parte di campionato davvero positiva, abbiamo un po smarrito la bussola, perdendo una serie di partite consecutive che portarono al mio allontanamento. Questo, però, non cancella i bei momenti passati in Toscana”.

L’ultima volta che Bari e Livorno si sono incontrate, è stata la passata stagione in Tim Cup. Al San Nicola, il Livorno, con lei in panchina, perse 4-1 contro un Bari brutto ed in crisi già da tempo. Cosa ricorda di quella partita? “Ricordo che, avendo una montagna di giocatori indisponibili, decisi di non rischiare più di tanto. La formazione che proposi non era, probabilmente, all’altezza dell’impegno. Devo dire, però, che sino alla fine del primo tempo giocammo una gara mica male. Il Bari sbloccò il risultato solamente su rigore. Noi avevamo qualche problema, e il campionato era la nostra priorità, quindi…”

Fare pronostici è sempre difficile, ma glielo chiediamo comunque: Bari-Livorno, come finirà? “Difficile dirlo. Come detto poc’anzi, sono due ottime squadre, che venderanno cara la pelle pur di vincere la partita”.

Un giudizio su questo Bari: quali possono essere gli obiettivi per questa squadra? “Il Bari è una buonissima squadra. E’ giovane, ha tantissimi giocatori nuovi, ma tutti di buona qualità. Credo che possa tranquillamente lottare per inserirsi nei primi posti della classifica”.

[Redazione Tutto BariFonte: www.tuttobari.com]