Eppure sto coi calciatori. E’ facile far partire i moralismi, sul fatto che “questi qui guadagnano miliardi” (che oggi comunque sono milioni), che “allora i poveri lavoratori cosa dovrebbero dire”, che “dovrebbero pensare a fare beneficenza”, come ha detto un noto politico ex sindacalista in queste ore: il mondo del calcio ha delle sue regole, economiche e non, ed o le si accetta sempre, o mai.
E’ troppo facile gioire degli acquisti del proprio Presidente o arrabbiarsi per mancate operazioni di mercato, che tanto “un milione in più al Berlusconi (o Moratti, Agnelli ecc) cosa cambia”: i calciatori lavorano, in maniera virtuosa e ben retribuita, ma comunque lavorano, non sono i pupazzi dei tifosi nè dei presidenti. Sono uomini, come ha detto Massimo Oddo nella conferenza stampa di ieri: sono lavoratori, aggiungo io, e non sono nè i primi nè gli ultimi a guadagnare cifre a 6-7 zeri, dunque questo non impedisce loro di far sentire la propria voce in una delicata sede come le contrattazioni sindacali. Negli Stati Uniti ad esempio, quello che a noi oggi sembra un evento eccezionale, è la regola: si chiama “lockout” ed a partire dagli anni ’90 ha fatto slittare spesso gli inizi tutti i campionati professionistici, dall’NBA all’NFL passando per l’NHL, che addirittura ha visto cancellarsi l’intera stagione non più tardi di 5 anni fa.